Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2024-2025
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Ivor Bolton
Soprano Francesca Aspromonte
Tenore Juan Sancho
Basso Luca Tittoto
Igor Stravinskij: “Pulcinella”, balletto in un atto per piccola orchestra con tre voci soliste su musiche di Giovanni Battista Pergolesi; Felix Mendelssohn Bartholdy: Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 “Scozzese”
Venezia, 27 giugno 2925
Le impressioni suscitate nel rispettivo autore da un soggiorno in terra straniera si rispecchiano in entrambe le composizioni – pur così distanti tra loro quanto a stile e contesto storico-culturale di riferimento –, che costituivano il programma del recente concerto, che vedeva Ivor Bolton sul podio dell’Orchestra del Teatro La Fenice e la partecipazione del soprano Francesca Aspromonte, del Tenore Juan Sancho e del Basso Luca Tittoto. Nel caso di Stravinskij, l’ispirazione per Pulcinella fu influenzata da un suo soggiorno napoletano. Sceso in Italia nel 1917 dalla Svizzera in cui allora risiedeva, l’artista di Oranienbaum si recò insieme alla compagnia di Diaghilev – i celebri Ballets russes – a Roma, dove l’impresario debuttava con Les femmes de bonne humeur, un balletto basato su alcune sonate di Domenico Scarlatti – orchestrate per l’occasione – con la coreografia di Leonide Massine. L’anno successivo, il successo riportato, anche con la complicità di Scarlatti, spinse Diaghilev a commissionare a Stravinskij – nel frattempo impostosi autorevolmente con l’Histoire du soldat – un nuovo balletto basato su musiche di un altro celebre italiano: Giovan Battista Pergolesi. A questo proposito, il compositore russo ebbe a confessare che mentre delineava il suo Pulcinella era ancora suggestionato da un episodio, accaduto quando nel 1917 soggiornava a Napoli, durante il quale aveva assistito, in una sala maleodorante – insieme a Picasso, incaricato poi di ideare le scene e i costumi del balletto ‘pergolesiano’ –, a una rappresentazione buffa, in cui la maschera partenopea per eccellenza si lasciava andare a movenze e parole lascive. Ad un altro soggiorno rimanda, fin nel titolo, la sinfonia n. 3 il la minore “Scozzese” di Felix Mendelssohn Bartholdy. Il compositore, nel 1829, visitò la Scozia insieme all’amico di famiglia Carl Klingemann, rimanendo particolarmente impressionato dall’Holyrood Palace e da altri luoghi legati a Maria Stuarda, fra cui le rovine della cappella, dove la sventurata regina fu incoronata: proprio qui ebbe l’ispirazione per l’inizio della “Sinfonia scozzese”, il cui primo tempo sarebbe stato abbozzato due anni dopo durante il suo soggiorno romano – insieme allo schizzo della Sinfonia “Italiana” –, per essere completamente sviluppato solo un decennio dopo (l’ambiente romano contrastava troppo rispetto al brumoso paesaggio scozzese). Questa la genesi dell’ultimo dei cinque lavori sinfonici del compositore – anche se complesse vicende editoriali hanno portato a un ordine di pubblicazione diverso –, che rappresenta la risposta matura di
Mendelssohn all’esigenza di rinnovamento della sinfonia dopo il sommo esempio di Beethoven, che aveva reso il genere sinfonico veicolo di forti tensioni ideali. La sensibilità romantica spinse il compositore a trovare la giusta soluzione del problema anche creando una dimensione paesaggistica, naturalistica, peraltro senza ricorrere ad approcci descrittivi o folcloristici, bensì rievocando atmosfere e impressioni del viaggio giovanile, in un continuum narrativo e concettuale, che dà unità ai quattro movimenti, concepiti per essere eseguiti senza cesure. Di grande impatto armonico e timbrico è risultata l’esecuzione di Pulcinella, “Ballet avec chant” composto tra il 1919 e il 1920 ed eseguito per la prima volta il 15 maggio 1920 a Parigi sotto la direzione di Ernest Ansermet con le coreografie di Léonide Massine e i costumi e le scene di Pablo Picasso. Tutte le sezioni come i singoli strumenti dell’Orchestra, guidati dal gesto di icastica chiarezza del maestro Bolton, hanno brillantemente affrontato questa impervia partitura, in bilico tra Settecento e Novecento, dove Pergolesi e Stravinskij risultano complementari: rimangono le linee melodiche dei brani utilizzati al pari dei bassi, ma l’armonia viene alterata, straniata – “sporcata” come si dice in gergo – con dissonanze e poliarmonie, il ritmo viene sovente
spezzato da sincopi e spostamenti di accento, la strumentazione è assolutamente innovativa. Esemplare il contributo dei cantanti, che hanno interpretato con espressività e compostezza stilistica, attenzione al testo e controllo della voce, melodie di carattere, duetti, trii, che costituiscono altrettanti intermezzi all’azione scenica. Intensamente romantica si è rivelata la lettura offerta dal direttore britannico della Sinfonia scozzese, sempre assecondato da una compagine orchestrale perfettamente in sintonia. Grave e solenne è iniziato il primo movimento, Andante con moto, dove oboi, clarinetti, fagotti e corni – tipico impasto timbrico romantico – hanno rievocato, con la sinuosità del fraseggio in tonalità minore, la ricordata visita alla cappella di Maria Stuarda. Un’analoga atmosfera carica di mestizia veniva ribadita dagli archi nell’Allegro un poco agitato con la loro entrata in pianissimo, intonando una variante ornata del tema d’apertura. Dopo il secondo tema – un intermezzo lirico – e l’elaborato sviluppo, passaggi cromatici e forti contrasti – quasi una tempesta – hanno percorso la lunga coda. Un momento magico ci ha sedotto con il Vivace non troppo – premesso al tempo lento –, che ha ricordato un’analoga pagina di A Midsummer Night’s Dream per l’agitazione diffusa, la scrittura trasparente e l’intreccio delle voci strumentali; suggestivo il clarinetto nell’iniziale motivo pentatonico, tipico della cornamusa, come il conclusivo pianissimo. Un recitativo dei violini ha immesso nell’Adagio, una delle pagine più suggestive di Mendelssohn, in cui una melodia innodica, resa con struggente espressività, ha trovato un netto contrasto in un secondo tema in minore, quasi una marcia funebre, esposta con accorato accento dai fiati. Grande forza drammatica ha caratterizzato il conclusivo Allegro vivacissimo – aperto da uno scoppio folgorante e internamente percorso da una straordinaria energia ritmica –, in cui è ritornato il secondo tema del movimento precedente – ma in maggiore – nitidamente scandito dai fiati. La sezione mediana di sviluppo ha messo in luce l’abilità del trattamento contrappuntistico, introducendo la ripresa, cui è seguito il Maestoso in la maggiore, una sorta di corale, una perorazione trionfale, che ha condotto a una trionfale conclusione in forma di apoteosi. Successo pieno.
Venezia, Teatro La Fenice: Ivor Bolton in concerto
