Como, Arena del Teatro Sociale: “Tosca”

Como, Arena del Teatro Sociale, XVIII Festival Como Città della Musica
“TOSCA – Odio gli indifferenti”
Melodramma in tre atti di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto dall’omonimo dramma di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca ALESSIA PANZA
Mario Cavaradossi MAX JOTA
Il Barone Scarpia JUN YOUNG CHOI
Cesare Angelotti TIZIANO ROSATI
Il Sagrestano DONATO DI GIOIA
Spoletta GIACOMO LEONE
Sciarrone/Un carceriere GIOVANNI ACCARDI
Orchestra 1813
Coro 200.Com
Coro di Voci Bianche del Teatro Sociale
Direttrice Manuela Ranno
Maestro del coro e delle voci bianche Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Davide Marranchelli 
Scene e Costumi Anna Bonomelli
Luci Gianni Bertoli
Nuova produzione del Teatro Sociale di Como AsLiCo
Como, 03 luglio 2025
Forse, un giorno, capiremo perché molti registi teatrali sentano l’esigenza di dedicarsi all’opera con il chiarissimo intento di sminuirla, squalificarne l’alto portato culturale, portando avanti operazioni drammaturgiche che, con ogni probabilità, non oserebbero tentare con Brecht, Ibsen o Pirandello, ma che si sentono pienamente legittimati di infliggere a Puccini o Verdi. Se ci soffermassimo ad elencare tutti i problemi e gli errori della regia di “Tosca“ approntata da Davide Marranchelli, probabilmente finiremo il limite che ci imponiamo nelle recensioni. Basti far sapere al lettore che in più punti dello spettacolo il pubblico rideva: che ciò fosse voluto o meno dal regista, questo è già di per sé un’enorme spia che la direzione intrapresa dall’assetto scenico sia quella sbagliata. In piena concordia con questa regia ha lavorato, ahinoi, anche la scenografa e costumista Anna Bonomelli, che ha costruito una struttura multilivellare dominata da un’alta scala e tutta dipinta di celeste a nuvolette bianche, e ci ha proposto una male assortita congerie di stili e tagli sartoriali diversissimi, che culminano con lo smoking blu notte di Scarpia, giacca e cravatta doverosamente coperte di paillettes – un pasticcio, insomma, che vede quali principali vittime i due protagonisti, un Cavaradossi in salopette bianca e una Tosca che, già caratterizzata da una fisicità importante, non trova mai un momento di bellezza sul palco. Infine, anche le luci curate da Gianni Bertoli hanno lasciato talvolta i cantanti al buio, non si capisce se per indisciplina degli artisti o imprecisione del light design. Come già anticipato, preferiremmo non soffermarci sugli aspetti drammaturgici totalmente arbitrari che Marranchelli esprime, persino ponendo all’opera il sottotitolo “Odio gli indifferenti“: purtroppo, però, la nutrita compagine corale dei 200.Com viene molto utilizzata nelle varie trovate di regia, prima e durante l’opera, per la sorpresa (non del tutto gradita) del pubblico, forse a compensare il ruolo non certo ipertrofico del coro in “Tosca”; si tratta di un coro che per metà è interamente vestito di bianco – come Sciarrone e Spoletta, quindi verrebbe da chiedersi se i “bianchi” siano i “cattivi” – per l’altra metà invece interpretano degli attivisti che combattono contro Scarpia e vogliono che Tosca si ribelli, e uno sparuto gruppo sono gli “indifferenti”, cioè un gruppo di persone che sul palco guarda quello che avviene nel secondo atto, senza mai intervenire e volgendo il capo se qualcuno chiede aiuto. Marranchelli costruisce così una lettura politica di Tosca, che de facto non esiste: ne sentivamo il bisogno? Onestamente no. Tuttavia, anche la scelta del cast non ha aiutato la recita a decollare: Alessia Panza torna al Sociale in una veste decisamente poco calzante alla sua vocalità, la voce è indubbiamente importante, con il colore argentino degli acuti ma a nostro avviso è ancora giovane per affrontare questo ruolo, mentre le calzerebbero a pennello i ruoli drammatici belcantistici e verdiani. Max Jota  pur con qualche opacità nei centri, ha un colore vocale luminoso, una emissione molto equilibrata, qualità unite a un fraseggio sempre ben curato. In “E lucevan le stelle” trova la sua naturale massima realizzazione. Tiziano Rosati è un Angelotti corretto, vocalmente senza grandi slanci ma scenicamente coinvolto. Al contrario Jun Young Choi nei panni di Scarpia è quanto mai spaesato: la voce non brilla per bellezza e tecnica e il fraseggio è assai generico. Ma a questo Scarpia manca la credibilità, che anche in scena gli viene del tutto tolta dalla regia. Neppure il sagrestano di Donato Di Gioia si può dire ben riuscito, né sul piano vocale – voce piccola e interpretazione né particolarmente tagliente né buffa, come tradizionalmente ci si aspetterebbe – né su quello scenico, privato com’è di tutta la caratterizzazione che Puccini gli riserva già nella partitura. La direzione di Manuela Ranno è lenta, sicuramente al servizio dei cantanti, ma senza una reale vis interpretativa che sarebbe richiesta da questo caposaldo; anche il gesto è poco elegante e poco leggibile e si possono avvertire alcune discrasie tra scena e buca. Il problema maggiore, tuttavia, sul piano acustico sta nella incomprensibile e per lo più impercettibile amplificazione degli artisti, che a volte si alza, altre si abbassa, quando non perdono direttamente il microfono in scena: è da ormai sei anni che solleviamo la questione, ma sembra che sia considerato “normale” per lo spazio all’aperto. Francamente, non lo è, e, personalmente, continueremo a trovare aberrante organizzare un’opera all’aperto trascurando questo aspetto. Foto Andrea Butti