Roma, Teatro dell’Opera: “Carmen” (Cast Alternativo)

Roma, Teatro Costanzi
“CARMEN”
Opéra-comique in quattro atti su libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy dalla novella di Prosper Mérimée

Carmen KETEVAN KEMOKLIDZE
Micaela EKATERINA BAKANOVA
Frasquita MEGHAN PICERNO
Mercedes ANNA PENNISI
Don José
JORGE DE LEON

Escamillo ANDREI BONDARENKO
Le Dancaire ALESSIO VERNA
Le Remendado BLAGOJ NACOSKI
Morales MATTEO TORCASO
Zuniga NICOLAS BROOYMANS
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma (maestro Alberto de Sanctis)
Direttore Omer Meir Wellber
Maestro del coro Ciro Visco
Regia Fabio Ceresa
Scene e Costumi  Renato Guttuso
Luci Giuseppe di Iorio
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma

Riproposto nella versione storica del 1970
Roma, 25 giugno 2025
Dopo il debutto, uno sguardo a una replica con cast alternativo rivela nuove sfumature in una partitura che vive di continua reinvenzione. Alla guida dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, Omer Meir Wellber conferma la sua statura direttoriale con una lettura di Carmen di solida coerenza e impeto drammatico. La sua direzione riesce a fondere rigore strutturale e slancio teatrale, in un equilibrio espressivo che si irradia attraverso il fraseggio plastico, l’intelligenza dinamica e un uso del tempo musicale sempre misurato. L’orchestra, da lui plasmata con gesto fermo ma comunicativo, ha restituito un suono denso e calibrato, in cui i diversi registri timbrici si integrano con naturalezza: dagli archi levigati e mobili ai fiati cesellati, fino alle percussioni, incisive senza mai soverchiare. Wellber ha dimostrato un controllo assoluto della materia musicale, costruendo una concertazione fluida e articolata, capace di accompagnare le voci senza ingabbiarle, sostenendole piuttosto con discrezione e attenzione. Ne emerge una Carmen piena di tensione interna e vitalità narrativa, dove l’impulso ritmico si piega con duttilità alla logica della parola scenica, e il respiro orchestrale segue con naturalezza le pieghe del dramma. La scelta di riproporre un allestimento già noto risulta così giustificata da una rinnovata linfa interpretativa, che rende questa edizione viva e convincente sul piano musicale. Tra le voci protagoniste, Jorge de León affronta il ruolo di Don José con una vocalità generosa, ben sostenuta sul fiato e solida nell’emissione. Il tenore spagnolo mostra una buona omogeneità tra i registri e una proiezione sonora efficace, con acuti sicuri e timbrati. Tuttavia, l’approccio resta prevalentemente lineare, con un fraseggio spesso privo delle mezzevoci e delle modulazioni dinamiche che restituiscono la fragilità interiore del personaggio. L’aria La fleur que tu m’avais jetée, banco di prova per ogni Don José, è resa con correttezza tecnica e buona intonazione, ma manca di quella sospensione emotiva che ne fa uno dei vertici lirici dell’opera. Anche sul piano attoriale, de León privilegia l’efficacia vocale a scapito dell’introspezione: la sua gestualità rimane scolastica, poco articolata, convincente nei momenti di tensione fisica, ma meno efficace nei duetti più intimi. In sintesi, una prova robusta sotto il profilo tecnico, ma ancora distante dalla piena maturità interpretativa richiesta dal ruolo. Di ben altro spessore l’interpretazione di Ketevan Kemoklidze nel ruolo eponimo. Il mezzosoprano georgiano offre una Carmen di notevole completezza, tanto sul piano vocale quanto su quello scenico. Il timbro ambrato, pastoso, dai gravi ricchi e sicuri, si unisce a un’emissione fluida e a un legato controllato, capace di sostenere l’intera tessitura con omogeneità e intensità. La voce si muove con agilità tra le varie sfumature espressive, e il fraseggio risulta musicalissimo, attento alle inflessioni del testo e sempre calibrato. Kemoklidze domina la scena con eleganza naturale e una sensualità mai caricaturale, componendo un personaggio sfaccettato, terreno, libero, fortemente credibile. L’Habanera è resa con un’ironia sottile e disincantata, mentre l’ultima scena, nella sua tragica inevitabilità, vibra di tensione e orgoglio ferito. Una prova di grande maturità e consapevolezza. Nel ruolo di Escamillo, Andrei Bondarenko si presenta con carisma e una vocalità potente, affrontando la Chanson du Toréador con notevole impeto. Il timbro caldo e maschile si presta bene alla spavalderia del personaggio, e la linea vocale, soprattutto nei centri, si impone con autorevolezza. La figura scenica, però, risulta meno convincente sul piano attoriale: l’interprete appare talvolta rigido nei movimenti e poco disinvolto, lontano dalla naturalezza seduttiva che il ruolo richiederebbe. L’irruenza interpretativa, pur efficace sul piano sonoro, porta a un’emissione non sempre rifinita, specie nei passaggi finali del brano, dove il controllo si allenta e il suono si fa meno nitido. Nel ruolo di Micaëla, Ekaterina Bakanova offre un’interpretazione emotivamente sincera, ma non priva di irregolarità sul piano vocale. La sua presenza scenica, pur delicata e luminosa, risente di una proiezione vocale a tratti contenuta, con una voce che tende ad affievolirsi nei passaggi orchestrali più densi. Alcuni momenti chiave, come l’aria Je dis que rien ne m’épouvante, evidenziano una linea di canto accurata e musicalmente sensibile, ma compromessa da un affaticamento vocale che ne limita la tenuta sul fiato e la coerenza dell’arco espressivo. La sensibilità interpretativa è indubbia, ma resta condizionata dal dialogo altalenante con la direzione musicale: i tempi imposti dall’orchestra talvolta sembrano sottrarle respiro, minando l’equilibrio tra fraseggio e proiezione. Una Micaëla fragile e toccante, ma non sempre a fuoco nei mezzi vocali. Tra i ruoli comprimari, da segnalare la buona coesione dell’ensemble: Meghan Picerno (Frasquita) e Anna Pennisi (Mercedes) offrono voci ben tornite e precise nei concertati; Alessio Verna (Dancairo) e Blagoj Nacoski (Remendado) danno vivacità alle loro brevi apparizioni, mentre Nicolas Brooymans (Zuniga) e Matteo Torcaso (Morales) confermano solidità vocale e presenza scenica adeguata. Un insieme affiatato e ben calibrato, funzionale all’economia della messinscena. Infine, il coro – preparato con rigore da Ciro Visco – ha dato prova di eccellente compattezza e slancio teatrale. L’omogeneità timbrica, la precisione ritmica e la chiarezza dell’articolazione hanno restituito un suono d’insieme di grande impatto. Di particolare suggestione l’intervento del primo atto, arricchito dalle voci bianche dirette da Alberto De Sanctis, che hanno aggiunto freschezza e brillantezza timbrica all’insieme. Un apporto corale che ha sostenuto con efficacia il ritmo interno dell’opera e la sua funzione narrativa, contribuendo in modo sostanziale al successo musicale della serata. Una platea forse più incline all’effetto che all’ascolto analitico, ma comunque partecipe e generosa nel tributo finale.