Pesaro, Auditorium Scavolini, Rossini Opera Festival 2025, XLVI Edizione
“ZELMIRA”
Dramma per musica in due atti su libretto di Andrea Leone Tottola
Musica di Gioachino Rossini
Polidoro MARKO MIMICA
Zelmira ANASTASIA BARTOLI
Ilo LAWRENCE BROWNLEE
Antenore ENEA SCALA
Emma MARINA VIOTTI
Leucippo GIANLUCA MARGHERI
Eacide PAOLO NEVI
Gran Sacerdote SHI ZONG
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno
Direttore Giacomo Sagripanti
Maestro del Coro Pasquale Veleno
Regia Calixto Bieito
Scene Calixto Bieito, Barbora Horáková
Costumi Ingo Krügler
Luci Michael Bauer
Pesaro, 19 agosto 2025, nuova produzione
«Di Argo lo sguardo | abbia ciascun», esorta astutamente Antenore all’inizio di Zelmira; e parrebbe spronare gli spettatori del Rossini Opera Festival a un’attenzione cui nulla sfuggisse, come ai cento occhi del mostro mitologico, per apprezzare un allestimento innovativo, brillante, violento, capace di soggiogare il pubblico dal primo all’ultimo minuto dell’esecuzione.
L’arengo di un ex palazzetto dello sport si trasforma in un grandissimo palcoscenico rettangolare, nel cui mezzo è incassata la fossa orchestrale; ai bordi cantanti, mimi e coristi sfilano per ridare vita all’ultima partitura napoletana di Rossini; il pubblico è seduto sulle gradinate tutt’attorno, a 360 gradi; non c’è sipario, non ci sono scene in elevato né altri piani praticabili. Il tutto può sembrare, più che la chiusura di un ciclo, l’inizio di una nuova fase del festival, in cui sfruttare le molteplici potenzialità del rinnovato (ma sempre alquanto disagevole) Auditorium Scavolini.
Anche il fatto che la produzione sia stata affidata a un direttore esperto come Giacomo Sagripanti, ad alcuni cantanti ormai capisaldi del ROF, ma allo stesso tempo a un regista di fama internazionale debuttante a Pesaro, come Calixto Bieito, fa pensare a un progetto di “rinnovamento della tradizione”, che poi era anche la suprema ambizione musicale di Rossini nell’intonare il libretto di Zelmira. L’esperimento funziona? Apparentemente sì, a giudicare dall’unanime furore di applausi e apprezzamenti rivolti a tutti gli interpreti. Sul piano musicale, infatti, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Sagripanti regala continuamente bouquet di colori, nuances e brillantezza. Non si tratta mai di manierismo, comunque, ma di ricerca timbrica applicata ai moduli ritmici che danno l’abbrivio al terremoto musicale.
La compagnia vocale è ottima, ma le singole prestazioni sono tutte soggette a due fattori: uno spaziale, perché i solisti si trovano al centro dell’Auditorium e, qualunque sia la loro postura, cantano sempre di spalle per metà del pubblico; l’altro è interpretativo, richiesto dal regista per corroborare la sua visione di Zelmira come dramma di infatuazione bestiale per il potere e la supremazia da parte dei due antagonisti, Antenore e Leucippo, non a caso rappresentati come amanti. Nel ruolo della protagonista si destreggia un’Anastasia Bartoli molto vigorosa nella linea di canto, nell’emissione e nel porgere. Tecnicamente molto buona, riesce anche a commuovere per l’intensità di «Perché mi guardi, e piangi», rivolgendosi al figlio accompagnata dal corno inglese e dall’arpa. Eppure, la sua parte è come sacrificata da una regia che non le rende giustizia protagonistica. Nella costruzione di Bieito, infatti, si assegna un’evoluzione interiore a tutti gli altri caratteri (persino a Emma; persino al cadavere di Azorre, che sgambetta imperterrito nel corso di tutta l’esecuzione), tranne che a quello principale.
Enea Scala, come Antenore, giunge certamente a un altro livello (apicale) della sua carriera di tenore rossiniano, considerata l’estrema difficoltà della parte. Dopo Ermione del 2024, questa Zelmira è un ulteriore avvicinamento alla vocalità baritenorile di Andrea Nozzari, per cui Rossini aveva scritto il ruolo. In alcuni momenti Scala dà sfogo a una certa sprezzatura, che libera emissioni stridule e violente, oltre a far uso del portamento; forse è una scelta stilistica funzionale all’interpretazione del feroce personaggio, ma in Rossini rischia di apparire fuori luogo.
Il cantante più apprezzato della recita è un altro tenore, colui che reinterpreta la vocalità contraltina di Giovanni David, ossia Lawrence Brownlee, un Ilo dall’emissione smagliante e dalle agilità prodigiose; la sgranatura delle note e dei gruppetti, unitamente alla perfetta dizione del testo italiano, rendono la sua prova memorabile. A due comprimari molto buoni, il mezzosoprano Marina Viotti, debuttante al ROF come Emma, e il terzo tenore Paolo Nevi come Eacide, si affiancano altri due dalla prestazione poco felice, il basso Marko Mimica (un Polidoro con difficoltà di copertura del suono e di intonazione) e il basso-baritono Gianluca Margheri (un Leucippo dalla vocalità inadeguata). Il Coro del Teatro Ventidio Basso, sballottato ai quattro venti e costretto a cantare spesso sulle ripide scale delle tribune, non ha offerto una prestazione secondo lo standard a cui il pubblico del ROF è abituato: altra conseguenza di un progetto scenico originale, azzardato, farraginoso e sicuramente oltremodo costoso (la quantità di posti vuoti è segnale preoccupante per il futuro).
Bieito vuole raccontare la storia e dimostrare di aver studiato il libretto di Tottola (incredibile dictu!); poi però vuole anche strafare e commette altro errore abnorme. L’unico elemento di giustizia redentrice dell’impianto registico, infatti, non è affidato a Zelmira, bensì al morto Azorre, un mimo tanto abile quanto fastidioso, perché distrae il pubblico e fa rumore (anche durante le agilità della cavatina di Ilo-Brownlee; e questo mai sarà perdonato). Presunta nemesi dell’assassinio, nella regia di Bieito questo fantoccio peripatetico è il garante del ristabilirsi della pace (nel II atto porta in scena un alberello di ulivo), ma il messaggio è completamente sbagliato: chi legge tra le righe del libretto di Tottola o chi si documenta sulla fonte francese (o semplicemente sull’antefatto dell’opera rossiniana) scopre che Azorre, signore di Mitilene, ha occupato Lesbo con la forza, usurpando il trono di Polidoro; egli è dunque un tiranno, ucciso da altri pretendenti alla tirannide: una catena di soverchiatori distrutti dalla loro stessa protervia e che non meritano tanta attenzione. Dramma politico a lieto fine, Zelmira è uno specchio delle vicissitudini dello Stato e della legittimità costituzionale, ovviamente in termini di conservazione, ma ristabilita per mezzo della pietas filiale. Certo, la sadica violenza di un tiranno è teatralmente più redditizia, soprattutto se ammicca al grottesco ed è pornograficamente esibita. Foto © Amati Bacciardi
Pesaro, Rossini Opera Festival 2025: “Zelmira”