Torino: La Belle Époque secondo Orozco-Estrada con l’Orchestra RAI

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Stagione sinfonica 2024-25.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Andrés Orozco-Estrada
Soprano Laura Verrecchia
Tenore Marco Ciaponi
Basso Mirco Palazzi
Igor Stravinskij: “Pulcinella”, balletto in un atto per piccola orchestra con tre voci soliste, su musiche di Giovanni Battista Pergolesi;   Maurice Ravel: Daphnis et Chloe”, suite n.1 e n.2 dal balletto
Torino, 16 maggio 2025.
Siamo a pochi mesi dalla fine della grande guerra del 14-18 e, a Parigi, nonostante tutto, si tenta il riaggancio con gli estremi scampoli residui della belle époque. A dominare le scene e a condizionare gli artisti rimangono i Ballets Russes, con il genio artistico ed imprenditoriale del loro fondatore, manager e indiscusso dominatore: Sergej Pavlovič Djaghilev. Fokine, il coreografo, Nijinskij, il grande danzatore e Igor Stravinskij, il musicista, tutti russi fuggiti dalla rivoluzione, sono ancora della partita. Stravinskij che, residente fin dal 1909 a Parigi, aveva già illustrato i Ballets Russes con le sue opere “barbariche”, nel 1918 si vede consegnare, da Djaghilev in persona, dei fogli con musiche presunte, ma allora non lo si sapeva che fossero tali, di Pergolesi. Pareva allora che la richiesta del mercato fosse per esibizioni che riportassero alla quiete dopo la grande tempesta. Non barbarici riti pagani, non vergini sacrificate in sanguinari sacrifici rurali, ma piacevolezze settecentesche, come si ipotizzava lo fossero state quelle della corte e dei vicoli partenopei. Assai probabile che Stravinskij conoscesse ben poco di Pergolesi e ancor meno delle galanterie delle mascherate napoletane, ma l’ordine del boss era tassativo e a nulla valsero i suoi tentativi di cambiar soggetto con la proposta di una ripresa dell’Histoire du soldat, spettacolo con cui si era mantenuto negli anni di guerra. Animato da una fantasia e da un mestiere fuori misura, ne ricava 18 numeri, che alternano piccole suite baroccheggianti ad accattivanti cantatine affidate, in singolo o in duo, a un (mezzo)soprano, a un tenore e a un basso. Riconfermandosi, se mai ce ne fosse stato bisogno, il grande orchestratore, allievo di Rimskij, sono tutte meraviglie quelle che affida a un’orchestra molto contenuta sia nei timbri che nel numero. Fokine imbastisce la coreografia, Nijinskij danza e Picasso disegna e allestisce la scena dell’Opera. La critica tende a fissare con Pulcinella l’inizio della fase neoclassica di Stravinskij, ma forse più che un inizio consapevole, Stravinskij qui coglie lo spunto per riconsiderare il suo stile ed affrontare al meglio le emergenti preferenze del pubblico. Altre opere barbariche, come Les Noces ci furono ancora e per un neoclassicismo conclamato mancheranno ancora una decina d’anni. Nelle esecuzioni odierne tutto dipende dal taglio che l’interprete vuol dare alla partitura. L’ultima volta che si diede a Torino alla RAI, nel 2021, Ottavio Dantone offrì un barocco rivisitato “alla moderna”, ora Orozco-Estrada e la magnifica OSNRAI, con vivaci dinamiche di suono e con strappi bruschi di ritmo, riportano l’opera ad una zona molto più dubbia di passaggio che, per molti aspetti, ancora suona come il Sacre. I solisti orchestrali non si risparmiano, al chiacchiericcio rococò fanno prevalere un franco, scattante e ben timbrato disegno ritmico. Ugualmente franca e soddisfacente la prova delle tre voci, Laura Verrecchia, Marco Ciaponi e Mirko Palazzi, (subentrato all’ultimo al previsto Pablo Ruiz), che, con buona efficacia, si sono adeguati più al cantare dei vicoli che agli scimmiottamenti dei salotti.
La stessa linea interpretativa Orozco-Estrada e l’OSNRAI, l’hanno adottata per le due suites raveliane di Daphnis et Chloé. Opera anch’essa commissionata a Ravel, come base per un balletto, dall’onnipossente Djaghilev. Era il 1911, 3 anni prima dello scoppio di una guerra non prevista e 10 prima del Pulcinella di Stravinskij. Con Ravel si danno la Belle époque e l’impressionismo delle arti visive applicati agli amori pastorali descritti da Longo Sofista, autore greco del III° secolo, ancora trasponibili ad argomento per un poemetto della settecentesca Arcadia o a soggetto per un dipinto di Watteau. Con Orozco-Estrada, come già in Pulcinella, si abbandonano quasi completamente i sentieri dell’Idillio campestre da Imbarco per Citera, per addentrarci tra il fogliame e le belve delle foreste fauve del Doganiere Rousseau. L’orchestra al gran completo (12 percussionisti, due arpe, 18 legni, 13 ottoni, 30 leggii di archi di cui 4 di contrabbassisti) ha abbondanza di tutti i timbri che Ravel, il più sorprendente orchestratore della storia della musica, avrebbe potuto desiderare. L’effetto è magnifico fin dal borbottare iniziale dei contrabbassi, per proseguire con la valanga travolgente di colori che la compagine formidabile dei legni sa sovrapporre al mareggiare più o meno tranquillo degli archi. La foresta amazzonica colombiana, patria di Orozco-Estrada, irrompe prepotente con lamate e fendenti di raggi di sole che abbagliano e fanno risplendere il verde smeraldo del lucido fogliame. Tanti strali fiammeggianti che, drammaticamente, illuminano un sottobosco che si immagina popolato dal piumaggio multicolore di uccelli esotici e dal mantello maculato di belve nascoste e forse anche da striscianti e argentei serpenti. L’effetto, sicuramente carico di fascino e di incanto, conquista il pubblico che inesorabilmente si abbandona al meraviglioso caleidoscopio di suoni che fa più sognare avventure ero-esotiche che non artefatti giardini tropicali di una Costa Azzurra della Belle Époque.