Direttore d’orchestra catanese, ma “francese” per formazione, avendo studiato a Parigi, Francesco Di Mauro, oltre ad essere Coordinatore della Direzione artistica dell’Orchestra Sinfonica Siciliana e oltre ad esserne stato Sovrintendente e Direttore Artistico e Direttore Musicale del Capri Opera Festival fino al 2023, si è esibito presso prestigiose istituzioni musicali in tutto il mondo. Il 19 ottobre scorso è stato insignito del Premio alla Sicilianità “Cav. Pippo Bertoni”, giunto alla 26esima edizione. In occasione di questa premiazione, che non l’ha visto direttamente protagonista, dal momento che il premio è stato ritirato dalla moglie Cinzia Torrisi, essendo Di Mauro assente per impegni di lavoro, ci ha rilasciato un’intervista.
Cosa significa per un siciliano ricevere un premio così importante?
Ricevere un premio che celebra la Sicilianità è per me un onore profondo. È un riconoscimento che va oltre la carriera: parla delle radici, dell’identità, dell’amore per la propria terra. Anche da lontano, porto sempre con me la Sicilia, nella musica, nello stile, nel cuore. La musica, per sua natura, è ponte tra mondi. E se la mia formazione ha avuto radici francesi, il mio cuore artistico è sempre rimasto ancorato alla Sicilia. Ogni volta che salgo sul podio, cerco di restituire qualcosa di quella eleganza e leggerezza che mi è stata riconosciuta, ma soprattutto cerco di essere fedele a un’idea di direzione che non impone, ma ascolta, che non domina, ma guida.
Puoi raccontarci quale è stato il tuo primo approccio alla musica?
Il mio primo approccio alla musica è stato duplice e profondamente formativo. Da bambino, il pianoforte in casa ha acceso in me una curiosità naturale verso i suoni, che presto si è trasformata in passione e poi in vocazione. Ma un momento altrettanto decisivo è stato l’incontro con la banda musicale del paesino dove vivevo: un ensemble che, con sorprendente maestria, eseguiva sinfonie e arie d’opera nelle piazze e nelle feste. Sentire quelle melodie risuonare tra le strade ha fatto nascere in me il desiderio di capire, di studiare, di dirigere. Da lì, la musica è diventata il filo conduttore della mia vita: non una scelta ma una necessità.
Il primo disco che hai comprato?
Il primo disco che ho comprato è stato Cavalleria Rusticana e Pagliacci nell’edizione della Scala del 1965, diretta da Karajan con interpreti come Bergonzi, Taddei, Panerai e Cossotto. È stata una scoperta folgorante, un’emozione travolgente, quasi fisica, che mi ha fatto capire quanto la musica potesse toccare le corde più profonde dell’anima.
E alla direzione d’orchestra?
La direzione d’orchestra è, per me, molto più di una professione: è una forma di
pensiero, una disciplina dell’ascolto, una responsabilità che si esercita nel tempo e nello spazio. Dirigere significa abitare il silenzio prima del suono, prevedere il respiro collettivo, dare forma all’intenzione musicale senza mai sovrastarla. È un atto di equilibrio tra rigore e intuizione, tra struttura e libertà.
Nel gesto del direttore si condensano anni di studio, ma anche la capacità di cogliere l’istante, di leggere negli sguardi dei musicisti, di modulare l’energia di un gruppo umano che si fa organismo sonoro. La partitura è il punto di partenza, ma la vera direzione nasce nel dialogo con l’orchestra, con la memoria di chi ha interpretato quelle note prima di noi.
La direzione d’orchestra mi ha insegnato che la bellezza non si impone, ma si rivela, che ogni concerto è un rito laico, dove la musica diventa spazio condiviso, tempo sospeso, possibilità di elevazione. In questo senso, dirigere è anche un atto etico: è assumersi la responsabilità di ciò che si fa risuonare nel mondo.
La tua famiglia ha avuto e ha un ruolo importante nella tua carriera?
Assolutamente sì. Mia moglie Cinzia e mio figlio Pierfrancesco rappresentano il cuore pulsante della mia vita, il mio equilibrio profondo, la mia forza silenziosa. Mia moglie è presenza costante, anche quando la distanza imposta dal lavoro ci separa fisicamente: condivide ogni passo, ogni sacrificio, ogni traguardo, offrendo uno sguardo lucido che mi accompagna in ogni scelta. Mio figlio Pierfrancesco, con la sua spontaneità disarmante e la sua naturalezza luminosa, mi ricorda ogni giorno il senso autentico di ciò che faccio: la musica, prima di essere mestiere, è dono, è relazione, è futuro. La loro vicinanza non è solo amore: è fondamento umano, è radice e orizzonte. Senza di loro la mia carriera artistica sarebbe priva di quella dimensione profonda che dà significato al gesto, al
suono, alla direzione.
C’è un’opera in particolare che ami dirigere?
Ce ne sono tante, ma se devo proprio scegliere direi Tosca. In essa convivono tensione drammatica, lirismo struggente e una scrittura orchestrale di straordinaria precisione. È un’opera che interroga il potere, la libertà, il sacrificio, e lo fa con una modernità emotiva che non ha bisogno di aggiornamenti. Dirigerla oggi significa confrontarsi con temi universali e attuali: l’abuso di potere, la dignità dell’individuo, la resistenza dell’arte contro la brutalità. Ogni gesto musicale diventa un atto di verità, ogni frase un grido umano. L’orchestra, in questo contesto, non accompagna: racconta, denuncia, consola. Tosca è il nostro tempo, amplificato dalla musica.
Un lavoro sinfonico?
Non c’è un singolo lavoro sinfonico che prediligo, ma piuttosto un autore: Gustav Mahler. La sua scrittura sinfonica è un universo complesso e stratificato, dove convivono intimità e grandiosità, filosofia e ironia, dolore e trascendenza. Dirigere Mahler significa confrontarsi con l’umano nella sua totalità: ogni sinfonia è un viaggio esistenziale, una meditazione sul tempo, sulla morte, sull’amore, sulla natura.
La sua musica parla al nostro presente con una forza disarmante: è inquieta, visionaria, capace di accogliere il frammento e l’infinito. Per un direttore, Mahler è una sfida continua, perché richiede non solo padronanza tecnica, ma anche profondità spirituale e capacità di ascolto interiore. È un autore che non si interpreta, si attraversa. E ogni volta, se ne esce trasformati.
Prossimi impegni?
I prossimi impegni mi vedranno occupato nel primo semestre del 2026 con La Traviata in una tournée internazionale che toccherà Slovenia, Romania, Polonia e Corea del Sud. Nella seconda parte del 2026, dirigerò tre titoli che amo profondamente: Tosca, Aida e La Cenerentola.