Como, Teatro Sociale: “L’elisir d’amore”

Como, Teatro Sociale, Stagione Notte 2025/26
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti, su libretto di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
Adina GIULIA MAZZOLA
Nemorino NICO FRANCHINI
Belcore GIOVANNI ACCARDI
Dulcamara GIACOMO NANNI
Giannetta ROSALBA DUCATO
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Coro OperaLombardia
Direttore Enrico Lombardi
Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Andrea Chiodi
Scene Guido Buganza
Costumi Ilaria Ariemme
Luci Gianni Bertoli
Nuovo allestimento in coproduzione Teatri di OperaLombardia, Fondazione Teatro di Pisa, Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara
Como, 25 settembre 2025
Viviamo un momento ben strano, nell’opera, nell’arte e, più in generale, nella società, un momento di polarizzazione estrema, nel quale una scala di grigi non rappresenta una gamma di sfumature, ma la prudenza di chi non prende posizione. Nel nostro campo, ad esempio, assistiamo a una generazione di registi il cui lavoro tende a stravolgere e inventare gran parte di ciò che ci propongono in scena, senza quasi nemmeno leggere il libretto dell’opera o ascoltarne una registrazione; d’altro canto, assistiamo a una schiera di direttori d’orchestra che, piuttosto che fornire un’interpretazione ragionata, financo personale, di partiture vecchie duecento anni, si trincerano dietro a edizioni critiche al limite col pedante, e ci regalano versioni spogliate di qualsivoglia variazione tradizionale, ma pienamente rispettose del manoscritto dell’autore. E così “L’Elisir d’Amore“ che inaugura la stagione del Teatro Sociale di Como presenta tempistiche, agogiche e dinamiche francamente inusuali, per noi così come per i cantanti, ed il giovane Enrico Lombardi fatica non poco a tenere insieme buca e scena, specialmente negli insiemi e nei concertati col coro, che è vistosamente in ritardo rispetto a una cavea gestita sovente con foga e senza morbidezza; anche alcune cadenze di tradizione lasciano il posto a passaggi di nota che paiono bruschi, di fronte all’aspettativa di un orecchio un poco formato. Cui prodest questo atteggiamento, considerato che Donizetti (e probabilmente il suo modo di dirigere e la sua forma orchestrale) è morto quasi due secoli fa? Le edizioni critiche sono degli ottimi punti di riferimento per musicisti e direttori, dai quali però ci aspetteremmo anche capacità di emancipazione e, come già detto, interpretazione di quanto vi si può trovare scritto – peccato che stavolta al maestro Lombardi sia mancato questo coraggio. Al suo antipode, invece, sta Andrea Chiodi, con una regia fortunatamente poco coraggiosa, ma anche onestamente poco interessante: trasferire la vicenda de “L’Elisir“ in una fabbrica di uova degli Anni Cinquanta non apporta nulla alla storia, anzi, complica la comprensione di alcuni personaggi – se il rapporto Adina-Nemorino-Giannetta è chiaro (la direttrice del pollaio e due suoi dipendenti), perché in quel luogo dovrebbe voler entrare un soldato (Belcore) con il suo esercito? Perché dovrebbe arrivarvi un venditore ambulante (Dulcamara)? Chi vorrebbe celebrarvi un matrimonio? Il luogo stesso prescelto è, peraltro, travisato anche dalla scenografia di Guido Buganza, che riempie le pareti con batterie di polli, ma in mezzo al palco pone un grande tavolo dove si impastano tagliatelle e altre amenità a base d’uovo, cibo che viene puntualmente lanciato o schiacciato, e col quale si gioca in scena (è proprio il caso di rappresentare questo spreco, in un momento storico tanto delicato?). Per quanto questa scelta non produca scandalo, non crei drammaturgie nuove, si riduce solo a una variante estetica sulla dinamica narrativa tradizionale, incapace, tuttavia, di incrementare il valore estetico, quanto piuttosto tesa a una deminutio, come troppo spesso abbiamo assistito negli ultimi tempi. Possibile che non si capisca che anche l’opera buffa si possa fare proponendo ambientazioni di bellezza e comicità leggera e aggraziata? In ogni caso, avrebbe potuto andare peggio. Il cast, quasi naturalmente, si adegua a questa produzione col freno a mano tirato, e si assesta su un’aurea mediocritas che certo non si farà ricordare, ma che nemmeno si può definire sbagliata, a partire da Giulia Mazzola che sostituisce all’ultimo l’indisposta Alessia Sanza, e che ci offre un’Adina dal suono morbido, suadente, nei  i centri, valorizzati da un fraseggio attento e preciso. La gestione del  registro acuto ci è parsa invece più incerta e poco a fuoco.  Accanto a lei ritroviamo il Nemorino di Nico Franchini, già visto qualche anno fa proprio qui a Como, e caratterizzato dalla bella e luminosa vocalità di  tenore “leggero”. Dulcamara è il vincitore del premio AsLiCo di quest’anno, Giacomo Nanni, che, a dirla tutta, già in gennaio c’era parso poco consono al ruolo. Sensazione confermata anche in questa occasione. Il suo è un Dulcamara di scarso corpo vocale e che cerca di compensare questa mancanza con un naturale istrionismo e una bella predisposizione fisica; più o meno sullo stesso piano si presenta il Belcore di Giovanni Accardi, vocalmente poco proiettato, ma scenicamente molto coinvolto. Prova alterna per Rosalba Ducato (Giannetta), forse sarebbe il caso di ricominciare ad assegnare il ruolo ai mezzosoprani, piuttosto che costringervi un soprano che ci appare assai esile. Apprezzabile per corpo e intenzioni espressive il Coro OperaLombardia diretto dal maestro Massimo Fiocchi Malaspina, per quanto morda sensibilmente il freno sulla direzione d’orchestra. Nel complesso, dunque, una produzione certamente inficiata da troppa prudenza in ogni settore: a dirla tutta, da un’apertura di stagione di una piazza prestigiosa come Como, ci saremmo aspettati di più, su ogni fronte. Foto Andrea Butti