Venezia, Teatro La Fenice: “Attila”

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2024-2025
ATTILA”
Dramma lirico in due atti Libretto di Temistocle Solera e Francesco Maria Piave, dalla tragedia “Attila, König der Hunnen” di Zacharias Werner
Musica di Giuseppe Verdi
Attila MICHELE PERTUSI
Ezio VLADIMIR STOYANOV
Odabella ANASTASIA BARTOLI
Foresto ANTONIO POLI
Uldino ANDREA SCHIFAUDO
Leone FRANCESCO MILANESE
Orchestra e coro del Teatro La Fenice
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Light designer Alessandro Verazzi
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 18 maggio 2025
Negli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento, Venezia assume un ruolo fondamentale nella diffusione in Italia del repertorio verdiano: lo testimoniano i numerosi titoli proposti in laguna, tra cui diverse opere – Ernani, Attila, Rigoletto, La traviata, Simon Boccanegra – direttamente commissionate dal Teatro La Fenice. Per quanto riguarda Attila merita notare che la nona opera di Verdi, dopo la prima assoluta al teatro di Campo San Fantin (1846), risultò assente dalla scena veneziana per più di un secolo. La prima ripresa avverrà, infatti, non prima del 1951 (in forma di oratorio). E solo a partire dal 1975 il titolo verrà programmato con una certa regolarità. Doveroso, quindi, questo nuovo allestimento feniceo dell’opera a circa nove anni dal precedente del 2016. Figura storica controversa – per i latini il demonio, per gli ungheresi un eroe nazionale –, Attila intorno al￾la metà del V secolo d. C. entrava in Italia mettendo a ferro e fuoco molte fiorenti città del Nord-Est e innescando quel flusso migratorio, cui in passato si è attribuita – peraltro erroneamente, in base a recenti ricerche archeologiche – la nascita di Venezia. Resta in ogni caso la valenza simbolica del dramma lirico verdiano, che inizia con gli esuli di Aquileia che approdano in Rio-Alto, il luogo dove nascerà Venezia “Qual risorta fenice novella”, esplicito riferimento al teatro, in cui l’opera fu rappresentata per la prima volta, assurto a simbolo dell’intera città. Anche per questo richiamo alla città lagunare e al suo teatro Attila è forse la più ‘veneziana’ tra le opere commissionate a Verdi dalla Fenice. Essa divide con altri titoli del giovane Verdi, la qualifica di “opera risorgimentale”, per quanto la proposta di Ezio (“avrai tu l’universo, / Resti l’Italia a me”) possa essere considerata – al di là del solito cliché patriottico – un esempio di politica mercantile e spartitoria da ‘basso impero’. Una visione meno convenzionale riguarda anche il personaggio di Attila, che – accanto alla sua proverbiale ferocia – dimostra nel dramma anche una certa nobiltà d’animo come nel momento in cui si rivolge alla donna che lo trafigge con la sua stessa spada (“E tu pure, Odabella?”) attestando – come Cesare morente – un’etica superiore rispetto ai traditori che lo circondano. Un approccio problematico all’opera incentrata sul condottiero degli Unni pare essere anche quello del regista Leo Muscato, che cerca di rimanere il più possibile vicino alla complessità e alle contraddizioni dei personaggi, mettendo in secondo piano gli echi risorgimentali, oltre al mito della nascita di Venezia, per ricondurre l’opera al suo potenziale archetipico: la lotta di ogni popolo contro l’oppressore, un tema ancora drammaticamente attuale. La scena, spogliata di ogni orpello, è essenziale, improntata all’astrazione, lontana da ogni pretesa di fedeltà storica. Tale è l’impostazione di Federica Parolini, che ha creato un impianto scenico evocativo, pensato per dialogare con le luci di Alessandro Verazzi e atto a suggerire paesaggi naturali – una foresta, un terreno riarso –, spazi sospesi tra aria e fuoco, elementi ricorrenti nello spettacolo. Un impianto fisso che varia più che altro per l’alternarsi di scene di massa e squarci solitari. Anche i costumi ideati da Silvia Aymonino seguono questa linea di pensiero: stilisticamente astratti e lontani da ogni realismo, connotano – pur simili nelle loro fogge – due diverse civiltà. Nessuna scelta attualizzante riguarda le armi – non si vede nessun kalashnikov … – , bensì fedeltà all’epoca suggerita dal libretto. Unico elemento di modernità: i personaggi mostrano comportamenti vicini alla sensibilità di oggi. Il tutto per raccontare – senza cadere nelle ‘solite’ astruserie – il tramonto di un mondo, dove non esistono eroi positivi né possibilità di redenzione. Una tragica condizione esistenziale, che la musica di Verdi – caratterizzata da tonalità minori, timbri orchestrali gravi, suono denso e opprimente – sottolinea con forza. In sintonia con le scelte registiche – e la concezione verdiana –, la direzione musicale di Sebastiano Rolli si dimostra ‘storicamente informata’ nel valorizzare il ruolo dell’orchestra – che in certi momenti diviene il primo personaggio del dramma –, passando dall’intimismo cameristico alla banda militare, contrasti – funzionali alla definizione dei caratteri, dei sentimenti più diversi –, previsti dall’autore, che di teatro capiva qualcosa … Assecondato da un’Orchestra in piena forma, il direttore colornese ha, inoltre, assicurato un ineccepibile affiatamento tra la buca, il Coro e i cantanti; il che si è particolarmente apprezzato nelle scene d’insieme. Quanto alla compagnia di canto, il veterano Michele Pertusi – che sfoggia ancora una voce ragguardevole, adatta al ruolo, seppur affievolita nelle note più gravi – riesce a delineare il personaggio protagonista nei suoi tratti barbarici come nelle sue manifestazioni più nobili. Straordinaria l’Odabella di Anastasia Bartoli, che si impone per la brillantezza del timbro, la grande facilità negli acuti, la disinvoltura nell’affrontare le agilità, riuscendo ad essere sempre espressiva nei panni di una fanciulla guerriera. Positiva la prova di Vladimir Stoyanov che utilizza i propri mezzi vocali – in particolare timbro omogeneo e fraseggio espressivo – per consegnarci un Ezio senza troppi slanci patriottici, semmai disponibile a compromessi pur di sopravvivere alla fine dell’Impero; e quella di Antonio Poli, che grazie alla sua prorompente vocalità – seppur a tratti ancora un poco acerba – ha delineato un Foresto particolarmente drammatico. Di sicura professionalità gli interventi di Andrea Schifaudo (Uldino) e di Francesco Milanese (Leone). Duttile ed espressivo il Coro, istruito dal maestro Caiani. Caloroso successo, in particolare per Michele Pertusi, Anastasia Bartoli e il maestro Rolli.