Roma, Museo Etrusco di Villa Giulia
UNA STORIA INFINITA. ARTE ORAFA DA CASTELLANI A BVLGARI
Roma, 23 giugno 2025
La mostra Una storia infinita. Arte orafa da Castellani a Bvlgari, recentemente inaugurata presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, non si configura come un semplice itinerario espositivo, bensì come un’operazione di scavo nella memoria profonda dell’Italia premoderna, una meditazione per oggetti su quella lunga durata dell’identità culturale che trova nella forma artistica il proprio sigillo simbolico e morfologico. L’esposizione, resa possibile da un’intelligente e lungimirante sinergia tra il Ministero della Cultura e la Fondazione Bvlgari, intreccia in un’unica trama auratica l’oreficeria etrusca, il revival neoclassico ottocentesco e le reinvenzioni contemporanee del lusso romano, tracciando un filo d’oro che attraversa i secoli con la continuità di un tema musicale sottoposto a infinite variazioni. L’oro, materia per eccellenza incorruttibile, metafora dell’eterno e dell’assoluto, si fa qui sostanza narrante, documento primario di un’antropologia estetica che dall’Etruria giunge sino alle vetrine novecentesche di via Condotti. È un oro che non scintilla soltanto, ma che parla, che pesa, che custodisce in sé la grammatica perduta dei gesti rituali e la sintassi sontuosa dell’identità nobile. Non si tratta dunque di una mostra sull’ornamento, ma di una riflessione stratificata sull’ontologia dell’ornare: sul bisogno umano, antico quanto la sepoltura e il canto, di affermare mediante la forma la propria appartenenza a un mondo intelligibile. Villa Giulia, con la sua nobile architettura cinquecentesca concepita da Vignola, Vasari e Ammanati, si rivela in questo contesto cornice non ornamentale ma strutturale: non semplice contenitore, ma dispositivo critico di lettura.
Essa stessa luogo-palinsesto, già corte papale e ora museo, diventa teatro silenzioso di una civiltà che ancora ci interroga dal profondo delle urne, dei diademi e delle fibule. Il progetto curatoriale non si limita a giustapporre opere in sequenza cronologica, ma disegna un vero e proprio campo di forze, in cui gli ori etruschi dialogano con quelli dei Castellani, e questi ultimi, a loro volta, si rispecchiano nelle geometrie fluide e nelle campiture cromatiche dei pezzi firmati Bvlgari. Gli Ori Castellani – apice dell’archeologismo ottocentesco e manifesto della rinascita identitaria post-unitaria – assumono qui il ruolo di cerniera semiologica: figli devoti dell’antico, essi ne custodiscono le tecniche (granulazione, filigrana, cesello), ma ne trasfigurano i significati in funzione di una modernità ideale e colta, erede tanto dell’erudizione antiquaria quanto dell’estetica neoclassica. Fortunato Pio e Alessandro Castellani, con la loro straordinaria operazione di restituzione della forma etrusca, compirono un gesto che potremmo definire di filologia creativa, ponendo la propria bottega – vera e propria scuola di pensiero e di mestiere – al crocevia tra scavo archeologico, produzione artistica e costruzione della memoria nazionale. Le creazioni della Collezione Heritage Bvlgari, che in mostra risuonano accanto a questi capolavori ottocenteschi, non sono da intendersi come appendici glamour o vezzi postmoderni, bensì come epifanie di una continuità inattesa, come variazioni stilistiche di un medesimo codice originario.
In esse, l’eco dell’etrusco e del classico non è mai imitazione sterile, ma materia viva, ricodificata attraverso un linguaggio plastico che attinge all’opulenza mediterranea, alla monumentalità romana, al barocco solare della capitale. Le spille, i pendenti, le collane firmate Bvlgari parlano la lingua di un lusso colto, consapevole, quasi archetipico, che restituisce al corpo moderno il rango sacrale che possedeva in antico. Tale corrispondenza tra forme lontane nel tempo ma vicine nello spirito trova fondamento non soltanto nella scelta degli oggetti, ma anche nella loro illuminazione: l’intervento di relamping finanziato dalla Fondazione Bvlgari non è un mero adeguamento tecnico, bensì un atto museologico fondativo, che restituisce profondità plastica, intellegibilità formale e densità emozionale ai manufatti esposti. La luce, come l’oro, non è decorazione, ma epifania: consente agli oggetti di manifestarsi nella loro completezza e al visitatore di accedervi non da spettatore, ma da testimone. Nel contesto di questa rinnovata alleanza tra pubblico e privato, che non si limita alla conservazione ma si estende al volontariato culturale e all’educazione patrimoniale, il museo archeologico riconquista la propria funzione originaria: non mausoleo, ma luogo di trasmissione civile, non archivio del passato ma corpo vivo della comunità.
Questo allestimento si propone allora come paradigma di un metodo: quello che considera la bellezza come documento, la materia come narrazione, l’ornamento come architettura simbolica. Nella sala , si è colpiti non tanto dalla varietà dei pezzi, quanto dalla coerenza profonda del loro disporsi nel tempo e nello spazio. È come se, nel gioco dei rimandi formali e delle citazioni iconografiche, si celasse una partitura unica, antica e sempre nuova, che attraversa le epoche come un fiume carsico: ora visibile, ora nascosto, ma sempre presente. In questo senso, l’arco che va dagli artigiani etruschi ai maestri orafi del XXI secolo non è una parabola discendente né una linea spezzata, ma una curva continua, che si avvita attorno a un nucleo inalterabile: il desiderio umano di dare forma alla luce. Ecco perché questa mostra, lungi dall’essere una celebrazione estetizzante o un’operazione di marketing culturale, si presenta come un esercizio di responsabilità. Perché riattivare la memoria dell’oro non significa soltanto ammirarne la bellezza, ma riconoscerne il potere simbolico: quello di connettere, di durare, di illuminare. In un’epoca smemorata, in cui il consumo della forma spesso soppianta il rispetto per la sua origine, Una storia infinita ci invita, con raro equilibrio, a rallentare lo sguardo e ad ascoltare il racconto che la materia, in silenzio, continua a tramandare.
Roma, Museo Etrusco di Villa Giulia: “Una storia infinita. Arte orafa da Castellani a Bvlgari”
