Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2024-2025
“DIALOGUES DES CARMÉLITES”
Opera in tre atti e dodici quadri.
Musica e libretto di Francis Poulenc
dall’omonimo testo di Georges Bernanos
Le Marquis de La Force ARMANDO NOGUERA
Blanche, sa fille JULIE CHERRIER-HOFFMANN
Le Chevalier, son fils JUAN FRANCISCO GATELL
Madame de Croissy, la Prieure du Carmel ANNA CATERINA ANTONACCI
Madame Lidoine, la nouvelle Prieure VANESSA GOIKOETXEA
Mère Marie de l’Incarnation DENIZ UZUN
Soeur Constance de Saint-Denis VERONICA MARINI
Mère Jeanne de l’Enfant Jésus VALERIA GIRARDELLO
Soeur Mathilde LORIANA CASTELLANO
L’Aumônier du Carmel JEAN-FRANÇOIS NOVELLI
Officier GIANFRANCO MONTRESOR
I Commissaire MARCELLO NARDIS
Le Geôlier / Thierry / II Commissaire / Monsieur Javelinot FRANCESCO PAOLO VULTAGGIO
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Light designer Cristian Zucaro
Movimenti coreografici Sandro Maria Campagna
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Fondazione Teatro dell’Opera di Roma
Venezia, 20 giugno 2025
Che Dialogues des carmélites rappresenti un titolo-chiave del repertorio operistico francese novecentesco, direttamente imparentato con Pelleas et Mélisande di Debussy, è un fatto ormai acquisito. Almeno presso quella parte di pubblico, in grado di apprezzare la valenza espressiva, derivante dalla stretta simbiosi tra parola e musica, che accomuna il capolavoro di Poulenc al dramma lirico debussyano, la cui conoscenza fu determinante per il giovane Francis. I Dialogues traggono la loro origine da una pièce di Georges Bernanos, pubblicata nel 1949, dopo la morte dell’autore, e divenuta poi – per intervento dello stesso Poulenc – un libretto d’opera, che ricalca da vicino il testo di Bernanos e procede dal punto di vista drammaturgico-musicale come un flusso ininterrotto, senza concessioni ai clichés tradizionali del melodramma. Dunque, il lavoro di Poulenc sarebbe riservato ad un pubblico in grado di comprenderne il raffinato linguaggio, caratterizzato da un continuum espressivo, che trova il suo apice nella scena finale del martirio? Forse. Ne era abbastanza convinto anche chi scrive. Almeno prima di aver assistito alla recente rappresentazione di questo capolavoro sul palcoscenico del Teatro La Fenice. Del resto, quando sul podio sale un profondo conoscitore del teatro musicale francese, il cast annovera voci di prim’ordine capaci di calarsi nel codice espressivo dell’autore, la regia si basa fondamentalmente sul rispetto del libretto senza rinunciare alla creatività, il miracolo può compiersi e uno spettacolo di qualità
può arrivare a coinvolgere per quasi tre ore ogni spettatore. Più che sul clima repressivo, Emma Dante, coadiuvata dal suo storico staff, si concentra sul senso di libertà che le carmelitane – donne, prima che religiose – esprimono: condizionate da una fede fanatica, il loro martirio è anche una forma di liberazione. Lo è per Blanche che, sopraffatta dalla paura più che spinta da una vera vocazione, cerca rifugio nel convento: piena di vita e al tempo stesso fragile, al pari delle consorelle, si rivela alla fine la più coraggiosa. Elemento distintivo di questa messinscena è la fisicità, per quanto negata: se le suore coprono i loro corpi con una corazza alla Giovanna d’Arco e un elmo che pare un’aureola, la regista ce le mostra mentre si schiacciano i piedi con
pesanti blocchi di pietra, proprio per sentire attraverso il dolore la propria corporeità. Fondamentale in questa prospettiva è la presenza ricorrente in palcoscenico del corpo di Cristo – impersonato da una danzatrice androgina –, fin dalla prima scena, in cui si vede Gesù scendere dalla croce. Il Salvatore – crocifisso con le sembianze di Blanche – riappare anche nella scena del martirio con esito davvero suggestivo. Lo spettacolo parte dalla casa di Blanche, un’aristocratica dimora, dove campeggiano enormi ritratti di Jean-Louis David, che raffigurano varie nobildonne dell’epoca, destinate, come la nobile fanciulla, a farsi suore. Quadri di cui in seguito non resterà che la cornice, ad indicare la cancellazione dell’identità, dovuta alla monacazione mentre, dopo che la ghigliottina avrà compiuto il suo esiziale lavoro torneranno semplici tele bianche. Nello spettacolo alla sontuosità di questa casa
nobiliare si contrappone l’austerità del convento con le sue grate, i suoi ambienti chiusi, dove tutto impone il rinnegamento di sé fino all’estremo sacrificio. Irreprensibile la lettura di Frédéric Chaslin, che fa risaltare ogni aspetto della partitura, potendo contare su un’orchestra e su voci assolutamente all’altezza del loro compito. Il direttore francese si è confermato un profondo conoscitore del linguaggio di Poulenc, caratterizzato da ‘moduli’ e ‘formule’ ricorrenti, tra cui alcuni ‘leitmotive’ (la sequenza di due accordi corrispondente a un tragico cambio della situazione, il motivo che apre l’opera, ascendente e ansioso, associato al Marquis de la Force, e altri), oltre che da echi di Monteverdi, Verdi, Debussy, Musorgskij. Straordinaria, per peso vocale, fraseggio, finezza interpretativa Julie Cherrier-Hoffmann, nella parte di Blanche, di cui ha saputo rendere l’evoluzione psicologica: affranta dopo la morte della Prieure, eroica nel finale dell’opera.
Analogamente degna di una fuoriclasse la prestazione di Anna Caterina Antonacci, nel ruolo di Madame de Croissy, la Prieure du Carmel, soprattutto nella scena della morte, dove – già apprezzata interprete in La Voix Humaine – si è distinta nel canto parlato. Encomiabili: Veronica Marini (una spontanea Soeur Constance de Saint-Denis, dalla tessitura ‘leggera’), Deniz Uzun (una protettiva – e vocalmente brunita – Mère Marie de l’Incarnation),Vanessa Goikoetxea (una dolce Madame Lidoine, la nouvelle Prieure), Valeria Girardello (Mère Jeanne de l’Enfant Jésus) e Loriana Castellano (Soeur Mathilde). Pregevoli Juan Francisco Gatell (Le Chevalier: bellissima la scena con la sorella Blanche) e Armando Noguera (Le Marquis de La Force). Positivo il contributo di Jean-François Novelli (L’Aumônier du Carmel), Gianfranco Montresor (Officier), Marcello Nardis (I Commissaire) e Francesco Paolo Vultaggio (Le Geôlier / Thierry / II Commissaire / Monsieur Javelinot). Eccellente per espressività e fraseggio la prova del coro, istruito da Alfonso Caiani. Da pelle d’oca la scena del martirio, in cui la ghigliottina sopprime ad una ad una le sfortunate sorelle emettendo un sinistro colpo come di frusta, mentre esse – in numero sempre minore – intonano uno struggente “Salve Regina”. Indimenticabile? Ebbene sì!
Venezia, Teatro La Fenice: per la prima volta in laguna “Dialogues des carmélites” di Francis Poulenc
