Dopo Nabucco e Aida, venerdì 27 giugno (21.30) va in scena La Traviata nell’elegante allestimento di Hugo De Ana, che mancava in Arena da nove anni. Una Parigi belle époque rivive sull’immenso palcoscenico areniano con un cast di stelle internazionali: Angel Blue, al suo debutto assoluto in Arena, Galeano Salas e Amartuvshin Enkhbat. E sul podio Speranza Scappucci a dirigere Orchestra e Coro di Fondazione Arena per la prima volta in un’opera, dopo il Requiem verdiano nel 2021.
Debutti e ritorni illustri anche nelle repliche del 5, 11, 19, 25 luglio e 2 agosto: Feola, Sierra, Scala, Korchak, Salsi e Tézier, e sul podio Ommassini.
Accanto a loro, apprezzati giovani ed esperti interpreti nelle parti di fianco: Sofia Koberidze è Flora, Francesca Maionchi Annina, Carlo Bosi il visconte Gastone, Gabriele Sagona il barone Douphol, Jan Antem il marchese d’Obigny, Giorgi Manoshvili il dottor Grenvil, gli esordienti Hidenori Inoue e Alessandro Caro, a cui si avvicenderanno nel corso delle repliche Matteo Macchioni, Nicolò Ceriani e Francesco Cuccia. Il Ballo areniano, coordinato da Gaetano Bouy Petrosino, animerà le feste dell’opera secondo le coreografie di Leda Lojodice, mentre l’Orchestra di Fondazione Arena e il Coro preparato da Roberto Gabbiani.
La Traviata, nell’edizione creata da Hugo De Ana per il Festival 2011, Anniversario dell’Unità d’Italia, inizia come la fonte letteraria di Verdi: come nella Signora delle camelie, realmente esistita e raccontata da Alexandre Dumas figlio, si vede ciò che resta di Violetta, le ultime cose all’asta. Solo dopo, a ritroso, come in un sogno o un lungo flashback, conosciamo lei, il suo mondo, la sua storia. Le cornici vuote, colossali strutture finemente decorate di fine ‘800, prendono vita e si popolano di balli e feste. E se, per regia, costume e colpo d’occhio, la “fedeltà al libretto” è assicurata, gli elementi scenici sono anche altamente simbolici: specchi, arazzi e cornici inquadrano i diversi atti come opere d’arte, come una vicenda privata diventata mito. Quando il clamore pubblico tace e si spengono le luci, rimane lei, Violetta, al centro di tutto, nella sua parabola di amore e sacrificio.
«Un dramma intimo come quello di Traviata in uno spazio particolare come l’Arena, il palcoscenico più grande del mondo, è una sfida che offre mille possibilità ed altrettante difficoltà». Così Hugo De Ana presentava il proprio lavoro nel 2011. «Ho voluto ambientarla nella Parigi del 1890, periodo d’oro per il melodramma ma molto critico dal punto di vista sociale, che evidenzia la visione del dramma vissuta in prima persona da Verdi. Lo spettatore si troverà di fronte ad una pinacoteca smontata, […] uno spazio pieno e vuoto al tempo stesso, come la Parigi che si annida nel cuore di Violetta. Percorrerà l’opera il tema del ricordo. […] Violetta vince la morte con le sue stesse forze, è un personaggio eterno come l’amore è eterno, e la morte rappresenta solo l’immortalità dell’una e dell’altro».