Firenze, Teatro Niccolini: L’integrale delle Sequenze per strumento solo di Luciano Berio

Firenze, Teatro Niccolini, Stagione 2025-26 degli Amici della Musica di Firenze
Soprano
 Laura Catrani; Flauto
Silvia Careddu; Arpa Gunnhildur Einarsdóttir
Pianoforte Andrea Lucchesini; Trombone Gerard Costes Ferré; Viola Daniele Valabrega; Oboe Diego Dini Ciacci; Violino Francesco D’Orazio; Sassofono Contralto Marcus Weiss; Tromba Antonio Faillaci; Chitarra Eliot Fisk; Fagotto Diego Chenna
Fisarmonica Teodoro Anzellotti;  Violoncello Giovanni Gnocchi.
Firenze, 26 ottobre 2025
In occasione del centenario della nascita di Luciano Berio (Oneglia 1925-Roma 2003) gli Amici della Musica hanno organizzato un «Omaggio a Luciano Berio». Al mattino – inteso «come un preludio autonomo ma armonicamente connesso alla Maratona Sequenze» – si sono avvicendati gli interventi di Mila De Santis, Oreste Bossini, Angela Ida De Benedictis e Ulrich Mosch, mentre nel pomeriggio è stata la volta della musica. Un’occasione ghiotta per quanti desideravano conoscere e ascoltare la musica di Berio, anche per i musicisti presenti che, per vari motivi, continuano a mantenere un legame con le sue opere. A sottolineare l’importanza dell’evento non è sfuggita la presenza di Talia Pecker Berio (moglie), la figlia Cristina, alcuni relatori del mattino, docenti del Conservatorio fiorentino, rappresentanti di altre istituzioni, ecc. Per tutti, probabilmente, si è trattato di un’esperienza singolare. Il pubblico, immerso nel buio del teatro, ha concentrato l’attenzione sugli interpreti che via via si succedevano sul palcoscenico, ‘illuminati’ da un fascio di luce e intenti a realizzare ‘magici’ suoni. Ne è scaturito un tessuto narrativo attraente: talvolta si coglieva un accenno ad un timido dialogo con le loro ombre. Sembrava di assistere alla convivenza, ma anche al confine tra luce e ombra che, nella metafora del colore e della vita, evoca la dialettica di Caravaggio fino ad approdare all’eliminazione del timore del cambiamento sulla materia di Alberto Burri. In sostanza le composizioni in programma riportavano alla seconda metà del Novecento e al quel tipo di intellighentia costituita da figure come Petrassi, Maderna, Nono, Boulez, Stockhausen, Ligeti, Dallapiccola, Kurtág, Sanguineti, Eco, ecc. In essi dominava la volontà di proiettarsi verso la ricerca e la sperimentazione necessarie a realizzare un’autentica creatio ex nihilo. Nel sentir suonare i vari musicisti emergeva, in itinere, l’impegno del loro atto interpretativo in cui alla ricezione della musica seguiva la decodifica, l’analisi e la rielaborazione personale pur di far ‘rivivere’ l’opera. Ai presenti invece era richiesto impegno nell’ascolto e l’invito a lasciarsi ‘attraversare’ dalle vibrazioni sonore poiché, come nella Sequenza X per tromba e risonanze di pianoforte, si potevano cogliere interessanti suggestioni. Tutto era molto curato affinché non si rischiasse di navigare verso l’ignoto e per rendere ancora tutto maggiormente fruibile e far percepire più luce sulle singole composizioni c’era la voce fuori campo di Angela Ida De Benedictis che introduceva le singole composizioni. Pertanto ognuno aveva intuito che era più importante predisporsi alla scoperta considerando che «la musica, sia per chi la produce che per chi la riceve […] è un insieme di tanti fenomeni diversi che prende forma in tante zone a livelli diversi della nostra coscienza e della realtà» (Berio). Se nell’intenzione del compositore si evince che: «Nelle mie Sequenze ho cercato di commentare il rapporto tra il virtuoso e il proprio strumento» agli interpreti era richiesto di ‘ricomporre’ tutta una serie di elementi significativi affinché rendere questa musica ancora più moderna, trasformando la figura virtuoso-strumento in un autentico trittico in quanto il pubblico poteva sentirsi parte significativa dell’evento. Nella ‘maratona’, ove gli intervalli di quindici minuti sembravano grandi respiri che delineavano il fraseggio interno dell’intero corpus, c’era una parte della storia dell’interpretazione del Novecento. In ogni sequenza, scritta per grandi nomi del concertismo ed ora affidata all’interpretazione contemporanea, si poteva cogliere, oltre al passaggio di testimone anche, come in quelle per chitarra e per fisarmonica, la versione più vicina al compositore considerando che Fisk e Anzellotti, destinatari di due Sequenze, ne erano gli interpreti. Trovo molto significativo l’utilizzo di Berio del ‘per’ nella presentazione delle composizioni. A partire dalla Sequenza I in cui egli scrive “per Severino Gazzelloni” ed ancora proseguendo: “per Francis Pierre” (II), “per Cathy Berberian” (III), “per Jocy de Carvalho” (IV), “per Stuart Dempster” (V), “per Walter Trampler” (VI), “per Heinz Holliger” (VII), “per Chiarappa” (VIII), ecc. la preposizione ‘per’ è utilizzata anche per lo strumento specifico, si può interpretare come gratitudine e, nello stesso tempo, mezzo attraverso cui la sua musica si eleva a opera d’arte. Assistere all’evento è stato come entrare nella bottega del maestro, ritrovando sotto una nuova luce ed un’altra poetica alcune esperienze ed espedienti tecnici del Novecento. Nell’abbondanza della varietà mi limito a segnalare i suoni multipli nei legni che ricordano la ricerca di Bruno Bartolozzi con la collaborazione del fagottista Sergio Penazzi, o quella di Enzo Porta sugli armonici sul violino, mentre nella Sequenza III per voce, «considerata come saggio di drammaturgia musicale» (Berio), c’è la volontà di frantumare il testo. Il suonare e cantare nello strumento (Sequenza V per trombone) rammenta, dello stesso anno, Rara (dolce) per flauto diritto di Bussotti ma anche l’attenzione del compositore di Oneglia per ‘ogni sorta di stromento’ tanto da scrivere Gesti (1966) per Frans Brüggen (flauto dolce). Vivo successo per gli interpreti: ognuno poteva sentirsi, probabilmente, ‘salvato’ da quel «tutto nel mondo è burla» (Verdi-Boito) in quanto – a differenza del Falstaff e nonostante ancora il poco coraggio delle istituzioni nel proporre la musica del Novecento e Contemporanea, grazie ad iniziative del genere – il mondo musicale di Berio è apparso più vicino e meno difficile da decifrare: «noi viviamo in una società ed in una situazione dove il mondo ci appare un enorme collage, dove ce n’è per tutti; ed il mondo di intervenire dell’artista è disturbare in modo da creare equilibri diversi, forse gerarchie diverse», parola di Berio (1989).