Bari, Teatro Petruzzelli: “Don Carlo”

Teatro Petruzzelli, Stagione Lirica 2025
“DON CARLO”
Opera in quattro atti su libretto di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini tratto dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller. Versione Milano
Musica di
 Giuseppe Verdi
Filippo II re di Spagna SHI ZONG
Don Carlo
, infante di Spagna GIUSEPPE GIPALI
Elisabetta di Valois RENATA CAMPANELLA
Rodrigo, marchese di Posa ANKHBAYAR ENKHBOLD
Il grande Inquisitore VAZGEN GAZARYAN
Un frate BOAPENG WANG
Tebaldo, paggio di Elisabetta e Una voce dal cielo SARA ROSSINI
La principessa Eboli NOZOMI KATO
Il Conte di Lerma, L’araldo reale MASSIMILIANO CHIAROLLA
I deputati fiamminghi: MARIO FALVELLA, GIUSEPPE MATTEO SERRELLI, ZHENG WANG, DAVID PACCARA, EDOARDO IALACCI, GIANPIERO DELLE GRAZIE
L’araldo reale NICOLA DOMENICO CUOCCI
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore 
Diego Matheuz
Maestro del Coro Marco Medved
Regia Joseph Franconi-Lee
Scene e costumi Alessandro Ciammarughi
Luci Claudio Schmid
Bari, 15 ottobre 2025
L’allestimento barese, che propone la versione italiana del Don Carlo ridotta in quattro atti, recupera lo spettacolo del Comunale di Modena diretto nel 2012 e di recente ripreso nel 2023 da Joseph Franconi-Lee, regista newyorkese assistente prediletto di Alberto Fassini e grande estimatore dell’arte di Luchino Visconti, oggetto della sua tesi di laurea. Date tali premesse era ovvio che la regia alludesse allo stile viscontiano nella sua predominante impostazione statica, peraltro in linea con la drammaturgia del grand-opéra parigino da cui nacque la versione primigenia del Don Carlos. Se da un lato l’impatto espressivo dei tableaux vivants è risultato notevole, anche grazie alla ricchezza dei costumi curati fin nei minimi dettagli sartoriali, dall’altro l’incoerenza prossemica e la gestione caotica dello spazio scenico hanno condotto a un risultato poco soddisfacente sul piano registico (va precisata la maestria della regista collaboratrice Daniela Zedda nell’esecuzione dello spettacolo importato dall’allestimento modenese di due anni fa). A una certa pesantezza complessiva che ha segnato questo Don Carlo non hanno giovato le luci di Claudio Schmid, di eccessiva fissità, né le scene di Alessandro Ciammarughi, ispirate ai tradizionali fondali dipinti per le immagini allusive all’ambientazione spagnola. La scelta di rimarcare i praticabili a vista (simbolo di spalti effimeri sempre pronti per un Autodafé) faceva pensare a certe soluzioni sceniche congeniali al teatro di Brecht ma non al melodramma ottocentesco. Lo stridore fra questa soluzione di scarno simbolismo e la volontà di omaggiare negli elementi scenoplastici la tradizione coeva a Verdi è risultato forse troppo netto. L’ostica partitura verdiana è stata affrontata con sicurezza dal quarantunenne Diego Matheuz (gesto autorevole, precisione negli attacchi ai cantanti e al coro, chiarezza nelle linee di fraseggio) alla guida di un’orchestra del Petruzzelli quanto mai smagliante e orientata a un’accentuazione dei colori che a tratti ha rischiato di coprire le voci o comunque di penalizzarle. Ottima la prova del coro preparato da Marco Medved, una compagine fatta da cantanti che potrebbero brillare come solisti ma che sanno sempre amalgamarsi con precisione e coesione. La parte di Don Carlo è stata interpretata ottimamente da Giuseppe Gipali con sicurezza negli acuti, pienezza nel registro di centro e grande scioltezza gestuale oltre che con perfetto fraseggio. Al suo confronto il Filippo II di Shi Zong è risultato più debole sul piano della corposità timbrica e della dizione, cosa che ha svuotato il personaggio di quella terribilità sacrale che gli pertiene. Il Rodrigo di Ankhbayar Enkhbold si staglia per potenza di voce, bella grana, solennità nel gesto ma anche per una certa disattenzione ritmica che talvolta rende insicure le entrate. Piuttosto diafana Renata Campanella come Elisabetta di Valois, quasi sempre coperta dall’orchestra. Di certo la delicata eleganza della sua voce non ha trovato un’occasione per venire adeguatamente valorizzata; il contrario è avvenuto per l’Eboli di Nozomi Kato, bellissima per volume e timbro oltre che per l’efficace presenza scenica e per un’emissione mai caricata. Il grande inquisitore dell’armeno Vazgen Gazaryan, nonostante una dizione problematica, possedeva il giusto peso espressivo grazie alla possanza vocale della sua corda di basso profondo. Buona la prova sia di Sara Rossini (Tebaldo/Una voce dal cielo), pur nell’emissione sempre piuttosto sforzata e poco curata nelle nuances, sia del frate di Boapeng Wang per imponenza di volume. Resta un professionista prezioso e di gran qualità vocale Massimiliano Chiarolla (Conte di Lerma). Buona la prova dell’araldo reale Nicola Domenico Cuocci e ottimamente coesi i deputati fiamminghi Mario Falvella, Giuseppe Matteo Serreli, Zheng Wang, David Paccara, Edoardo Ialacci, Gianpiero Delle Grazie. Attento e numeroso il pubblico barese che nonostante la lunghezza dello spettacolo ha salutato con calorosi applausi il ritorno dopo mezzo secolo sul palcoscenico cittadino di una delle opere di Verdi più complesse e impegnative anche sul piano della fruizione. Foto Clarissa Lapolla