Urbino, Palazzo Ducale
Galleria Nazionale delle Marche
Il ritorno dello Studiolo del Duca: un capolavoro restaurato alla sua unità iconografica e architettonica
Urbino, 30 maggio 2025
C’è un tipo di restauro che non aggiunge nulla. Non reinventa, non abbellisce, non interpola. Si limita a togliere l’inutile, a disfare l’artificio, a rimettere in ordine le cose così come erano nate: secondo un’idea e una volontà. È questo il caso dello Studiolo di Federico da Montefeltro nel Palazzo Ducale di Urbino, che il 30 maggio 2025 ha riaperto al pubblico dopo un intervento radicale, ma discreto, che ha restituito coerenza, coesione e misura a uno degli ambienti più emblematici della cultura umanistica italiana. L’intervento è stato diretto da Luigi Gallo, direttore della Galleria Nazionale delle Marche e della Direzione Regionale Musei Marche, con un’azione concertata tra il Ministero della Cultura, un’equipe di restauratori esperti e una squadra multidisciplinare che ha saputo coniugare rigore filologico e prassi conservativa contemporanea. Lo smontaggio completo delle tarsie lignee ha consentito trattamenti in anossia per debellare parassiti e valutare lo stato interno del legno, mentre l’intera architettura dello Studiolo è stata ripensata secondo criteri di veridicità percettiva: è stata adottata una nuova illuminotecnica ispirata alla luce naturale e rimosso ogni residuo di superfetazione ottocentesca. Il cuore dell’intervento è stato però la ricomposizione, per quanto possibile, del progetto iconografico originario. Delle 28 tavole raffiguranti gli Uomini Illustri voluti da Federico, quattordici sono conservate a Urbino; le altre quattordici, da secoli al Louvre, sono state riprodotte in alta definizione e reinserite grazie a un accordo tra i due musei.
Si tratta di una delle rarissime operazioni museografiche in cui la riproduzione non è surrogato, ma strumento di lettura autentica. Ne scaturisce un insieme che torna a essere leggibile secondo l’originaria intenzione: un pantheon di sapienti e santi, di filosofi e teologi, collocati in due registri iconologici secondo una logica tanto eterodossa quanto armonica. Lo Studiolo stesso, con le sue dimensioni anomale (3,60×3,35 m), si inserisce in un dispositivo simbolico più ampio, che lega le tre logge del palazzo – corpo, mente e spirito – in un percorso verticale di ascesi e introspezione. Le tarsie, opera di Benedetto e Giuliano da Maiano e di Baccio Pontelli, si sviluppano su tre registri: strumenti scientifici e musicali, armi, libri, emblemi, “imprese” araldiche, il tutto intarsiato con essenze preziose in una costruzione illusionistica che dilata lo spazio e lo riempie di memoria. Nel soffitto a cassettoni, araldi e simboli privati; nella fascia superiore, le tavole dipinte da Giusto di Gand e Pedro Berruguete.
Lo Studiolo era, ed è, il luogo dove il Duca si spogliava dell’armatura e si vestiva di sapere. Tutto in esso parla di una visione del mondo in cui l’intelletto non è mai disgiunto dalla volontà di potere, e la contemplazione è esercizio di dominio interiore. Ma il restauro ha restituito anche altri spazi fino ad ora trascurati: è stata ripristinata la latrina del Duca, ambiente igienico dalle straordinarie soluzioni architettoniche, e è stato finalmente riassemblato nella sua forma e posizione originaria il lavabo monumentale, collocato nella camera da letto del Duca, smontato nell’Ottocento e poi ricomposto secondo criteri documentari, grazie alle vedute di Romolo Liverani e ai rilievi ottocenteschi. La complessità del progetto ha reso necessario l’allestimento di un laboratorio temporaneo all’interno del palazzo, dove sono stati eseguiti tutti gli interventi di manutenzione, concludendosi con il trattamento in atmosfera modificata che ha garantito una disinfestazione completa dei legni.
L’intera operazione ha preso ispirazione dai restauri storici documentati da Otello Caprara (1969-72) e dalle procedure d’emergenza guidate durante la Seconda guerra mondiale da Pasquale Rotondi, all’epoca direttore del museo. A completare la restituzione dell’Appartamento del Duca, ora interamente visitabile, il riposizionamento delle opere più emblematiche della collezione: dalla Città Ideale al Doppio Ritratto di Federico e Guidobaldo, dal Miracolo dell’Ostia profanata di Paolo Uccello alla Comunione degli Apostoli di Giusto di Gand. Opere che tornano a vivere nel luogo per il quale furono pensate o al quale sono legate per necessità storica e iconografica. L’operazione compiuta a Urbino non è solo restauro, ma atto critico. Un ritorno non al passato, ma alla verità originaria delle forme. Un’opera d’arte, per esistere, ha bisogno d’essere capita. Ma prima ancora, ha bisogno di essere restituita al suo silenzio eloquente. Ed è proprio questo che lo Studiolo oggi ritrovato offre: non una narrazione, ma una presenza. Non una vetrina, ma una visione.