Roma, Castel Sant’ Angelo
CASTEL SANT’ ANGELO 1911-1925
A cura della Direzione Musei Nazionali della città di Roma – Pantheon e Castel Sant’Angelo
Direttore ad interim Luca Mercuri
Roma, 22 settembre 2025
Castel Sant’Angelo, quel cilindro imponente che sorveglia il Tevere con aria da custode arcigno, oggi ci parla non di imperatori né di papi, ma della nascita di un museo. E non di un museo qualsiasi: il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, inaugurato nel 1925 e giunto ora al suo primo secolo di vita.
Per festeggiarlo, dal 23 settembre 2025 al 15 febbraio 2026 si apre la mostra Castel Sant’Angelo 1911–1925. L’alba di un museo, organizzata dal Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della città di Roma, con la direzione ad interim di Luca Mercuri. Non una rassegna celebrativa di maniera, ma un viaggio dentro le origini, quando il castello si trasformò da fortezza papale e prigione oscura a palcoscenico di memorie artistiche. L’Italia del 1911 aveva cinquant’anni di unità. Mezza età da festeggiare con trombe e tamburi, con grandi esposizioni retrospettive e padiglioni improvvisati, con quadri, sculture e cimeli tirati fuori dai depositi come vecchie fotografie di famiglia. Era l’epoca in cui si costruiva l’identità nazionale non solo con le ferrovie e i ministeri, ma anche con i musei: veri santuari della memoria, che insegnavano a un popolo ancora diviso in dialetti a riconoscersi in una storia comune.
Castel Sant’Angelo fu scelto come scenario della Mostra retrospettiva del 1911, e la scelta non fu casuale: un mausoleo imperiale che era diventato fortezza papale e carcere, e che ora si reinventava come vetrina della nazione, era il simbolo perfetto della stratificazione italiana. Immaginiamo il visitatore di quell’anno. Entrava nel castello e trovava dipinti, sculture, armi e acquerelli disposti nelle sale che avevano visto le prigioni di Beatrice Cenci o i passaggi segreti dei papi. Il contrasto doveva essere potente: là dove si respirava ancora odore di umidità e ferro, ora si vedevano luci, cornici, drappi e un allestimento che oggi potremmo definire un po’ barocco, ma che allora appariva solenne. Le fotografie d’epoca, esposte nella mostra del 2025, ci restituiscono quell’atmosfera: sale dense, sovraccariche, con oggetti ammassati quasi a comporre un’enciclopedia tridimensionale, dove il criterio era insieme pedagogico e teatrale.
Tra il 1911 e il 1925 passano quattordici anni che non furono tranquilli: la Grande Guerra, il dopoguerra, il mutamento delle istituzioni e dei linguaggi artistici. Ma nel frattempo a Castel Sant’Angelo si elaborava un’idea: fare del castello un museo stabile. Non bastava più la mostra celebrativa; occorreva trasformare quel cilindro romano in una casa permanente della memoria. E così si lavorò, tra acquisizioni e prestiti, tra donazioni e riordini, con quella pazienza tutta italiana che alterna slanci visionari e ritardi burocratici. Il 1925 segnò la svolta: venne istituito ufficialmente il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo. Non era un semplice atto amministrativo, ma una metamorfosi simbolica. Il mausoleo di Adriano e la roccaforte papale diventavano ufficialmente museo, con collezioni che spaziavano dalle armi ai bronzi, dagli arredi papali agli affreschi. Ogni pezzo raccontava una storia, ma insieme contribuiva a costruire una narrazione: l’Italia come nazione antica, gloriosa, stratificata. La mostra odierna, a un secolo di distanza, restituisce quell’alba con un allestimento che mette in dialogo opere e fotografie storiche. Non ci sono solo i dipinti e le sculture, ma anche la memoria del loro primo apparire in veste museale.
È un gioco di specchi: l’oggetto antico e la sua messa in scena novecentesca si riflettono l’uno nell’altra. Così il visitatore di oggi non osserva soltanto l’opera, ma anche il modo in cui fu interpretata cento anni fa. È un’esperienza quasi teatrale: ci sediamo in platea e assistiamo a due spettacoli sovrapposti, l’arte e la sua museografia. E qui bisogna dirlo: i musei non sono mai innocenti. Sono sempre racconti, costruzioni ideologiche, a volte persino sceneggiature di potere. Nel 1911 servivano a mostrare un’Italia giovane ma desiderosa di apparire antica e solida. Nel 1925 dimostravano che una fortezza poteva diventare tempio della cultura. Oggi, nel 2025, i musei oscillano tra ricerca scientifica e intrattenimento turistico, tra vocazione accademica e spettacolarizzazione. Ricordare come nacque il Museo di Castel Sant’Angelo è dunque un esercizio salutare: ci aiuta a capire che ogni museo è una narrazione, e che la sua neutralità è solo apparente. Tra le sale della mostra, gli occhi si fermano sulle fotografie in bianco e nero: file di armature che paiono soldatini in parata, stanze cariche di arredi papali, busti marmorei disposti come un coro silenzioso. C’è una teatralità ingenua ma efficace, la stessa che faceva dire a certi critici dell’epoca che i musei erano “cattedrali laiche”.
Oggi possiamo sorridere di quel gusto un po’ ottocentesco, ma dobbiamo riconoscere che proprio grazie a quelle scelte il museo è nato e sopravvissuto. Castel Sant’Angelo è del resto maestro di trasformazioni. Nato come tomba di Adriano, diventato fortezza medievale, palazzo rinascimentale, prigione e infine museo, incarna la capacità tutta romana di riciclare il passato. Ogni epoca lo ha reinterpretato secondo le proprie esigenze, e il 1925 non fece eccezione. La mostra del centenario ci ricorda che anche il museo è una costruzione storica, e che le sue radici affondano in un tempo preciso, fatto di scelte politiche e culturali. E allora, passeggiando oggi tra quelle sale, non possiamo non pensare a quante vite ha avuto quel cilindro sul Tevere. Forse è proprio questa la sua forza: non essere mai uguale a sé stesso.
La mostra ce lo ricorda con grazia e intelligenza, riportandoci a quell’“alba” in cui si decise che Castel Sant’Angelo sarebbe stato non più soltanto un monumento, ma un museo. Un gesto che oggi possiamo leggere come un atto di fiducia nella cultura, un atto che, a distanza di un secolo, continua a parlarci con voce limpida. E viene quasi da sorridere pensando che mentre nel 1925 si immaginava un museo come cattedrale della memoria, nel 2025 ci accontentiamo spesso di musei come parchi tematici, con bookshop pieni di calamite e code più lunghe di quelle della mensa universitaria. Ma forse è proprio così che il museo continua a vivere: oscillando tra la solennità del rito e la leggerezza del souvenir.
Roma, Castel Sant’Angelo: “Castel Sant’Angelo 1911–1925”