Bologna, Teatro Comunale Nouveau: Il mito di Edipo da Pizzetti a Stravinskij

Bologna, Teatro Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2025
PER L’EDIPO RE DI SOFOCLE”
Tre intermezzi sinfonici per orchestra
Musica di Ildebrando Pizzetti
OEDIPUS REX”
Opera-oratorio su libretto di Jean Daniélou ispirato all’“Edipo Re” di Sofocle
Musica di Igor’ Fëdorovič Stravinskij
Edipo GIANLUCA TERRANOVA
Giocasta ATALA SCHÖCK
Creonte/ Messaggero ANTON KEREMIDTCHIEV
Tiresia SORIN COLIBAN
Pastore SVEN HJÖRLEIFSSON
Orchestra e  Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttrice d’orchestra Oksana Lyniv
Maestra del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Gabriele Lavia
Scene Alessandro Camera
Costumi Andrea Viotti
Luci Daniele Naldi
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 07 ottobre 2025
Riprende la stagione del Comunale Nouveau di Bologna con un dittico interessante, dedicato alla figura mitologica di Edipo: la proiezione di alcuni frame scelti del film “Edipo re“ di Pasolini accompagnati dagli intermezzi “Per l’Edipo Re di Sofocle” di Ildebrando Pizzetti, seguiti poi dall’”Oedipus Rex” di Stravinskij. La ragione di questo originalissimo progetto risiede senz’altro nel cinquantennale della scomparsa del poeta italiano, che ricorrerà il 2 novembre, e il suo valore celebrativo è sicuramente indiscutibile: il collage di fotogrammi della prima parte è molto efficace nel ricreare l’estetica inconfondibile del cinema pasoliniano (i volti sorprendentemente imperfetti, il brullo paesaggio africano, le formidabili creazioni di Danilo Donati, l’espressività amara e diretta); preziosi nella singolare ricchezza di suoni, di agogiche e dinamiche, sono stati anche i brani di Pizzetti, sorprendenti anche per l’elegantissima direzione della maestra Oksana Lyniv, che, dietro la sobrietà ben nota, lascia trapelare momenti di vibrante trasporto. L’oratorio di Stravinskij, pur nella caratteristica granitica magnificenza, ha, invece, presentato diverse criticità durante la recita: la prima e più palese è stata la disomogeneità del cast, che ha visto alcune prove di lato (come quelle del Pastore di Sven Hjörleifsson e di Creonte e Messaggero di Sorin Coliban) più riuscite, per intonazione e qualità sonora, dell’Edipo di Gianluca Terranova voce sicura e ferrigna nei centri, quanto periclitante nel registro acuto; simili limiti ha mostrato anche la fascinosa Giocasta di Atala Schöck, anch’essa caratterizzata da un colore vocale che tende a sfocarsi nella tessitura acuta. Il Tiresia di Anton Keremidtchiev, invece, si è mosso nell’alveo della correttezza, mostrando vocalità solida, dalla dizione scolpita, e tutto sommato a suo agio anche in un ruolo complesso come questo. La compagine maschile del Coro del Comunale ha saputo ben distinguersi, sviluppando un suono compatto e autorevole (un plauso alla maestra Gea Garatti Ansini), probabilmente aiutato anche da una regia che lo ha voluto seduto in scena con in mano la partitura. L’apparato creativo si è dimostrato ottimo artefice per quanto riguarda le scene e le luci (rispettivamente curate da Alberto Camera e Daniele Naldi), quanto francamente problematico sui costumi e la regia: Andrea Viotti, infatti, confeziona dei costumi di difficile comprensibilità, tendenzialmente novecenteschi, in scala di grigi, ma con una Giocasta in abito di velluto dalla foggia medievale, e un’intenzionale non caratterizzazione dei singoli personaggi (perché il pastore deve essere vestito da assicuratore?). La regia, del celebrato e apprezzato Gabriele Lavia, in realtà non sembra esserci, e, per citare i prestigiatori di qualche anno fa, se c’è non si vede: il coro invade i due terzi della scena stando, come si è già detto, seduto con in mano la partitura, simile a una cantoria; Edipo passeggia più o meno liberamente avanti e indietro, Giocasta, sempre più o meno liberamente, lo segue e lo abbraccia, gli altri personaggi entrano in scena cantano ed escono. L’unico personaggio che si muove con un senso apparente, e azzarda qualche posizione interessante è il narratore, interpretato proprio da Lavia stesso (sulle cui doti attoriali ovviamente non sindachiamo, trattandosi di uno dei massimi interpreti italiani del XX secolo). Tutto questo grigio, per quanto illuminato meravigliosamente, tutta questa immobilità, tutto questo alzarsi e sedersi del coro, non giovano a una partitura che è senz’altro strepitosa nella gestione delle parti orchestrali, nella straordinaria inventiva che si mescola alla ricerca di solennità del contrappunto, dei tempi allargati dilatati e sospesi, ma, proprio per questo precedente intento, è anche di una ciclopica ieraticità – se su una tale opera l’azione e l’espressività del gesto vengono meno, i cinquantacinque minuti della sua durata sembrano anni. In ogni caso non possiamo ascrivere alcuna responsabilità alla direttrice d’orchestra, che, anzi, per quanto è possibile, porta avanti lungo tutto l’oratorio una puntuale ricerca dei colori musicali, salvando de facto l’intera recita. Il pubblico – ahimè non abbondante – riserva, tuttavia, sul finale, calorosi riconoscimenti agli artisti, in special modo al coro e alla maestra Lyniv. Foto Andrea Ranzi