Pesaro, Teatro Rossini, Rossini Opera Festival 2025, XLVI Edizione
“L’ITALIANA IN ALGERI”
Dramma giocoso per musica in due atti su libretto di Angelo Anelli
Musica di Gioachino Rossini
Mustafà GIORGI MANOSHVILI
Elvira VITTORIANA DE AMICIS
Zulma ANDREA NIÑO
Haly GURGEN BAVEYAN
Lindoro JOSH LOVELL
Isabella DANIELA BARCELLONA
Taddeo MISHA KIRIA
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno
Direttore Dmitry Korchak
Maestro del Coro Pasquale Veleno
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Video Designer Nicolás Boni
Luci Daniele Naldi
Pesaro, 21 agosto 2025, nuova produzione
Alla presenza del coro di schiavi italiani, mentre organizza la fuga dal serraglio, Isabella dice a Lindoro: «Vedi per tutta Italia | rinascere gli esempi | d’ardir e di valor». In un’opera, ancorché giocosa, ambientata all’estero ma popolata di italiani che vogliono tornare a casa, l’esortazione suona convenzionale più che nazionalistica, tant’è vero che non è argomentata se non in chiave etica: «Amor, dovere, onor. | Amici in ogni evento…» potranno guidare l’azione di Lindoro e degli altri.
L’ha presa invece molto sul serio Rosetta Cucchi, regista dell’Italiana in Algeri al Rossini Opera Festival, che ha voluto accompagnare la declamazione di questi versi con proiezioni del Gay Pride e un tripudio di bandiere arcobaleno lgtbiq+. Se lo spettacolo ha una sua coerenza interna, giacché Isabella è una drag queen, con tutte le conseguenze comiche che implica questo tipo di travestimento, sorge però il sospetto che l’interpretazione di quei versi nasconda un messaggio moralistico, più che politico o artistico; si scherza su ogni possibile forma di travestimento, ma si spiega con estrema serietà qual è l’accezione attuale di amore, dovere e onore, giusta le parole del libretto. È il “follemente corretto” (copyright di Luca Ricolfi) che sale in cattedra, guastando l’effetto comico-narrativo anteriore, che la regia aveva realizzato ancora prima dell’alzarsi del sipario.
La storia, infatti, inizia sulla piazza antistante il Teatro Rossini, dove giunge un furgoncino sgangherato e avvolto da un fumacchio spesso e da un nugolo di poliziotti del bey di Algeri; dal veicolo esce un gruppo di variopinte signore, capeggiate da Isabella e dal suo “agente” Taddeo, tutti arrestati e condotti in teatro, dove prosegue (nel corso della sinfonia) la prassi dell’interrogatorio e della custodia cautelare. Poi, seguendo gli spunti del libretto, di scena in scena è un susseguirsi di sketch, gag, in una grande abbuffata di abiti sgargianti (spassosi e curati i costumi di Claudia Pernigotti, a cui va un encomio per la varietas delle scelte), bauli leopardati, divanetti tantrici, collezioni di stivaloni in finta pelle, borsette di paillettes, calze a rete, monumentali parrucche, vasche da bagno fuxia, arredamento pop art e accessori erotici rielaborati alla bisogna dell’«amico del palo», ma pur sempre di inequivocabile morfologia, come il copricapo del Kaimakan.
La scena su due livelli di Tiziano Santi aumenta le dinamiche, con un effetto di compartimentazione dei tanti elementi, abilmente stipati in ogni angolo. C’è qualche nesso apprezzabile che colleghi il caravan-serraglio (!) scenico e l’esecuzione musicale? Risponde positivamente la presenza di Daniela Barcellona nelle vesti di Isabella, a ventisei anni dal suo esordio pesarese. A vederla in scena, in realtà, tornano in mente gli Arsace, i Tancredi, i Malcom, più che un ruolo civettuolo e sagace come quello dell’Italiana in Algeri. Appunto per rispetto alla carriera straordinaria che ha accompagnato molti anni del festival pesarese (e non solo) sarebbe inutile dissimulare la prevenzione di fronte a questo ritorno a un ruolo delle origini.
Se si prescinde dall’estetica queer dello spettacolo per concentrarsi sulla voce, si ascolta un’Isabella ovviamente volitiva e dignitosa, dal porgere brillante ma non prevaricatore, dunque non volgare; certo, a volte sfugge il controllo della “maschera”, il suono si fa debordante, si percepisce lo scollamento dei registri, anche l’intonazione è compromessa; ma il volume e il timbro restano quelli di sempre. La scena della vestizione, con l’aria «Per lui che adoro», più che l’introduzione a un momento galante, sembra il preludio a un episodio bellico improntato all’elegia: è il momento vocale migliore della serata, anche se l’entusiasmo del pubblico si incendia soprattutto dopo il rondò. Coloratissima, agilmente saltellante di ritmo in ritmo l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Dmitry Korchak, molto attento a marcare le note di appoggio e gli accenti, soprattutto nei concertati e nei numeri d’insieme più complessi: ritmicamente perfetta, dunque, la “follia organizzata” del finale I (staccata con incredibile rapidità e a detrimento di alcune voci). Evidentemente, impugnare la bacchetta per concertare Rossini dopo averne cantato funamboliche parti tenorili per molti anni garantisce una preparazione privilegiata …
Tutti gli altri interpreti sono ottimi attori, e a volte anche buoni cantanti, come Giorgi Manoshvili, molto corretto come Mustafà. Il baritono Misha Kiria debutta al ROF come Taddeo ed è molto apprezzato come divertente caricaturista dalla cavata imponente e sicura. Debutta a Pesaro anche il tenore Josh Lovell, la cui prestazione come Lindoro è pessima: la voce chiara e ben proiettata si sbianca nelle note di passaggio e si incrina nella zona acuta, semplicemente perché non copre i suoni, e dunque il cantante stona, sbaglia le agilità, interpola le cadenze, manca totalmente di scioltezza nel sillabato. Vittoriana De Amicis è un’Elvira efficace, ma dovrebbe controllare la qualità delle note acute, che spesso suonano eccessivamente stridule. Efficaci gli altri comprimari. Il Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno, preparato da Pasquale Veleno, disimpegna bene i vari interventi, correggendo in tempo alcuni disallineamenti con l’orchestra.
Gli apprezzamenti finali sono generali (tranne che per il tenore) ma si intensificano per il direttore d’orchestra e per la regista, che compare imbracciando un bel cagnolino nero. La stessa Rosetta Cucchi presenta lo spettacolo con alcune note di regia nel programma di sala: «La scelta di una Isabella drag non è una provocazione: è una naturale evoluzione del linguaggio buffo, che aggiorna Rossini ai nostri tempi, senza tradirlo». È assai curioso, detto da una regista d’oggi: esiste ancora il timore di “tradire” un classico”? Foto © Amati Bacciardi
Pesaro, Rossini Opera Festival 2025: “L’italiana in Algeri”