Roma, RomaEuropa Festival 2025: “Afanador”

Roma, RomaEuropa Festival 2025
“AFANADOR”
Ballet Nacional de España
Director Rubén Olmo
Idea e direzione artistica Marcos Morau
Coreografia Marcos Morau & La Veronal, Lorena Nogal, Shay Partush, Jon López, Miguel Ángel Corbacho
Drammaturgia Roberto Fratini
Scenografia Max Glaenzel, Mambo Decorados e May Servicios para Espectáculos, Carmela Cristóbal
Costumista Silvia Delagneau, Iñaki Cobos
Composizione musicale Juan Cristóbal Saavedra
Collaborazione speciale Maria Arnal
Musiche per Minera e Seguiriya Enrique Bermúdez e Jonathan Bermudez
Testi Temponera, Trilla, Liviana, Bambera e Seguiriya Gabriel de la Tomasa
Disegno luci Bernat Jansà
Design e dispositivi elettronici José Luis Salmerón de la CUBE PEAK
Progettazione audiovisiva Marc Salicrù
Fotografia Ruvén Afanador
Danzatori Rubén Olmo (Collaborazione speciale), Irene Tena (Artista ospite), Albert Hernández (Artista ospite), Inmaculada Salomón, Estela Alonso, Débora Martínez, Miriam Mendoza, Ana Agraz, Cristina Aguilera, Ana Almagro, Pilar Arteseros, Marina Bravo, Irene Correa, Patricia Fernández, Yu-Hsien Hsueg, María Martín, Noelia Ruiz, Laura Vargas, Vanesa Vento, Sou Jung Youn, Francisco Velasco, José Manuel Benítez, Eduardo Martínez, Cristian García, Matías López, Carlos Sánchez, Diego Aguilar, Juan Berlanga, Manuel del Río, Axel Galán, Alejandro García, Álvaro Gordillo, Adrián Maqueda, Víctor Martín, Alfredo Mérida, Javier Polonio, Pedro Ramírez, Juan Tierno, Sergio Valverde
Musicisti Juan José Amador “El Perre”, Enrique Bermúdez, Jonathan Bermúdez (Chitarre), Roberto Vozmediano (Percussioni)
Roma, Teatro Costanzi, 4 settembre 2025
Suggestioni profondamente evocative e dirompenti sono state quelle provocate dallo spettacolo Afanador nella serata d’apertura della 40esima edizione del Romaeuropa Festival. In occasione dei 160 anni di relazioni diplomatiche tra Italia e Spagna, il Festival che vuole affermare l’identità di Roma come capitale europea ha scelto la creatività visionaria di Marcos Morau che già l’anno scorso aveva incantato gli spettatori al Teatro Argentina con lo spettacolo Notte Morricone. Ora la sua immaginazione si rivolge all’Andalusia e al flamenco grazie al tramite dell’arte fotografica del celebre Ruvén Afanador, approfondita nei libri fotografici Ángel Gitano e Mil Besos. Si tratta di scatti dedicati a leggende del flamenco come Israel Galván, Matilde Coral, Eva Yerbabuena, José Antonio e Rubén Olmo, immortalati in pose che trasmettono il fascino glamour di un erotismo radicato nella tradizione ma rivolto con aria provocatoria verso il futuro. Come spiega il drammaturgo Roberto Fratini Serafide, l’intento non è certamente documentaristico, né monumentale, ma è la manifestazione di uno sguardo desiderante che con forza pari all’arte cinematografica di Buñuel si fissa nell’abisso del flamenco rivelandolo in una serie di capricci à la Goya. Morau, che ha studiato a sua volta fotografia prima di dedicarsi alla coreografia e che è nipote di un fotografo, tenta di tradurre quel fascino nei movimenti sfuggenti della danza, riflettendo sul legame tra le due arti, sul mistero del corpo e della vita. A scenario aperto ci ritroviamo dunque nell’atmosfera di uno studio fotografico, dove tra le lampade notiamo donne in ampie gonne nere che sfilano davanti ad un manichino in posa con un cappello a falda stretta in testa, il busto scoperto, e le gambe coperte da una gonna che richiama le linee di una sirena. Nei movimenti di gruppo ritroviamo l’energia e la vitalità dello stile de La Veronal, che ora sono incarnati dalla calorosità spagnola dei 33 danzatori del Ballet Nacional de España, la compagnia pubblica di riferimento della danza spagnola. Il sipario si abbassa, lasciando fuoriuscire solo le gambe dei danzatori e le caratteristiche scarpe col tacco e ci abbandoniamo dunque alla poesia ipnotica del flamenco, osservato nel suo legame con la visceralità della terra. Spostandoci poi nel dietro le quinte del flamenco esploriamo l’attrattività spettacolare. A prevalere sembra la dimensione del gioco riflesso nell’apertura di un grande ventaglio, in un cavallo a dondolo o in una vistosa capigliatura. Ma nella sua sacralità il flamenco è vita vissuta fino all’ultimo istante, è una danza di coppia che lascia trapelare l’atmosfera di sfida di una corrida, è comunità che avvolge e protegge dal dolore. Le maniche sfrangiate di un personaggio ci invitano a pensare alla figura di un angelo gitano, nel chiaroscuro delle luci si intravede il mistero delle ombre, la danza si scompone in un magico ticchettio e nel fremito degli arti. Di spalle su un balcone una donna lascia scendere la lunghissima chioma, mentre sulla facciata schermo si svolge la dinamica delle proiezioni: ora si tratta di un intrico floreale, ora di minacciosi artigli, compare poi un occhio che lacrima e successivamente uno stemma araldico o il muso di un toro, per finire poi con il disegno delle gambe danzanti. La ferinità si trasmette sulla scena. La scenografia si lascia comporre di lampade alla rovescia o di sedie e attrezzi agricoli disposti in chiave antiestetica. Ai suoni digitali si sovrappone la sofferenza della seguiriya, ed infine l’urgenza drammatica delle percussioni. L’assolo danzato dopo aver dialogato con la coralità del gruppo diviene un tragico duello. Una ruota di lampade viaggiando su diverse inclinazioni enfatizza il vibrante divenire scenico. E sul finale, quando cala il sipario, il tripudio osservato in scena si trasforma nel vigore degli applausi. Un successo annunciato che ha lasciato a bocca aperta il pubblico, dando ragione a quella ricerca dell’eccellenza che caratterizza il Romaeuropa Festival. Adesso la vera scommessa sarà quella di sostenere un tale livello. Foto Merche Burgos