Milano, Teatro alla Scala: “Siegfried”

Milano Teatro alla Scala, stagione d’opera e balletto 2024-25
“SIEGFRIED  (Der ring des Nibelungen)
Seconda giornata in tre atti. Testo e musica di Richard Wagner
Siegfried KLAUS FLORIAN VOGT
Mine WOLFGANG ABLINGER-SPERRHACKE
Der Wanderer MICHAEL VOLLE
Alberich ÓLAFUR SIGURDARSON
Fafner AIN ANGER
Erda CHRISTA MAYER
Brünnhilde CAMILLA NYLUND
Stimme der Waldvogels FRANCESCA ASPROMONTE
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Alexander Soddy
Regia David McVicar
Scene David McVicar, Hannah Postlethwaite
Costumi Emma Kingsbury
Luci David Finn
Milano, 21 giugno 2025
Il Ring scaligero con la seconda giornata supera il giro di boa. Ad andare in scena è “Siegfried” la più luminosa e positiva delle opere della Tetralogia, la fiaba iniziatica di sapore proppiano in cui spira l’incontenibile vento della baldanza giovanile. Quasi un’oasi serena in cui per un istante tutto sembra ricomporsi e la maledizione dell’anello finalmente spezzarsi.
David McVicar realizza qui il migliore tra gli allestimenti di questo Ring, quello in cui più riuscita è la convergenza tra l’idea di fondo e la realizzazione scenica. Merito primo per le magnifiche scene realizzate con Hannah Postlethwaite. La capanna fucina di Mine di un realismo fantastico e come incastonata in una foresta cupa e contaminata in cui gli alberi sono spirali ritorte e rinsecchite, mostruose escrescenze di un mondo vegetale corrotto. La foresta riprende questi stilemi, un groviglio di rami imprigionano figure antropomorfe, giganti prigionieri mutati in ibridi vegetali ma anche una proiezione delle tante figure trinarie del ciclo. Alle spalle si apre la grotta di Fafner, anch’egli ormai corroso dalla maledizione, non drago ma inquietante mostro scheletrico che ripropone quella cappa di morte che già aleggiava nelle architetture ossee del Nibelheim. Fermamente legato a un’idea fisica del teatro, McVicar rinuncia ad artifici meccanici e affida all’uomo ogni componente. Servi muti muovono il mostro e animano le scenografie. Molto interessante la caratterizzazione dei vari personaggi e il lavoro attoriale. Particolarmente riuscita la caratterizzazione di Alberich che fa propri i caratteri del fool del teatro elisabettiano, specchio grottesco ma verace del potere fa del Nibelungo il rovesciamento di Wotan, rovesciamento che disvela l’ambigua natura del Signore del mondo e se si pensa solo a quanto simili suonano i temi dell’anello e della Walhalla si può facilmente capire quanto siamo prossimi al pensiero wagneriano. Molto interessante il lavoro su Mime di cui si coglie il lato comico e malevolo a un tempo che qui si unisce a un’ambiguità di genere che riprende i tenori comici en travesti dell’opera secentesca e la rilevanza scenica dato all’Uccello di bosco. Suggestive le luci di David Finn. I costumi di Emma Kinsbury fondono passato e presente, mitologia e suggestioni punk mantenendo però una coerenza d’insieme che unifica gli elementi più disparati in una lettura unitaria e perfettamente funzionale. Alexander Soddy offre una lettura dominata da un’irresistibile afflato vitalistico. I tempi sono decisamente sostenuti ma le scelte ritmiche sono controbilanciate da sonorità ampie, nobili, coloristicamente molto belle. Soddy ama esaltare la bellezza dei colori orchestrali, l’ampiezza delle melodie rese con una cantabilità quasi italiana. La sua è una lettura fatta di chiaroscuri accentuati, di sonorità piene, ricche, squillanti che si esaltano nei grandi squarci lirici dove l’intera Natura sembra cantare con l’orchestra. Quando richiesto sa però lavorare anche di bulino, la scena tra Mime e Wotan è un piccolo gioiello teatrale reso con ritmi guizzanti e sonorità leggere capacità di dare tutto il senso di grottesco contrasto che caratterizza la scena. L’annunciata indisposizione non sembra aver influito molto sulla prestazione di Klaus Florian Vogt, cui forse si può attribuire solo un po’ di prudenza nel I atto. Vogt e Siegfried? L’eroe germanico per antonomasia e una voce lirica, nobilissima, ma di certo lontana da turgori da heldentenor. Un incontro rischioso ma vinto proprio per la capacità di andare oltre la superficie. Siegfrid non è solo l’eroe ma anche – e soprattutto – un fanciullo ingenuo dominato dallo stupore per le meraviglie del mondo. E’ già un puro folle anche se ancora non è giunto il tempo della karuna capace di redimere il mondo. Vogt magari non darà una lettura sfolgorate della forgiatura di Nothung ma quanta poesia in quello sguardo incantato sulle bellezze dei boschi o nei sogni della madre perduta. Quanto più ricco, più vero è il personaggio così spogliato di superflue magniloquenze. Magnifico il Wanderer di Michael Volle. La voce è ancora sontuosa per timbro e colore e di una potenza autenticamente soggiogante. Interprete raffinatissimo coglie sia l’ironico distacco nei confronti con Mime sia la profonda commozione con cui consegna ai giovani eroi la redenzione del mondo. Veramente degni di un Dio, per forza e nitidezza, dizione e accento. Wolfgang Ablinger-Sperrhacke sfrutta una voce da tenore caricaturale per caratterizzare un Mime in punta di forchetta, in cui i tratti comici particolarmente evidenziati sono sempre attenuati da un fondo di malevola untuosità. Voce ricca e potente e accento scavato e protervo per l’Alberich di Ólafur Sigurdarson capace di far percepire l’abisso di sofferenza che si cela dietro all’odio che divora il nibelungo. Purtroppo logoro e sgraziato il Fafner di Ain Anger, già deludente nel Prologo. Camilla Nylund è più a suo agio rispetto alla precedente giornata. La natura più lirica della sua vocalità si adatta meglio alla grande scena finale di quest’opera che agli impeti della precedente. Gli acuti sono sempre un po’ fissi e il peso specifico non eccezionale ma la morbidezza del canto e la nobiltà dell’accento le concedono momenti d’innegabile suggestione. La figura radiosa e materna ben giustifica l’illusione di Siegfried di aver ritrovato la madre. Christa Mayer è un’Erda dal timbro caldo e dalla linea di canto morbida, venata di una sensualità che la rende credibile come madre delle Valchirie. Interprete sensibile riesce insieme a Volle a dare il giusto risalto teatrale alla scena iniziale del I atto, attraversata da fremiti e pulsioni vanamente contrastate. Francesca Aspromonte non solo gorgheggia in modo squisito la parte dell’Uccello di bosco ma in sintonia con la regia contribuisce a dare al personaggio un insolito spessore teatrale. Foto Brescia & Amisano