Torino, Cappella della Sindone: ” Oculus-Spei”

Torino, Cappella della Sindone
Oculus-Spei: il corpo iconico della speranza
Torino, 23 luglio 2025
“La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”. Sant’Agostino

In un’epoca che celebra la virtualità come nuovo sacramento della visione, Oculus-Spei di Annalaura di Luggo si impone come dispositivo iconico e architettura performativa del desiderio collettivo. L’occhio, centro assoluto dell’opera e della poetica di Di Luggo, smette di essere organo percettivo per farsi soglia, cratere di rivelazione, spazio liminale tra biologia e trascendenza. Dalla sua prima epifania al Pantheon di Roma nel dicembre 2024 — luogo classico e pagano, monumento del tempo trasformato in crocevia di visione laica — fino alla trasfigurazione architettonica nella Cappella della Sindone di Torino nel giugno 2025, Oculus-Spei evolve da installazione a vero e proprio sistema antropologico dell’immagine. Non un oggetto da osservare, ma un corpo di luce che osserva chi guarda. Annalaura di Luggo, artista transmediale, pratica un’estetica dell’identità plurima attraverso una grammatica dell’iride. Il suo lessico visivo è tanto più incisivo quanto più concentrico: non disperso nel racconto, ma condensato in un simbolo ricorrente e ossessivo, l’occhio, in cui ogni trama biologica si converte in mappa del sé. Dalla mimesi ottica alla semiologia dell’alterità: la Di Luggo non fotografa, cartografa. Oculus-Spei è composto da cinque porte, cinque varchi iniziatici, ognuno dei quali attraversato da figure umane reali — testimoni dell’esclusione, della resilienza, della differenza. Ma il punto non è documentaristico: l’artista non descrive, attiva. La presenza del visitatore non è passiva, ma generativa: i sensori, i sistemi di riconoscimento, le tecnologie gestuali non sono gadget, bensì protesi concettuali, estensioni dell’intenzione etica dell’opera. In particolare, la quinta porta, ispirata al carcere di Rebibbia, si carica di una tensione sacrale: la gabbia è figura archetipica, citazione implicita del labirinto, della prigione dell’anima, della cella della clausura mistica. Ma è proprio lì, nel luogo della massima restrizione, che si attiva la luce. Non si tratta di un effetto luminoso: è una teofania tecnologica. La luce, come nella poetica barocca, non è decorazione ma struttura morale. Annalaura di Luggo, in questo lavoro, opera un montaggio semiotico tra visione e memoria, tra architettura e corpo, tra pietà e codice. L’arte non è qui ornamento né illustrazione: è rituale laico di riscatto, funzione antropologica che restituisce forma alla speranza, facendola transitare dal linguaggio della teologia a quello della biopolitica. L’inclusione non è tema, ma grammatica. E il pubblico non è spettatore, ma testimone co-attivo. Oculus-Spei non è arte sacra. È arte del sacro, cioè arte che assume su di sé il compito di creare lo spazio della separazione e della rivelazione. In questo senso, l’intera installazione non si oppone alla Cappella della Sindone, ma la prolunga: Guarini e Di Luggo condividono la stessa urgenza di coniugare geometria e luce, vuoto e intensità, architettura e visione. Se oggi l’arte può ancora avere una funzione — oltre l’intrattenimento, oltre l’indignazione — è quella di mettere in forma l’intenzione etica. Oculus-Spei lo fa senza retorica, con la densità di un pensiero strutturato, con la leggerezza di un’icona che si lascia attraversare. È un lavoro che non descrive la speranza: la offre come esperienza collettiva. Perché in fondo, come scriveva Ernst Bloch, «solo chi ha speranza può essere critico». E Annalaura di Luggo costruisce con precisione il luogo in cui la critica diventa forma. Prorogata sino al 28 settembre 2025. Foto: Andrea Guermani per i Musei Reali di Torino