Roma, Teatro Vascello
A PLACE OF SAFETY
Viaggio nel Mediterraneo centrale
ideazione Kepler-452
regia e drammaturgia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
con le parole di Flavio Catalano, Miguel Duarte, Giorgia Linardi, Floriana Pati, José Ricardo Peña
con Nicola Borghesi, Davide Enia, Dario Salvetti, Giorgia Linardi, Floriana Pati, José Ricardo Peña
assistente alla regia Roberta Gabriele
scene e costumi Alberto Favretto
disegno luci Maria Domènech
suono e musiche Massimo Carozzi
consulente per il movimento Marta Ciappina
progetto video Enrico Baraldi
consulente alla drammaturgia Dario Salvetti
assistente alla regia volontario e video editor Alberto Camanni
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
video dello spettacolo Vladimir Bertozzi
foto di scena Luca Del Pia
si ringrazia Giovanni Zanotti per il fondamentale contributo alla drammaturgia
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Théâtre des 13 vents CDN Montpellier (Francia)
in collaborazione con Sea-Watch e EMERGENCY
il progetto gode del sostegno del bando Culture Moves Europe, finanziato dall’Unione Europea e dal Goethe-Institut
spettacolo in italiano, inglese, spagnolo e portoghese con Sovratitoli
Roma, 26 settembre 2025
In un’epoca in cui il teatro rischia talvolta di ridursi a esercizio autoreferenziale o a mero intrattenimento, A Place of Safety di Kepler-452 si impone come operazione drammaturgica di insolita radicalità. Non già una messinscena che alluda metaforicamente alla realtà, ma una trasposizione diretta di essa, senza alcun filtro di mediazione estetizzante. La realtà stessa, nella sua nudità drammatica, si fa teatro, e il Mediterraneo centrale — la rotta migratoria più letale al mondo — diviene palcoscenico naturale di una tragedia che riguarda l’intera coscienza europea.
Nicola Borghesi ed Enrico Baraldi, ideatori e registi, non hanno affidato il proprio progetto a interpreti professionisti, ma a soccorritori che di quelle acque conoscono il buio, la paura, il silenzio interrotto dalle grida di chi annaspa. Così, sul palcoscenico del Teatro Vascello, non compaiono personaggi fittizi, bensì uomini e donne che raccontano la loro esperienza diretta: Miguel Duarte, fisico matematico portoghese e da anni impegnato in missioni SAR con Sea-Watch; Flavio Catalano, già sommergibilista della Marina militare italiana, oggi volontario di EMERGENCY; Giorgia Linardi, giurista e portavoce di Sea-Watch; Floriana Pati, infermiera con lunga esperienza in medicina delle migrazioni; José Ricardo Peña, texano figlio di immigrati messicani, già elettricista navale. Essi portano in scena se stessi, con le lingue che meglio li definiscono — portoghese, inglese, spagnolo, italiano — componendo una polifonia che restituisce il carattere transnazionale e plurale dell’impresa.
L’impianto drammaturgico si fonda su un principio di documentazione, ma evita la trappola della retorica pietistica. Non vi è enfasi compiacente, bensì una misura che rende la testimonianza più autorevole: a emergere non è la spettacolarizzazione del dolore, bensì la riflessione sulla responsabilità, sul peso morale di chi salva sapendo di non poter salvare tutti, sulla tensione tra l’Europa che proclama valori universali e l’Europa che erige muri e respinge. È un teatro che non consola né assolve, ma chiama lo spettatore a un atto di coscienza. Emblematica, in questo senso, la circostanza contingente che ha reso incerta la presenza di Duarte e Catalano. I due, imbarcati sulla Global Sumud Flottilla diretta a Gaza per consegnare aiuti umanitari, sono stati coinvolti in un attacco che ha colpito la nave Familia Madeira. Tale assenza, lungi dall’essere un accidente marginale, diventa elemento drammaturgico: lo spettacolo si struttura attorno alla possibilità che due dei suoi protagonisti reali non possano essere presenti, e quella mancanza si carica di valore simbolico, trasformandosi in testimonianza di una realtà che continua a scrivere se stessa, ben oltre i confini della scena.
Dal punto di vista formale, la regia di Borghesi e Baraldi ricorre a un impianto scenico essenziale, con le scene e i costumi di Alberto Favretto, le luci di Maria Domènech e le sonorità di Massimo Carozzi, capaci di evocare senza mimare, di suggerire senza illustrare. I video di Vladimir Bertozzi e la cura visiva di Luca Del Pia collocano le testimonianze entro una cornice che non pretende di sostituirsi alla realtà, ma la incornicia per farne emergere il nucleo drammatico. Il tutto si regge su una tensione fra documento e trasposizione, fra cronaca e rito. Lo spettatore è così posto dinanzi a un doppio movimento: da un lato, l’immediatezza del racconto, che trasmette il senso di una realtà concreta e innegabile; dall’altro, la trasformazione teatrale che ne sottolinea la dimensione universale. Il Mediterraneo non è solo il mare di un confine geografico, ma il simbolo di un’intera civiltà europea in crisi di identità. L’“a place of safety” evocato dal titolo non è semplicemente il porto di sbarco, bensì un ideale etico, un luogo di dignità umana che la nostra epoca sembra smarrire.
La forza dello spettacolo risiede, dunque, in questa tensione: non tanto nella perfezione esecutiva — che sarebbe fuorviante pretendere da interpreti non professionisti — quanto nell’autenticità della voce, nel tremore della parola che non recita ma rievoca, nella fragilità stessa del gesto che diviene segno. È qui che il teatro si mostra nella sua funzione primaria: non come evasione, ma come coscienza incarnata. Vi è chi ha ravvisato in questa operazione un documento memorabile, capace di inscriversi nella più alta tradizione del teatro civile europeo. Ed effettivamente, pur con i suoi inevitabili limiti di compattezza drammaturgica, A Place of Safety riesce a farsi rito collettivo, interrogando lo spettatore non sul passato remoto ma sull’oggi, sulla tragedia che si consuma a poche miglia dalle nostre coste. Un teatro che non “rappresenta” ma “presenta”, che non costruisce metafore ma espone ferite, e proprio per questo possiede un valore che va oltre l’arte: un valore civile e morale. L’operazione di Kepler-452 si colloca, così, in un orizzonte che supera le categorie consuete. Non è mero teatro documentario, non è spettacolo politico nel senso tradizionale, non è dramma né cronaca: è, piuttosto, un atto di testimonianza che assume forma teatrale. E in ciò sta la sua novità, la sua urgenza, la sua necessità. Photocredit Luca del Pia
Roma, Teatro Vascello: “A Place of Safety”