Roma, Parco Archeologico dell’Appia Antica
L’APPIA ANTICA, UNA VIA DI PIETRA E DI MEMORIA
Roma, 20 agosto 2025
Percorrere l’Appia Antica significa penetrare in un paesaggio che non appartiene soltanto al passato, ma che si offre come un organismo vivo, stratificato, in cui le pietre parlano, gli alberi custodiscono segreti e la luce romana trasforma ogni rovina in epifania.
Il Parco Archeologico dell’Appia Antica, istituito nel 2016 come ente autonomo del Ministero della Cultura, rappresenta oggi una delle più potenti incarnazioni del concetto di “museo diffuso”: un territorio che si estende dalle Mura Aureliane fino a Frattocchie, per tredici miglia di tracciato, riconosciuto dall’UNESCO nel 2024 come patrimonio dell’umanità. Qui la celebre Regina Viarum non è soltanto un itinerario archeologico, ma un paesaggio di memoria che coniuga storia, natura e spiritualità. Fin dall’Ottocento la via fu percepita come un monumento collettivo. Papa Pio IX ne affidò a Luigi Canina la sistemazione, immaginandola come una passeggiata archeologica: lungo il tracciato furono eretti i muri a secco per delimitare le aree di rispetto, e vennero piantati i pini marittimi che ancora oggi, con la loro verticalità romantica, scandiscono il ritmo del cammino. Quelle file di alberi, così amate da pittori, poeti e viaggiatori, divennero parte integrante dell’immaginario visivo della Roma ottocentesca. Ma la modernità rischiò più volte di cancellare quel sogno: negli anni Sessanta il cemento minacciava di inghiottire ogni cosa, e fu grazie alla battaglia civile di Antonio Cederna e di Italia Nostra che la via fu salvata e restituita ai cittadini.
Camminare oggi sull’Appia significa attraversare una sequenza ininterrotta di monumenti che raccontano la potenza e la fragilità di Roma. Il Mausoleo di Cecilia Metella, trasformato nel Medioevo in Castrum Caetani, si staglia come una sentinella di pietra, esempio di come le memorie antiche siano state continuamente rilette, riutilizzate, trasformate. Più avanti, la Villa dei Quintili, con le sue terme e le sue imponenti arcate, narra la storia di un lusso tragicamente interrotto dalla confisca imperiale. Le rovine diventano qui non solo testimonianza, ma racconto drammatico di destini individuali e collettivi. Accanto ai grandi complessi, il Parco custodisce tesori più intimi: il Ninfeo di Egeria, con la sua raffinatezza di marmi policromi e la magia di un’acqua che sembra ancora sgorgare dalla roccia; la Valle della Caffarella, con i suoi campi, le pecore al pascolo e i resti di mulini medievali, quasi un paesaggio arcadico sospeso tra mito e realtà; gli acquedotti Claudio e Anio Novus, con le loro arcate possenti, che evocano la sapienza ingegneristica e la capacità di Roma di trasformare il paesaggio in infrastruttura vitale.
L’Appia non è soltanto archeologia: è paesaggio, ed è anche laboratorio culturale. Negli ultimi anni il Parco ha intrapreso una intensa attività espositiva, che ha trasformato i suoi casali storici in luoghi di dialogo tra antico e contemporaneo. Mostre come L’Appia è moderna, Via Appia. La strada che ci ha insegnato a viaggiare o l’attuale Agorà – Scienza e matematica dal Mediterraneo antico mostrano come la via non sia un fossile, ma una trama di senso capace di parlare al presente. La fotografia, l’arte contemporanea, la divulgazione scientifica diventano strumenti per riscoprire l’antico in chiave attuale, restituendo al pubblico non solo conoscenza, ma esperienza. In questa prospettiva il Parco si configura come un modello: unisce la cura filologica del bene archeologico all’apertura verso la città, accogliendo iniziative musicali, teatrali, didattiche. Capo di Bove, con le sue mostre e i suoi concerti estivi, è ormai un presidio di cultura condivisa; la rivista scientifica Archeologi& e i progetti educativi come AppiaPlay rafforzano il dialogo con il mondo accademico e con le nuove generazioni.
L’innovazione passa anche attraverso il digitale, con il MUVI Appia, museo virtuale che permette di esplorare in maniera immersiva il paesaggio storico, abbattendo confini e rendendo accessibile a tutti la profondità del sito. Ma la forza del Parco Archeologico dell’Appia Antica sta soprattutto nella sua capacità di evocazione. Ogni pietra è al tempo stesso frammento e simbolo, residuo materiale e metafora. Il viaggiatore che si inoltra lungo il basolato non guarda soltanto i ruderi: ascolta le voci che da quei ruderi provengono, le stratificazioni di usi, riti, memorie. Qui la classicità non è un oggetto morto, ma un compagno di viaggio. Ogni mausoleo racconta l’orgoglio e l’ansia di immortalità di chi lo fece erigere; ogni villa ricorda l’illusione di eternità del potere imperiale; ogni rovina medievale testimonia l’instancabile capacità di Roma di rinascere dalle proprie rovine. Il Parco è dunque un organismo complesso, in cui si intrecciano tutela, ricerca, educazione e vita civile.
Non è un recinto chiuso, ma un paesaggio attraversabile, in cui il cittadino romano e il viaggiatore straniero diventano parte integrante del racconto. È un esempio di come la storia possa essere vissuta non come eredità polverosa, ma come risorsa per il presente. Ed è anche un invito alla responsabilità: le battaglie civili del passato ci ricordano che nulla è garantito per sempre, che ogni paesaggio, per quanto magnifico, può essere distrutto dall’incuria o dall’interesse privato. Per questo camminare sull’Appia significa assumersi un compito: essere custodi di un bene comune che appartiene al mondo intero. La via che univa Roma a Brindisi, porta d’Oriente, oggi unisce passato e futuro, archeologia e natura, cultura e società. È una via di pietra, ma anche di memoria e di speranza. Chi la percorre con attenzione comprende che non si tratta di un semplice itinerario turistico, ma di un’esperienza formativa: la consapevolezza che la storia non è mai dietro di noi, ma continuamente davanti ai nostri occhi, pronta a insegnarci ancora a viaggiare.
Roma, Parco Archeologico dell’Appia Antica: “L’Appia Antica, una via di pietra e di memoria”