Camilla Ancilotto, “Ab Ovo – Ippocampo”: vicende di una scultura dispersa e restituita
Sopravvissuta all’esplosione di Beirut, ritrovata dopo sei anni, l’opera in acciaio e foglia d’oro di Camilla Ancilotto torna visibile a Palazzo Valentini per la Biennale della Riviera Romana. «L’opera non ha mai smesso di esistere, anche quando era assente», afferma l’artista.
È raro, oggi, che un’opera d’arte porti su di sé le tracce vere del tempo, non in senso metaforico ma letterale. L’abitudine moderna a trattare l’arte come elemento da esposizione in ambienti neutri – puliti, controllati, illesi – ha quasi del tutto cancellato l’idea che un oggetto artistico possa attraversare eventi storici senza soccombervi, e anzi, da essi essere trasformato. La scultura di Camilla Ancilotto intitolata Ab Ovo – Ippocampo, in esposizione a Palazzo Valentini dal 14 al 30 luglio nell’ambito della Biennale Internazionale d’Arte della Riviera Romana, rappresenta un raro esempio di sopravvivenza materiale e formale. Si tratta di un’opera in acciaio lucidato a specchio, composta secondo un principio modulare ispirato al Tangram cinese, e impreziosita da inserti in foglia d’oro 24 carati. Il soggetto, un ippocampo, appartiene a quell’iconografia anfibia che attraversa indistintamente il mondo greco e romano, la zoologia mitica e la neuroanatomia. Ma al di là delle intenzioni formali e simboliche dell’artista – che meriterebbero altra e più ampia sede – quel che davvero interessa è la vicenda storica dell’opera, ovvero ciò che la distingue da tante, troppe produzioni contemporanee prive di qualunque peso oggettivo. Nel settembre del 2019 l’opera viene spedita a Beirut per essere esposta presso la galleria Belvedere Art Space. È collocata in un Paese già segnato da un’instabilità cronica, che tuttavia ancora ospita momenti significativi di scambio artistico. Poco meno di un anno dopo, il 4 agosto 2020, la devastante esplosione che colpisce il porto di Beirut riduce in macerie una vasta area urbana, travolgendo anche la sede della galleria. Dell’opera si perdono le tracce. Inizia allora una lunga serie di richieste, tentativi, corrispondenze interrotte e promesse disattese, fino al 2024, quando l’artista apprende che la galleria ha nel frattempo trasferito le sue attività a Dubai. È solo grazie all’intervento del Consolato italiano negli Emirati che Ab Ovo – Ippocampo viene infine ritrovata e riportata in Italia. Ora, a chi scrive non interessa indulgere in sentimentalismi o retoriche di resurrezione. Ma è difficile ignorare la carica concreta che un’opera assume dopo una lunga assenza, soprattutto quando questa assenza non è solo fisica ma anche simbolica. Ab Ovo – Ippocampo ritorna in un luogo preciso – una sala affrescata del Settecento, parte dell’apparato decorativo voluto dal cardinale Giuseppe Spinelli – e lì si confronta non con uno spazio astratto, ma con superfici, misure, cornici e proporzioni che hanno una storia. La scultura, riflettente e scindibile in moduli, non si limita a occupare un punto della sala: lo scompone, lo rifrange, lo reinventa attraverso il riverbero del metallo. In questo senso, l’opera non “dialoga” con l’ambiente (espressione ormai logora), ma ne riattiva i volumi, ne mostra i margini, ne rompe la simmetria. L’oro, utilizzato con misura e intelligenza, introduce un elemento di latenza sacra, senza scivolare nella decorazione gratuita. Ancilotto conosce bene il rischio della brillantezza: sa che l’oro deve esistere come accento, mai come superficie dominante.
E infatti l’opera riesce a mantenersi in equilibrio tra monumentalità e dettaglio, tra organicità del soggetto e scomposizione geometrica della forma. Il risultato è qualcosa che – a dispetto della levigatezza dei materiali – ha una struttura interna che non cede alla contingenza, e che si presta alla visione tanto quanto alla riflessione. Il tema scelto dalla Biennale 2025, Arte e Giubileo: un cammino di speranza verso la luce, rischierebbe in altri contesti di suonare vago, quasi omiletico. Qui, invece, acquista un senso non dichiarato ma praticato. L’opera non rappresenta la speranza, non illustra la luce: è semplicemente riemersa da un contesto di oscurità reale – la polvere, il silenzio, la distanza. La sua presenza fisica è già una testimonianza. È in questo quadro che va letta anche la doppia esposizione dell’artista: mentre Ab Ovo – Ippocampo è collocato a Palazzo Valentini, una seconda scultura, Ab Ovo – Rabbit, è visibile dal 12 luglio al 31 agosto presso il Castello di Santa Severa. Anche qui il principio è modulare, ma le condizioni espositive mutano: dalla sala chiusa alla luce serale del litorale, dalla riflessione interiore alla proiezione esterna. Sarebbe ingenuo trarre da tutto ciò una morale. Ma ciò che resta, osservando Ab Ovo – Ippocampo oggi, è un senso raro di oggettività. Non c’è nulla, in quest’opera, che invochi l’attualità per forza. Nulla che pretenda di spiegare o persuadere. La sua esistenza è già una forma di persistenza. E, per una volta, non si tratta di una metafora.
Roma, Palazzo Valentini: “Ab Ovo-Ippocampo” di Camilla Ancilotto
