Bari, Teatro Petruzzelli: “Giulio Cesare in Egitto”

Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione Lirica 2024/2025
GIULIO CESARE IN EGITTO”
Dramma per musica in tre atti Libretto di Nicola Francesco Haym
da 
Giacomo Francesco Bussani
Musica di Georg Friedrich Händel
Giulio Cesare RAFFAELE PE
Cleopatra SANDRINE PIAU
Sesto Pompeo GIUSEPPINA BRIDELLI
Cornelia SARA MINGARDO
Tolomeo FILIPPO MINECCIA
Achilla DAVIDE GIANGREGORIO
Curio DOMENICO APOLLONIO
Nireno ANGELO GIORDANO
Orchestra del Teatro Petruzzelli
Direttore Stefano Montanari
Regia Damiano Michieletto  ripresa da Diane Clement
Scene Paolo Fantin
Costumi Agostino Cavalca
Disegno luci Alessandro Carletti
Coreografie Thomas Wilhelm
Bari, 23 settembre 2025
Al Teatro Petruzzelli l’opera barocca non è di casa ma grazie alla nuova direzione musicale di Stefano Montanari si prospettano interessanti progetti per offrire quel repertorio al pubblico pugliese. Bene, dunque, iniziare dal Giulio Cesare in Egitto di Händel, forse la più nota opera del primo Settecento, recuperando l’allestimento del Teatro dell’Opera di Roma coprodotto con il Théatre des Champs-Elysées di Parigi e creato da Damiano Michieletto nel 2022. Il regista concepisce il Giulio Cesare – un dramma dove l’eroe, ormai all’apice della gloria, s’innamora di Cleopatra credendola la serva Lidia e segue quasi da mero spettatore le vicende della corte egiziana avvelenata dalla sete di potere – come l’occasione per mettere in scena una riflessione sulla morte: la presenza inquietante delle Parche domina, infatti, l’asola nera che si apre nella bianchissima architettura (nello stile di Alvaro Siza) racchiudente l’azione scenica; dalla bocca del defunto Pompeo esce l’anima, simboleggiata da un filo rosso, srotolato e poi reciso da Atropo. Ogni filo rosso è una vita spezzata e allora si deduce come la rossa ragnatela che all’alzarsi del sipario imbriglia un ingiacchettato Cesare-Yuppie (o meglio, il figurante che ne rappresenta il suo doppelgänger) possa essersi formata dai fili delle anime morte con cui il condottiero ha lastricato la sua ascesa al successo. La discrasia fra testo primigenio e riscrittura registica tocca l’apice quando la reboante musica händeliana ideata per il lieto fine fa da sfondo all’anticipazione al cesaricidio delle Idi di Marzo esibita sul palco prima che cali il sipario. Michieletto, insomma, piega alle ragioni della spettacolarità i simboli di morte, non solo quelli delle nature morte barocche (la clessidra che campeggia nelle tele intitolate Vanitas) ma anche quelli più macabri come le ceneri delle urne da cremazione: quando le polveri del corpo di Pompeo calano da una botola del soffitto l’effetto visivo si incide con la massima forza nelle retine degli spettatori. Con l’immagine predominante della fitta tela di fili rossi ben si lega idealmente la vocalità di Raffaele Pe che al personaggio di Cesare ha dedicato un’antologia di arie raccolta in un fortunato CD e che il 20 giugno 2023 deliziò il pubblico del Petruzzelli con il recital Giulio Cesare eroe barocco, durante il quale oltre a cantare inquadrò storicamente e stilisticamente i singoli brani dei diversi operisti settecenteschi. Interprete e personaggio (riletto anche alla luce delle idee di Michieletto) si sono fusi alla perfezione: prezioso il timbro nel range acuto, delicatissime le messe di voce, ben sgranate le note dei passi di coloratura, vibranti i segmenti che si inabissano nel registro grave. Parimenti superba la prova canora di Sara Mingardo, contralto dal timbro prezioso per densità e al tempo stesso chiarezza; il suo perfetto fraseggio, insieme a una dizione e recitazione da manuale, esaltava l’espressività dolente della moglie di Pompeo, stagliando a tutto tondo un personaggio che nella lettura ‘mortifera’ di Michieletto ha assunto un peso inedito (gli stacchi di tempo molto lenti scelti dal direttore Stefano Montanari per le arie di Cornelia enfatizzavano il lavoro di fino condotto sulla resa sonora della mestizia). Indimenticabile il duetto fra Cornelia e il figlio Sesto – un ragazzo in completo tennistico anni ’30 schiacciato dal desiderio di vendicare la morte del padre Pompeo – qui interpretato in modo volutamente ‘algido’ dall’ottima Giuseppina Bridelli il cui punto di forza risiede nella morbidezza degli acuti e nella rotondità e pastosità di timbro nei centri. Michieletto vuole smussare il decorativismo del primo ingresso in scena della protagonista Cleopatra (la scena I.V nell’originale è preceduta dalla mutazione scenografica e si ambienta nel gabinetto della regina circondata dall’intero suo seguito) e la fa giungere quasi inattesa come un’attrice nevrotica in lunga vestaglia che caccia dal camerino gli astanti (i due sbigottiti Cornelia e Sesto) prima di scegliere quale parrucca indossare sopra lo zuccotto déco. I lunghi silenzi tra e nei recitativi, peraltro sempre declamati con eccessiva lentezza, inficiano la scorrevolezza necessaria al ritmo drammatico rischiando di avvicinare l’opera händeliana a un lavoro di Ibsen (è questo l’unico vero neo di una regia altrimenti superba). Non vi sono sufficienti elogi per descrivere le qualità di Sandrine Piau, dalla cura per la prosodia, l’eleganza delle fioriture estemporanee, l’equilibrio fra registri, la preziosità della grana di una voce che con gli anni pare spostare sempre più in alto il grado di perfezione raggiunta. Indimenticabile la celebre aria “V’adoro pupille”, cantata nelle vesti di Gilda-Rita Hayworth (There never was a woman like [Cleopatra]…), dove comunque il regista ribadisce il concetto di fondo che vuole attanagliato ogni personaggio dai pensieri di morte (qui simboleggiati dal progressivo spegnersi dei candelabri con l’ultima fiamma estinta in corrispondenza della nota finale del pezzo, quasi un barocco memento mori). Ben timbrato, sicuro nelle colorature, smagliante negli acuti il Tolomeo di Filippo Mineccia che unisce con crescente maestria le doti canore a quelle attoriali. Bellissimo il colore e il volume del basso Davide Giangregorio la cui dimestichezza con il repertorio barocco dona al suo Achilla una misura e un equilibrio fra la violenza e la melliflua galanteria che caratterizzano il personaggio. Notevoli per raffinatezza di emissione e cura dei dettagli le due parti di fianco affidate a specialisti di settore come Domenico Apollonio (Curio) e Angelo Giordano (Nireno).