Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Stagione d’opera 2025
“MACBETH”
Tragedia lirica in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, dall’omonima tragedia di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth LUCA SALSI
Banco ANTONIO DI MATTEO
Lady Macbeth VANESSA GOIKOETXEA
Dama di Lady Macbeth ELIZAVETA SHUVALOVA
Macduff ANTONIO POLI
Malcolm LORENZO MARTELLI
Domestico di Macbeth EGIDIO MASSIMO NACCARATO
Medico HUIGANG LIU
Sicario LISANDRO GUINIS
Un araldo DIELLI HOXHA
Prima apparizione NICOLÒ AYROLDI
Seconda apparizione AURORA SPINELLI
Terza apparizione CATERINA PACCHI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Alexander Soddy
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Spazio e regia Mario Martone
Scene Mimmo Paladino
Scenografo realizzatore Barbara Bessi
Costumi Ursula Patzak
Luci e video Pasquale Mari
Video designer Alessandro Papa
Coreografia Raffaella Giordano
Nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 17 ottobre 2025
“Sulla metà del mondo or morta è la natura: […] or consuman le streghe i lor misteri” è forse la citazione dal libretto che più sintetizza la summa registica di Mario Martone. Le streghe, infatti, non sono qui mere garanti dell’attuazione di un ineluttabile a cui non è possibile sottrarsi, ma vere e proprie fautrici del male. Un male che non proviene dall’esterno, ma che, al contrario, si annida nell’intimità di
coppia, nutrendosi della sete di potere per riversarsi all’esterno con dirompente catastrofismo. A questo scopo, le scene di Mimmo Paladino (scenografa realizzatrice Barbara Bessi) rinunciano a quasi tutto il fascino dell’originaria ambientazione scozzese, per figurare una continua morsa della mente, fatta di antri e pareti fosche, su cui i sottili graffi di luce di Pasquale Mari filtrano a stento, metafore visive del lato oscuro della coppia. Solamente sulla patria oppressa si scorge il mondo esterno, a riprova della ricadute sulla popolazione, quando la scena devastata (video di Alessandro Papa) rivela prospettive di una città quasi rasa al suolo, in cui il pubblico ha trovato immediata immedesimazione nelle tante riprese
che purtroppo popolano di questi tempi i telegiornali, scoppiando in un dirompente applauso. Ma l’attualizzazione non si è limitata a questo, col suo tratteggiare personaggi in abiti decisamente moderni, intenti a “spippolare” sui propri smartphone e a rispondere tramite vocali, a cui facevano eccezione le streghe, vestite da Ursula Patzak con l’antiquata mise delle contadine del Sud e ben coadiuvate dalle coreografie di Raffaella Giordano. Di tutto rispetto anche la direzione di Alexander Soddy, che opta per la più popolare versione di Parigi (a eccezione dell’incisivo “Mal per me che m’affidai”), limitando al minimo i tagli e lavorando costantemente sulla messa a punto dei dettagli che costellano questa sensibile partitura. Lo si vede fin dal principio, quando i due magnificenti accordi del preludio
vengono saggiati con accennato prolungamento dei suoni e marcate pause, prima del concitato incedere verso i principali nuclei tematici. Un approccio confermato per tutta l’esecuzione, pronto a tener conto delle esigenze dei cantanti senza rinunciare ai contrasti agogici, a dare il giusto peso alla parola scenica e nondimeno reattivo nel rimarco della sinistra tavolozza orchestrale dei legni, nel loro strisciare tra le varie cellule melodiche che delineano l’impeto tragico della vicenda. Di grande afflato la performance del coro di Lorenzo Fratini, assai coinvolto nell’azione, dove un plauso va all’audace sezione femminile, capace di peculiare carica espressiva e
compattezza di suono anche nell’impervio canto in posizione supina. Nel ruolo del titolo, Luca Salsi gioca oramai in casa, dopo la prova del 2013 (nella versione della prima assoluta del 1847 alla Pergola) e quella del 2018 col maestro Muti. La sua resa è uno scrupoloso studio di equilibri, la cui centralità va al valore della parola come mezzo drammaturgico ed espressivo, in cui ogni frase è scolpita con dizione anatomica e accuratezza dinamica, per un fraseggio mai banale o privo d’intenti. Si può affermare che il baritono sia talmente dentro alla parte da non riuscire facilmente a distinguere tra le doti più innate del suo strumento e quelle funzionali
al ruolo, entro una veemenza scenica che qua e là lo conduce a un uso ridondante dell’“h” muta (funzionale alla spinta) e a qualche acuto di forza dall’emissione più opaca. Supera discretamente la prova anche Vanessa Goikoetxea, al suo debutto in Verdi e nel temibile ruolo della Lady, che affronta con sensuale e significativo carisma attoriale. La cantante scopre le sue carte migliori su cantabili e frasi in area medio-acuta, dove il timbro è più sonoro e si piega con maggiore rotondità a inflessioni di fraseggio e dinamiche di rispettabile tornitura. Ha, tuttavia, per le mani un ruolo estremamente esteso e complesso, che richiederebbe uno spettro vocale più ampio. Se da un lato le agilità del brindisi vengono tutto sommato risolte col beneplacito del direttore, dall’altro la fulminea esuberanza della Lady si sente meno sugli slanci di forza, come negli sfoghi de “La luce langue”, dove gli acuti risuonano meno compatti, o al momento del sonnambulismo, tecnicamente ben cantato, ma la cui resa vocale risulta in linea col resto e non snaturata dall’indebolimento del personaggio. Accanto ai due protagonisti, Antonio Poli dà risalto con convinzione al circoscritto, ma altamente
drammatico, momento solistico di Macduff, esibendo un timbro caldo e vigoroso, il cui appoggio e buon sostegno favoriscono una linea di canto generosa di legati e giusto appena brusca su alcuni stacchi di suono. Discreta anche la sentita esecuzione del Banco di Antonio Di Matteo, ben saldo e nitido sui gravi rispetto alla talora fumosa emissione dell’area acuta. Nel vasto panorama dei secondari, merita una menzione il secondo soprano Elizaveta Shuvalova, che nelle poche battute destinate alla dama della Lady si distingue per vellutata proiezione ed espressività di fraseggio, mentre il diligente Malcolm di Lorenzo Martelli è apparso un pochino più pallido del primo tenore. Professionali anche gli interventi di Egidio Massimo Naccarato (domestico), Huigang Liu (medico), Lisandro Guinis (sicario), Dielli Hoxha (araldo) e delle tre apparizioni: Nicolò Ayroldi, Aurora Spinelli e Caterina Pacchi. Al termine, un pubblico piuttosto incline agli applausi a scena aperta, esprime il suo consenso verso tutte le maestranze e gli interpreti principali. Foto Michele Monasta