Venezia, Teatro La Fenice: “Tosca”

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2024-2025
TOSCA”
Melodramma in tre atti, Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dal dramma “La Tosca” di Victorien Sardou
Musica diGiacomo Puccini
Tosca CHIARA ISOTTON

Mario Cavaradossi RICCARDO MASSI
Il barone Scarpia ROBERTO FRONTALI
Cesare Angelotti MATTIA DENTI
Il sagrestano MATTEO PEIRONE
Spoletta CRISTIANO OLIVIERI
Sciarrone MATTEO FERRARA
Un carceriere EMANUELE PEDRINI
Un pastore Solista dei Piccoli Cantori Veneziani
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

Piccoli Cantori Veneziani
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Maestro dei Piccoli Cantori Veneziani Diana D’Alessio
Regia Joan Anton Rechi
Scene Gabriel Insignares
Costumi Giuseppe Palella
Light designer Andrea Benetello
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice

Venezia, 2 settembre 2025
Se “il potere logora chi non ce l’ha” – come recita il sarcastico aforisma, coniato dal camaleontico statista francese Charles-Maurice de Talleyrand e fatto proprio da un esponente di spicco della classe politica italiana ai tempi della Prima Repubblica –, è pur vero che un uomo di potere è esposto ai rischi legati alla sua stessa posizione dominante, tra cui quello di non porre alcun limite ai propri desideri, alle proprie pulsioni, contravvenendo ad ogni principio morale, ad ogni istanza di giustizia. Ne fornisce un esempio lo Scarpia della Tosca, che Joan Anton Rechi, responsabile della regia relativa a questo nuova produzione fenicea, trasforma – con procedimento non proprio originalissimo rispetto alle recenti, forse un tantino inflazionate, tendenze del cosiddetto “regie theater” – in un dittatore, analogo a quelli che furono a capo dei vari regimi oppressivi, sorti nel corso del Novecento in Europa, Asia e America Latina. L’azione, dunque, viene trasposta negli anni Cinquanta del secolo scorso, pur senza espliciti riferimenti a un Paese in particolare. Tutto questo per evidenziare l’attualità, l’universalità delle torbide vicende narrate nel capolavoro pucciniano, sacrificando – ne valeva la pena? – le precise indicazioni del libretto, riguardo a situazioni, luoghi, contesto storico. Quanto all’eroina del titolo, il regista andorrano la identifica con una donna dal forte temperamento, che vive la vita come fosse una rappresentazione. Ma più che una “celebre cantante” vede in lei un’attrice dall’intensa, istintuale espressività (quasi un’Anna Magnani). La qual cosa si evince fin dalla prima scena, in cui la “diva” esibisce con teatrale ostentazione diversi stati d’animo, passando enfaticamente dall’amore all’odio, come se stesse recitando. Normalmente rappresentata in luoghi chiusi, claustrofobici, la Tosca di Rechi si svolge in spazi aperti, ad esprimere analogicamente l’anelito alla libertà. Il primo atto si svolge presso il portone di un’antica chiesa in restauro e in un cortile, dove si prepara una processione per la Settimana Santa, guidata da una statua della sivigliana Virgen de Macarena, ridondante di gemme e oro, e nel prosieguo si celebra lo sfarzoso Te Deum. In quello successivo l’azione passa nel giardino della casa di Scarpia, dove si fa ammirare, quale status symbol, un’elegante berlina nera e a tratti giungono i lamenti di Mario, torturato all’interno dell’edificio. Un ambiente oppressivo – dove langue Cavaradossi – costituisce la cupa scena dell’ultimo atto, dominata da scale, che non conducono in nessun luogo: corrispettivo oggettivo dell’insensatezza della violenza, nonché esplicito riferimento alle Prigioni immaginarie del Piranesi. Quanto alla direzione e alla concertazione, Daniele Rustioni – che ha fatto ritorno al Teatro La Fenice dopo avervi eseguito l’opera pucciniana nel 2019, anche allora con Chiara Isotton nel ruolo eponimo – ha proposto una lettura approfondita della partitura del grande lucchese, dimostrando di aver fatto tesoro di decenni di rappresentazioni e registrazioni leggendarie, diversamente da altri direttori storicamente meno informati. Ad ascoltare la sua interpretazione non si poteva non rievocare la splendida edizione discografica – forse ancora ineguagliata –, che vede come direttore Victor De Sabata e quali interpreti principali Maria Callas, Giuseppe Di Stefano e Tito Gobbi, o quella – altrettanto inarrivabile – con Herbert von Karajan affiancato da Leontyne Price, dallo stesso Giuseppe di Stefano e da Giuseppe Taddei. Esecuzioni di riferimento, senza nulla togliere ad altre registrazioni più recenti. Il direttore milanese assegna giustamente all’orchestra un ruolo da protagonista, riuscendo generalmente a coniugare lo spessore sinfonico del discorso musicale con la doverosa preponderanza delle linee di canto, in ossequio alla tradizione melodrammatica. Ne risulta un fluire vocale e strumentale ininterrotto, su cui si stagliano, pregnanti, i leitmotive associati a personaggi, luoghi, sentimenti, consegnandoci un Puccini vero maestro dell’orchestrazione – alla stregua di uno Stravinskij o di un Ravel – e dunque, a buon diritto, musicista di livello europeo. Un aspetto, quest’ultimo, messo in luce, in tanti anni di ricerca, dal compianto Michele Girardi, tra i massimi esegeti dell’arte pucciniana. Ottimo, nel complesso, il livello del Cast vocale. Chiara Isotton – in linea con l’impostazione registica – riesce a delineare una Tosca estroversa nella sua esibita teatralità, sfoggiando una vocalità che sa essere potente e delicata, icastica nel fraseggio, sicura negli acuti, perlacea nel timbro. Riccardo Massi è un Cavaradossi sufficientemente credibile, scevro da qualunque eccesso veristico, vocalmente generoso e sicuro negli acuti. Lontano dai soliti clichés demoniaci lo Scarpia, piuttosto introverso, di Roberto Frontali, la cui interpretazione si fonda su un fraseggio incisivo, oltre che su una vocalità duttile e nobilmente timbrata. Equilibrato il Sagrestano di Matteo Peirone, al pari dell’Angelotti di Mattia Denti. Di adeguata professionalità il restanti componenti del Cast: Cristiano Olivieri (Spoletta), Matteo Ferrara (Sciarrone), Emanuele Pedrini (Un carceriere). Davvero encomiabile la solista del Coro dei Piccoli Cantori Veneziani nell’intonare lo stornello del Pastore. Eccellente il contributo del Coro del Teatro istruito da Alfonso Caiani e dei Piccoli Cantori Veneziani guidati da Diana D’Alessio. Applausi per tutti a fine serata.