Roma, Basilica di Massenzio
LE QUATTRO STAGIONI
Accademia Barocca di Santa Cecilia
solista e direttore Giovanni Andrea Zanon
voce recitante Toni Servillo
Roma, 08 giugno 2025
L’8 giugno 2025 ha segnato un momento di particolare rilievo nella storia della musica a Roma: l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è tornata ad esibirsi, dopo quarantasei anni di assenza, nella Basilica di Massenzio. L’evento inaugurale della rinnovata stagione concertistica nel sito archeologico, da poco restituito alla città dopo un quinquennio di restauri condotti dal Parco Archeologico del Colosseo, ha visto protagonista l’Accademia Barocca dell’istituzione ceciliana, in un’esecuzione filologica de Le quattro stagioni di Antonio Vivaldi. Il concerto, affidato al violino solista e concertatore Giovanni Andrea Zanon, è stato arricchito dalla recitazione dei sonetti vivaldiani – uno per ogni stagione – affidata alla voce autorevole di Toni Servillo e da un impianto visuale di videomapping che ha offerto una lettura immersiva e multimediale del ciclo musicale. L’approccio interpretativo scelto per questa storica riapertura si è attestato su un piano di rigorosa aderenza stilistica. L’Accademia Barocca, nata come formazione specializzata all’interno dell’organico sinfonico di Santa Cecilia, si distingue nel panorama italiano per la prassi esecutiva su strumenti originali o copie fedeli, nonché per un impegno filologico nella restituzione del repertorio sei-settecentesco. Il suono che ha risuonato tra le poderose volte di Massenzio si è dunque configurato come un ritorno non solo fisico, ma anche estetico: la timbrica barocca, asciutta e tagliente, il fraseggio mobile e agogicamente articolato, il vibrato contenuto e selettivo, hanno contribuito a ricostruire un contesto acustico coerente con la poetica vivaldiana. Giovanni Andrea Zanon, nel duplice ruolo di solista e concertatore, ha saputo delineare un disegno interpretativo centrato sulla mobilità retorica del gesto. Il suo violino, mai narcisistico, ha privilegiato l’articolazione della parola musicale, rendendo evidenti le corrispondenze tra testo poetico e tessuto sonoro. I celebri affreschi stagionali, lontani da qualsiasi tentazione illustrativa o pittoresca, sono emersi come dispositivi espressivi costruiti su un sapiente equilibrio tra descrittivismo programmatico e architettura musicale. Il fulmine invernale, l’ubriaco autunnale, la canicola estiva o la danza pastorale primaverile sono stati resi con un’eloquenza sobria, priva di effetti superflui, grazie a un controllo agogico e dinamico raffinato e a una perfetta intesa tra concertatore e compagine strumentale. La scelta di includere i quattro sonetti – probabilmente dello stesso Vivaldi – ha radicato ulteriormente l’esecuzione in una prospettiva filologica. L’intervento di Toni Servillo, calibrato nei toni e nel ritmo, ha agito da elemento metatestuale, ponendosi come cornice verbale al commento sonoro, e ribadendo quella corrispondenza tra musica e parola che è alla base dell’estetica barocca. L’alternanza tra recitazione e musica ha generato un continuum drammaturgico che ha scandito la forma ciclica dell’opera, amplificandone l’intelligibilità narrativa. L’uso del videomapping, raramente associato a esecuzioni filologiche, ha rappresentato un’ulteriore stratificazione sensoriale: in questo contesto, tuttavia, l’elemento visivo ha evitato l’effetto decorativo, interagendo con l’architettura stessa del monumento e proponendo immagini evocative che suggerivano atmosfere, stati d’animo e suggestioni stagionali, senza interferire con l’ascolto o deviarne l’attenzione. Non è un caso che la scelta sia ricaduta su Le quattro stagioni.
Come ricordato da Massimo Biscardi, presidente-sovrintendente dell’Accademia, l’opera vivaldiana, pur essendo oggi tra le più celebri del repertorio barocco, fu oggetto di una lunga damnatio memoriae musicale. I manoscritti rimasero dimenticati fino al primo Novecento e la loro riscoperta fu frutto di un meticoloso lavoro di catalogazione, studio e trascrizione, a cui contribuì in maniera determinante proprio l’Orchestra di Santa Cecilia. La prima registrazione integrale delle Stagioni, nel 1942, fu infatti realizzata sotto la bacchetta di Bernardino Molinari per la casa discografica Cetra, segnando un momento fondativo per la fortuna discografica moderna del ciclo vivaldiano. La scelta di tornare a Massenzio con questa partitura ha dunque assunto un valore profondamente simbolico: è un omaggio alla memoria storica dell’istituzione, ma anche una dichiarazione d’intenti sulla sua missione odierna di custode e mediatore del patrimonio musicale. Non meno significativo è stato il ritorno della musica in un luogo che, per quasi mezzo secolo, fu teatro privilegiato della stagione estiva ceciliana. Dal 1933 al 1979, la Basilica di Massenzio ha ospitato 693 concerti: una vera e propria “sala” all’aperto dove si sono succeduti direttori del calibro di Tullio Serafin, Guido Cantelli, Vittorio Gui, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, Claudio Abbado, Riccardo Muti e Leopold Stokowski, solo per citarne alcuni.
Fu proprio in questo contesto che, nel luglio del 1938, Bernardino Molinari diresse L’Inverno di Vivaldi, mentre nel 1966 Stokowski affrontò l’intero ciclo vivaldiano sul podio dell’Orchestra di Santa Cecilia. La ripresa di questa tradizione – resa possibile dall’allestimento di un nuovo palco integrato nella struttura archeologica e da un’attenta progettazione acustica e scenotecnica – si pone come atto di rigenerazione culturale e progettuale. Il ritorno della musica dal vivo in uno spazio antico non è solo un’operazione di valorizzazione turistica, ma un gesto di riconquista semantica: la monumentalità della Basilica di Massenzio, già concepita come spazio civile di rappresentazione pubblica, diventa nuovamente agorà sonora, luogo di incontro tra stratificazioni storiche e linguaggi contemporanei. La promessa, annunciata per il 2026, di un festival sinfonico-corale estivo curato dall’Accademia di Santa Cecilia si inserisce coerentemente in questo orizzonte. Il connubio tra prassi esecutiva filologica, repertorio sinfonico e spazi monumentali configura un modello replicabile, in cui la musica agisce come agente attivo di senso nel paesaggio urbano. In tal senso, l’evento dell’8 giugno non è stato solo una cerimonia inaugurale, ma un atto fondativo: ha sancito il ritorno di una voce autorevole in un luogo carico di memoria, aprendo la strada a nuove modalità di fruizione musicale dove l’estetica dell’ascolto si intreccia con l’archeologia, la storia e la tecnologia. La serata a Massenzio ha rappresentato un esempio virtuoso di come la musica colta, quando sostenuta da una visione progettuale solida e da un approccio interpretativo consapevole, possa riattivare luoghi e memorie, offrendo al pubblico non solo un concerto, ma un’esperienza estetica completa e stratificata, capace di unire passato e presente in un’unica, potente vibrazione sonora.
Roma, Basilica di Massenzio: “Le quattro stagioni di Vivaldi”
