Firenze, Teatro del Maggio Musicale, 87° Festival del Maggio Musicale Fiorentino – Amici della Musica di Firenze
Pianoforte Grigory Sokolov
William Byrd: “John come kiss me now” T478; “The first pavan. The galliard to the first pavan” T487; “Fantasia” T455; “Alman” T436; “Pavan: The Earl of Salisbury. Galliard. Second galliard” T503; “Callino casturame” T441; Johannes Brahms: Quattro Ballate op. 10; Due Rapsodie op. 79
Firenze, 16 giugno 2025
Nella Sala Zubin Mehta abbiamo assistito ad un altro memorabile concerto di Grigory Sokolov. Si è trattato dell’ennesimo ‘rito’ in cui all’ascoltatore è offerta la possibilità di lasciarsi coinvolgere dal suo suono che evoca suggestioni misteriose e profonde, a tratti anche dal carattere spirituale, concludendosi con grandi e reiterati applausi ricambiati dal pianista con una serie di inchini e con il dono degli ormai canonici sei fuori programma. In questa occasione le musiche non incluse in cartellone si sono incentrate sull’esecuzione di brani di Fryderyk Chopin (4 Mazurke: op. 30 n. 1; op. 50 n. 3; op. 68/2 n. 2; op. 68 n. 3, con al centro lo Studio op. 25 n. 2) e infine di Aleksandr Skrjabin (Preludio n. 4 op.11), spostandosi così dal clima romantico a quello più ‘nostalgico’ del Paese di Sokolov, includendo anche il ricordo del compositore russo a 110 anni dalla sua scomparsa. La sinergia del Maggio Musicale Fiorentino e degli Amici della Musica di Firenze ha realizzato un grande successo perché, ancora una volta, la loro collaborazione riesce a proporre un’offerta artistica di alto livello culturale, richiamando un numeroso pubblico da varie località. Uno degli aspetti di questo grande interprete che non può passare inosservato è sicuramente il voler far scoprire, attraverso il pianoforte, la bellezza e l’importanza della musica antica, ovvero quella scritta e concepita per altri strumenti a tastiera prima dell’avvento del pianoforte. Oltre che costituire un percorso musicale programmatico il musicista, attraverso le sue interpretazioni, ha realizzato un viaggio nel tempo, capace di connettere il presente al passato ove il far rivivere quest’ultimo necessita di consapevolezza storico-stilistica sapendo ‘tradurre’ un repertorio concepito, in questo caso, per altri strumenti a tasto, in particolare il virginale, il clavicembalo o l’organo. Nella ratio di questa proposta non si può escludere il forte interesse del pianista nei confronti di un ritorno alle radici: connessione con le tradizioni musicali e culturali di un passato che può, ancora oggi, indicare quella ‘retta via’ tanto necessaria per una contemporaneità sempre più ‘smarrita’. Il maestro, dopo il suo rituale inchino, nella prima parte del concerto dedicato
a William Byrd e alla letteratura virginalistica, molto popolare durante l’epoca elisabettiana, è sembrato accingersi a indossare le vesti di un musicista inglese vissuto tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo. Ogni composizione si è trasformata in un prezioso ricamo costruito spesso attraverso una scrittura fatta di brevi episodi con rimandi alla danza e al gioco imitativo tra le parti in cui la ricchezza espressiva, l’abbondanza e il modo di interpretare gli abbellimenti hanno adornato la melodia aggiungendo enfasi e virtuosismo, cogliendo altresì nell’ intentio dell’interprete una certa ‘purezza virginale’ del suono. Con Johannes Brahms è iniziata la seconda parte, caratterizzata dalla produzione giovanile con le Quattro Ballate op. 10 [n. 1 in re minore (Andante); n. 2 in re maggiore (Andante); n. 3 in si minore Intermezzo (Allegro); n. 4 in si maggiore (Andante con moto)], un ciclo ispirato alla celebre e triste ballata scozzese Edward. Composte nel 1854, per alcuni aspetti queste composizioni guardano al pianismo schumanniano oltre a ravvisare una spontaneità ed ispirazione proiettate verso l’intimismo romantico, interpretato profondamente dal pianista. Ascrivibili alla parte più centrale della produzione brahmsiana, le Due Rapsodie op. 79 del 1879 esprimono l’esigenza di liberarsi da certe strettoie formali pur accogliendo relazioni significative con le forme
della Ballata e dello Scherzo. È bastato ascoltare l’inizio imperioso e preciso dell’Agitato della Rapsodia in si minore, eseguita con un tempo giusto e non affannoso congiuntamente a significative variazioni di colore ed altro ancora, per comprendere con quanta accuratezza Sokolov abbia cercato di restituire l’immaginario sonoro e poetico di questa fase creativa del compositore tedesco. Per seguire quest’opera occorreva predisporsi all’ascolto di uno stile più sinfonico, anche dal punto di vista strutturale, in cui si potevano cogliere aspetti vigorosi rispetto ad altri lirici tanto da essere stati conquistati dal ‘canto’ del pianista come già dal primo tema, ben riconoscibile per la sua caratterizzazione ritmica (semiminima con il punto seguita dalla terzina di semicrome). Certe ‘oasi’ oniriche presenti in questa composizione sembrano quasi traghettare al Molto appassionato ma non troppo allegro della seconda Rapsodia in sol minore la quale, rispetto alla precedente, pur non allontanandosi, come nella prima, dall’allusione alla struttura sonatistica, inizia con un clima quasi passionale. Ascoltare e vedere il pianista russo è come vivere una serie di stati d’animo che nascono e si riflettono nella sua stessa impenetrabilità. Il pianismo di Sokolov, apparentemente proiettato verso un certo status quo, oltre che essere in continua ricerca di un qualcosa che indugia ancora a svelarsi, lo avvicina sempre più alla figura di autentico Wanderer, molto curioso e volto ad esplorare il bello senza tempo, approssimandosi così al Gotha dei pianisti leggendari. Foto Michele Monasta