87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino: “Aida”

87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, Sala Grande del Teatro del Maggio
AIDA
Opera in quattro atti, su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di GIUSEPPE VERDI
Aida OLGA MASLOVA
Amneris DANIELA BARCELLONA
Radams SEOKJONG BAEK
Amonasro DANIEL LUIS DE VICENTE
Ramfis SIMON LIM
Il re d’Egitto MANUEL FUENTES
Gran sacerdotessa SUJI KWON
Un messaggero YAOZHOU HOU
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Zubin Mehta
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Video rocafilm | Roland Horvath
Drammaturgia Mattia Palma
Movimenti coreografici Thomas Wilhelm
Allestimento della Bayerische Staatsoper di Monaco
Firenze, 25 giugno 2025
Assente in cartellone dalla rappresentazione del 2011, di cui alcuni spettatori ricorderanno il cinematografico allestimento di Ozpetek (inspiegabilmente mai riproposto), Aida torna al Festival del Maggio Musicale Fiorentino. La produzione della Bayerische Staatsoper, pur con le sue cifre stilistiche, solleva qualche riserva, col suo lasciare indefiniti i rapporti tra i personaggi e le dinamiche tra le due popolazioni. Domina lo squallore, luoghi chiusi che sono fin dal principio teatro di guerra, dove le scene di Paolo Fantin e le coreografie di Thomas Wilhelm materializzano i ricordi di un’Aida bambina, intenta a giocare con i compagni di scuola, in cui non c’è traccia delle tanto sospirate “foreste imbalsamate” del “patrio suol”. La regia di Damiano Michieletto e la drammaturgia di Mattia Palma battono, infatti, attorno alla condanna di una guerra che non porta onori o veri vincitori, ma solo distruzione e annichilimento, come testimonia il progressivo incenerimento scenico. Questo il maggiore punto di forza, che con la complicità delle truci proiezioni di rocafilmRoland Horvath culmina al momento del cerimoniale di premiazione dei condottieri, sulle note della marcia trionfale. Un messaggio chiaro e attuale, supportato dai moderni costumi di Carla Teti, tra i quali spicca l’abito nero con glitter dorati di Amneris; qui, le luci di Alessandro Carletti scivolano come a far trasparire una sorta di complementarietà con gli argentei bagliori della cenere, segno di un personaggio distrutto dal sistema del suo stesso popolo e dalla sua stessa indole. Ne risulta una linea registica indubbiamente significativa, ma calata in un quadro generale non sempre rispettoso del libretto e delle dinamiche interne, in cui l’apporto del maestoso e compatto coro di Lorenzo Fratini assume un ruolo cardine per la comprensione. A dispetto dei tanti anni di servizio alle spalle, la direzione di Zubin Mehta non perde i momenti di saggezza della “vecchia scuola”, restituendo con efficacia la concezione di una partitura pulsante e ricca di timbri evocativi, per una direzione caratterizzata da cromatismi audaci e silenzi eloquenti. Risulta, semmai, meno calzante la gestione ritmica, ora vibrante, ora rallentata nell’enfasi della sua magniloquenza, e la tendenza alla prevaricazione sonora, attitudini che hanno destato momenti di difficoltà tra i cantanti. Al limite del soddisfacente la performance del cast vocale, dominato dall’Aida di Olga Maslova, già convincente Turandot nel Festival dello scorso anno. La cantante russa è quella che meglio riesce nel sottile equilibrio tra intenzioni interpretative e risoluzione in voce, tratteggiando un personaggio credibile nella veemenza d’accento e capace d’immedesimazione nella culla della rievocazione della terra natìa, dove la voce si profonde in lunghi filati dal giusto squillo e dalla soffice proiezione. Non esente da qualche momento di maggiore fissità nei suoni (talora calanti in acuto) e da ristretti cromatismi, il soprano deve prestare attenzione agli estremi dell’estensione, che passano per qualche affondo più offuscato e da una ripetuta carenza d’armonici, che tanto sono mancati nella costituzione delle ipnotiche sospensioni acute a suggello della parte. Al suo fianco faceva sicura presa il singolare estro interpretativo-attoriale di Daniela Barcellona come Amneris, scolpita con un fraseggio permeato da combattiva prevaricazione, umano risentimento e inconsolabile rassegnazione. Ciononostante, il mezzosoprano non sembra del tutto a suo agio nel ruolo quanto a omogeneità e volume. La sua resa dà il meglio di sé nelle coinvolgenti volute proiettive del canto centro-acuto che foggiano la scena del giudizio e nel saggiare le fioriture d’inizio atto secondo, sebbene per una figlia del faraone di tutto rispetto ci saremmo aspettati maggiore rotondità e robustezza nella discesa ai gravi e acuti più folgoranti che stridenti. L’unico a brillare nella stratosfera dell’estensione era, dunque, il Radamès SeokJong Baek, stentoreo sulla tenuta di acuti, su cui si avverte la classica “lama” del tenore, ma decisamente più generico nel porgere e timbricamente meno compatto nel restante spettro vocale, a favore di un capitano non privo di momenti riflessivi, ma complessivamente piuttosto monocorde. Tra i vinti, Daniel Luis de Vicente esibisce il concitato piglio di un re oppresso, incastonato negli slanci di ampia gittata del tipico baritono verdiano, malgrado l’emissione risulti alle volte forzata e i suoni poco raccolti. Una caratteristica che l’accomuna al re egizio di Manuel Fuentes, risoluto in scena quanto fumoso nel timbro e, a tratti, al Ramfis di Simon Lim, che perlopiù riesce a compensare con volume e fermezza d’accento. Completavano la prova gli apporti di Yaozhou Hou, messaggero dal gentile timbro tenorile, e della sacerdotessa di Suji Kwon, che si è distinta per l’eterea e accurata esecuzione dal fuoriscena. Termina in tarda serata questa terza recita di Aida, tra gli applausi di un pubblico che sembra avere particolare entusiasmo soprattutto per il suo direttore onorario a vita.