Torino, Lingotto Musica 2025: Alexander Lonquich e la Camerata Salzburg

Torino, Auditorium Agnelli, I Concerti del Lingotto, Lingotto Musica 2025
Camerata Salzburg
Violino concertatore e direttore Giovanni Guzzo
Pianoforte e direttore Alexander Lonquich
Ludvig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra n.4 in Sol Maggiore op.58; Johannes Brahms: Serenata n.1 in Re Maggiore op.11.
Torino, 7 maggio 2025.
L’indisposizione improvvisa di Hélène Grimaud ha costretto Lingotto Musica ad una sua rapida sostituzione, da qui la chiamata di Alexander Lonquich con conseguente cambio di programma, dal Concerto n.1 di Brahms al n.4 di Beethoven. Lonquich è ormai, nel panorama pianistico odierno, un imprescindibile riferimento per Mozart, Schumann, Schubert e Beethoven. I cinque concerti per pianoforte di quest’ultimo lo vedono primeggiare, quasi sempre nella doppia posizione di direttore e di solista. I pezzi gli sono molto più che consueti e li domina quindi con la sicurezza che gli danno una conoscenza assoluta e un estremo approfondimento sia testuale che contenutistico. La libertà di fraseggio e di colori, che riesce ad esprimere, lo vede inevitabilmente sia alla tastiera che al comando della formazione orchestrale. Al Lingotto, la fantastica Camerata Salzburg, si è ben adattata alle variazioni di colore, di intensità fonica e di velocità che le venivano richieste. Beethoven dissemina tutta la partitura di pp pianissimo, ben raro il f forte e ancor più il fortissimo, per cui il dialogo tra solo e tutti sta sempre in bilico su un confronto concorde e assonante che richiede il massimo di coordinazione e d’intesa tra le parti. Il pianista, dopo una breve arpeggio preludiante, attacca, con un impalpabile pianissimo, le cinque battute solistiche del tema che, a detta di molti esecutori, si ergono a scoglio e pietra angolare dell’intera opera. L’orchestra replica anch’essa in pianissimo, confermando così il clima d’intesa e non di opposizione, come almeno pare intenderlo Lonquich, che anima il primo movimento. La lunga cadenza è affrontata con virtuosismo strepitoso, ancor più impressionante perché celato da una discreta ed avvolgente colloquialità. Il breve Andante con moto, caratterizzato dalla costante richiesta al pianoforte di un pianissimo, screziato con sempre cantabile e sempre espressivo, commuove ed affascina. Lo Steinway di Lonquich quasi sospira e riempie l’enorme sala con un nitidissimo filo di suono, sempre ben articolato e sgranato. L’orchestra, che dovrebbe replicargli in forte, lo fa con la discrezione che si addice ad amici che amabilmente si sorreggono. Il lungo Rondò finale completa, quasi in allegria, il gioco delle parti. La sensibilità e la maestria di Lonquich parrebbero collocare il concerto non tra le tempeste umorali romantiche, ma nella ragionevolezza solidale e tollerante del Beethoven illuminista dell’Inno alla Gioia. Il numerosissimo pubblico del Lingotto sancisce un gran successo. Dal pianista gli vengono quindi offerti due fuori programma; sempre in ambito ‘800 Classico: la Novelletta n2 di Schumann e la Bagatella op.126 n.6 di Beethoven. Ancora un virtuosismo digitale e di tocco folgorante, non esibito, ma volontariamente celato forse anche per un’innata vena di timidezza. Seguono intensi e convinti applausi.Dopo l’intervallo, i cinquanta elementi della Camerata Salzburg riprendono la scena per la Serenata n.1 di Brahms. Sono in piedi, senza sedie, e li guida Giovanni Guzzo, il violino concertante. Brahms con le due Serenate del biennio 1858 – ‘59, si rifà alla tradizione delle analoghe composizioni di Mozart, di Haydn e della scuola di Mannheim, arricchite, sia tecnicamente che contenutisticamente, da quanto ha ricavato da Beethoven e da Schumann. Ha 25 anni e si sta qui esercitando per raggiungere il suo massimo obiettivo: scrivere Sinfonie come unico e vero erede di Beethoven. Ci vorranno però ancora circa vent’anni prima che la sua Sinfonia n.1 sia stampata. Lo strumentale della Serenata è già comunque del tutto paragonabile a quello di una grande composizione sinfonica. Le indicazioni di colori, gli impasti strumentali e gli andamenti ritmici si presentano pure di una tale complessità da richiedere sicuramente la presenza di una direzione che li coordini. La Camerata Salzburg, che invece si affida al violinista concertante, deve aver fatto sicuramente un gigantesco lavoro di preparazione, visto che l’esecuzione procede senza esitazioni, con assoluta pulizia e ammirabile sicurezza. Giovanni Guzzo, quasi defilato, con l’archetto del violino, regola gli attacchi con il concorso degli altri elementi del concertino, perfettamente coordinati con lui. Uno stupefacente ed efficacissimo lavoro di squadra che certifica lo sforzo di una gran quantità di ore di prova. A fuoco le sezioni degli archi, ma pure sorprendenti le prestazioni di legni e ottoni. Un’eccellente flautista, con i suoi numerosissimi e impeccabili interventi solistici, ha brillato tra gli strumentini. Lo scoppiettante esito complessivo, che pur non prescinde da risvolti più ombrosi e patetici, incanta l’uditorio e ne suscita incondizionati apprezzamenti e festose approvazioni.