Staatsoper Stuttgart: “Otello”

Staatsoper Stuttgart, Stagione 2024/2025
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito dalla tragedia “Othello, the Moor of Venice” di William Shakespeare.

Musica di Giuseppe Verdi
Otello MARCO BERTI

Jago DANIEL MIROSŁAW
Cassio SAM HARRIS
Roderigo ALBERTO ROBERT
Lodovico GORAN JURIČ
Montano ALEKSANDER MIRLING
Un araldo KYUNG WON YU
Desdemona ESTHER DIERKES
Emilia ITZELI DEL ROSARIO
Staatsorchester Stuttgart
Staatsopernchor Stuttgart
Kinderchor der Staatsoper Stuttgart
Direttore Stefano Montanari
Maestro del Coro Manuel Pujol
Maestro del Coro di Voci Bianche Bernhard Moncado
Regia e Scene Silvia Costa
Costumi Gesine Völlm 
Luci Marco Giusti
Video John Akomfrah
Drammaturgia Julia Schmitt, Martin Mutschler
Stuttgart, 18 maggio 2025
Esito artistico assai deludente per la nuova produzione di Otello alla Staatsoper Stuttgart, l’ ultima della attuale stagione. Quasi tre ore e mezzo di pura noia e questo dato dovrebbe bastare a chi conosce bene il capolavoro verdiano per capire cosa io intenda dire con la mia precedente affermazione. Le più serie riserve sono da attribuire, a mio avviso, al progetto registico di Silvia Costa che è apparso gravemente carente per quanto riguarda il racconto scenico e si limitava ad una vuota e insignificante esibizione di estetismi. La messinscena era chiaramente ispirata alle idee di Bob Wilson e Romeo Castellucci: Dopo un paio di minuti di video in cui veniva mostrato, su uno sfondo sonoro fatto di sibili di vento, un uomo di colore che guarda verso il mare, fatto che si ripeteva anche all’ inizio degli atti seguenti, il sipario si alzava mostrandoci un apparato scenico fatto solo di un cubo bianco illuminato da luci al neon al cui interno si svolgeva tutta l’ azione, con personaggi che recitavano in maniera statica e alcune trovate del tutto incongrue come quella dell’ omaggio del popolo a Desdemona trasformato in una processione sacra con tanto di croci e chierichetti e quella di Jago che canta il suo monologo seduto a un tornio da ceramista. A questo si deve aggiungere il fatto che Silvia Costa nella sua regia sembrava chiaramente non sapere cosa fare con il coro, sempre posizionato in maniera statica sullo sfondo, con un effetto che oltretutto non aiutava per nulla l’ equilibrio tra buca orchestrale e palcoscenico. Quali fossero i significati drammaturgici della vicenda, quali motivazioni avesse la gelosia di Otello che funziona da elemento scatenante della tragedia, quali siano i rapporti che intercorrono fra i vari personaggi del dramma: tutto questo Silvia Costa non ha voluto o saputo dirci. Riassumendo, quello che si è visto era solo un susseguirsi di estetismi incongrui e privi di significato, senza alcun rapporto con il testo scritto da Arrigo Boito e musicato da Verdi: quasi tre ore passate guardando una serie di figure che si muovevano quasi sempre al rallentatore come quei robot giocattolo a cui si stanno per scaricare le batterie, generavano un senso di noia che raramente nella mia vita ho provato assistendo a una recita operistica. Immagino che la spiegazione di tutto questo fosse contenuta nel programma di sala, che come sempre io ho evitato di leggere per principio. Secondo il mio modo di vedere, un regista deve spiegarsi esclusivamente tramite ciò che si vede sulla scena e se uno spettacolo richiede una spiegazione preliminare per essere compreso, ciò vuol dire che la produzione è sbagliata già in partenza. Come dice il Conte nelle Nozze di Figaro: “Tu sai che là per leggere io non desio d’ entrar”. Tanto per riprendere una vecchia battuta di Fedele D’ Amico, “anche all’ opera non è per leggere che desiamo d’ entrar.” Deludente anche la realizzazione della parte musicale. La direzione di Stefano Montanari mancava completamente di senso tragico e si limitava a gestire i tempi in maniera meccanica e impersonale, con sonorità spesso inutilmente fragorose e una prestazione della Staatsorchester Stuttgart che in generale appariva poco partecipe esattamente come il coro, oltretutto fortemente penalizzato dalle scelte della regia. Per quanto riguarda il cast vocale, il sessantatreenne tenore comasco Marco Berti è uno tra i pochi specialisti odierni del difficile ruolo di Otello e canta con buona sicurezza vocale e incisivia di declamazione. Ma la voce mostra evidenti segni di stanchezza e dal punto di vista interpretativo la sua raffigurazione del protagonista si limita a mettere in rilievo la furia gelosa senza approfondire il tormento interiore del personaggio. Anche la prestazione degli altri due interpreti principali era decisamente inadeguata. Esther Dierkes, il giovane soprano nativo di Münster che in questi ultimi anni alla Staatsoper ci ha offerto diverse ottime interpretazioni, ha una voce troppo debole per la parte di Desdemona e il suo canto suonava sempre forzato, teso nell’ ottava acuta e opaco nelle note basse in cui la voce veniva spesso sovrastata dall’ orchestra. Il baritono polacco Daniel Mirosław, che ha iniziato la carriera come basso, ha dato una raffigurazione di Jago del tutto insignificante, senza  mostrare la minima attenzione al fraseggio e alle sfumature, (bruttissima in particolare era la frase “Quel fazzoletto ieri lo vidi in man di Cassio”, eseguita con platealità verisitca ingnorando le precise indicazioni di Verdi che a quel punto sulla partitura scrive pianissimo) con una voce di buon volume e consistenza ma ruvida nel colore e spesso sgradevole perchè suonava forzata. Nel complesso sufficiente è sembrata la prestazione di tutti gli interpreti delle parti di fianco.Alla fine il pubblico ha applaudito in maniera abbastanza convinta tutti i componenti del cast, ma si sono sentiti diversi fischi e buh all’ entrata in scena del team registico. Non abbastanza, per quanto ci riguarda.  Foto ©Martin Sigmund