Sermoneta, Castello Caetani
Cisterna di latina, Giardini di Ninfa
IL CASTELLO CAETANI ED I GIARDINI DI NINFA
Roma, 15 agosto 2025
Ci sono luoghi che non si visitano soltanto: si eredita la loro memoria. Il Castello Caetani di Sermoneta è uno di questi. Non è una fortezza immobile nel tempo, ma un organismo vivo che respira attraverso le sue pietre e le sue torri: il Maschio, alto quarantadue metri, e il Maschietto, più piccolo e tenace come un fratello minore, dominano il borgo medievale come due sentinelle che non hanno mai smesso di vegliare.
Qui la storia non è un racconto neutrale: è un campo di battaglia, una sequenza di conquiste, perdite e ritorni. Nel 1297, Pietro Caetani, conte di Caserta, con l’intercessione dello zio Papa Bonifacio VIII, ottenne dai baroni Annibaldi il controllo di Sermoneta, Bassiano e San Donato per 140.000 fiorini d’oro. Per Ninfa, invece, ne pagò 200.000: una cifra che dice molto di più di qualsiasi cronaca, perché rivela che ciò che stava comprando non era solo terra, ma potere. Con quel gesto, i Caetani inaugurarono una signoria destinata a segnare il destino di queste terre per secoli. La rocca, già imponente, venne ampliata. La collegiata di San Pietro, dove erano custodite le spoglie della famiglia, fu inglobata nella Piazza d’Armi, e intorno al 1470 nacquero le Camere Pinte, decorate con affreschi mitologici e allegorici: immagini che parlano ancora oggi con un linguaggio che non conosce oblio, una sorta di manifesto politico tradotto in pittura. Ma il potere non è mai una linea retta. Nel 1499 Alessandro VI Borgia, con una bolla pontificia, scomunicò i Caetani e confiscò il castello.
Fu un atto di forza che segnò l’ennesimo capitolo di una storia fatta di espropri e riscatti, di alleanze e tradimenti. Eppure, come spesso accade a chi ha radici profonde, i Caetani tornarono. Ripresero la rocca e ne fecero di nuovo il cuore pulsante della loro signoria. Ma il vero contrappunto alla severità del castello si trova poco lontano, dove la pietra cede il passo alla poesia: il Giardino di Ninfa. Non un semplice giardino, ma una città che la malaria aveva ucciso e che l’immaginazione dei Caetani ha trasformato in un sogno sospeso tra rovina e rinascita. “Il giardino più bello e romantico del mondo”, scrisse il New York Times. Ed è difficile dargli torto. Ninfa ebbe una storia tormentata. Acquistata dai Caetani nel 1298, fu a lungo contesa anche dai Borgia, ma alla fine del Trecento cominciò la sua lenta decadenza. Le paludi, la malaria e il progressivo abbandono la ridussero a una città fantasma. Eppure, alla fine dell’Ottocento, la famiglia tornò. Bonificò i terreni, strappò le piante infestanti, piantò cipressi, lecci, faggi e rose a centinaia.
Fu un gesto di resistenza contro il tempo. Negli anni Trenta, Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani, e poi loro figlia Leila, completarono il miracolo: trasformarono Ninfa in un giardino in stile anglosassone, libero da qualsiasi rigidità geometrica, affidato a un solo principio: lasciare che la natura parlasse da sé. Oggi Ninfa è un mosaico di otto ettari e oltre 1.300 specie di piante: magnolie in diciannove varietà, iris acquatici che sfiorano i ruscelli, aceri giapponesi che tingono l’aria di rosso in autunno, ciliegi che in primavera disegnano cieli di petali. Tra ruderi di chiese, torri e campanili avvolti dall’edera, scorrono acque limpide che formano laghetti e riflessi. Qui, tra queste rovine, Virginia Woolf, Truman Capote, Ungaretti e Moravia hanno trovato parole e silenzi per scrivere. Perché Ninfa non è solo un giardino: è una lettera d’amore alla fragilità delle cose. Nel 1976 è stata istituita un’Oasi del WWF a tutela della flora e della fauna, ma la vera anima di questo luogo è la Fondazione Roffredo Caetani. È la Fondazione che custodisce il castello e il giardino, intrecciando storia e natura in un unico respiro.
Qui la conservazione non è semplice restauro: è un atto di fedeltà verso il passato e di coraggio verso il futuro. Aprire Ninfa solo in poche giornate l’anno non è una privazione: è una promessa di protezione, perché ciò che è raro, qui, è anche ciò che si salva. Visitare il castello e Ninfa nello stesso giorno significa attraversare due facce dello stesso destino: la pietra e l’acqua, la forza e la resa, il potere e la poesia. Il borgo di Sermoneta, con le sue stradine che odorano di tempo, ti accompagna fino alle torri che furono testimoni di intrighi papali e assedi, e poi ti lascia discendere, come in una catabasi dolce, verso un giardino che sembra nato per guarire le ferite della storia. Quando esci, il silenzio è la sola cosa che puoi portare via. Ma è un silenzio pieno di voci: dei Caetani, dei poeti, dei giardinieri, di chi ha creduto che anche una città morta possa rifiorire. Perché in fondo, Ninfa e il Castello di Sermoneta ci insegnano la stessa cosa: che le radici non sono catene. Sono ancore.
Cisterna di Latina e Sermoneta, Fondazione Roffredo Caetani di Sermoneta : “Il castello Caetani ed il giardino di ninfa”