Madrid, Teatro Real: il Ballet Nacional de España e José Granero

Madrid, Teatro Real, Temporada 2025-2026
“BALLET NACIONAL DE ESPAÑA”
“LEYENDA (Crónica de un amor no consumado)”
Musica Isaac Albéniz, con rimaneggiamenti di José Luis Greco
Coreografia José Granero
Danzatori solisti Miriam Mendoza, Víctor Martín, Axel Galán
“ARRIEIRO”
Musica Gerardo Gombau e Joaquim Nin Culmell
Coreografia e solista Eduardo Martínez
“CUENTOS DEL GUADALQUIVIR”
Musica Joaquín Turina
Coreografia José Granero
Solisti Inmaculada Salomón, Matías López
“BOLERO”
Musica Maurice Ravel
Coreografia José Granero
Solisti Débora Martínez, Carlos Sánchez
“MEDEA”
Libretto di Miguel Narros, dall’omonima tragedia di Seneca
Musica Manolo Sanlúcar
Coreografía José Granero
Scene Andrea D’Odorico
Costumi Miguel Narros
Medea MARIBEL GALLARDO
Giasone FRANCISCO VELASCO
Creonte CURRILLO DE BORMUJOS
Creusa ESTELA ALONSO
Nutrice LUPE GÓMEZ
Spiriti DIEGO AGUILAR, JAVIER POLONIO
Orquesta Titular del Teatro Real
Direttore Manuel Coves
Corpo di ballo Ballet Nacional de España
Madrid, 23 ottobre 2025
Il Ballet Nacional de España figura certamente tra i partner favoriti del Teatro Real: nel corso degli ultimi anni l’onore di aprire la stagione di danza è sempre corrisposto a questa compagnia. Nonostante il doppio cambio di direttore artistico, la linea stilistica è rimasta la stessa, alla costante ricerca di un equilibrio tra innovazione e tradizione. Il riscatto di grandi opere e di artisti della cultura coreutica spagnola è iniziato alcuni anni fa ed è proseguito nel tempo; quest’anno l’omaggio è reso a un coreografo identificato come “El Maestro” della danza spagnola: José Granero (1936-2006). Il programma della serata comprendeva cinque pezzi, quattro dei quali con la coreografia di Granero, risalenti agli anni 1987-1994 e considerati (in particolare Medea) come la sua principale eredità artistica. Il quinto pezzo (Arrieiro), in prima esecuzione assoluta, si deve all’elaborazione di Eduardo Martínez, coreografo ed esecutore al tempo stesso: si tratta della più antica danza popolare spagnola, intonata da Gerardo Gombau e Joaquim Nin Culmell, molto simile al fandango. Gli strumenti musicali della tradizione locale, il minimalismo dello scenario e la virtuosistica bravura dell’interprete lo hanno reso il pezzo migliore della serata; senza dubbio il più unitario e il più valorizzato dall’uso delle luci (peraltro eccellente nel corso di tutto il programma). Risalente al 1987, Bolero è un titolo che la compagnia ha mantenuto nel suo repertorio, sebbene accusi i suoi quarant’anni di esistenza, oggi piuttosto sofferta nell’estetica magniloquente e nella scenografia superbamente orientaleggiante (e, ancor più, nelle fragorose percussioni di mani e piedi, che sovente cancellano o schiacciano la musica di Ravel). A parte Leyenda e Cuentos del Guadalquivir, il titolo più atteso è stato Medea, che ha occupato l’intera seconda parte. Il balletto fu presentato per la prima volta al Teatro de la Zarzuela di Madrid nel luglio del 1984 ed è una versione coreutica, ma al tempo stesso molto teatrale e scenografica, della tragedia di Seneca. Senza dubbio animata da intenzioni nazional-popolari, come per rivendicare il carattere autenticamente “spagnolo” di Medea – attraverso il “cordovese” Seneca (anziché Euripide), le nacchere, lo stile neo-flamenco -, l’opera suscita l’interesse dell’etnografo e dell’antropologo, più che del musicista. Granero poté elaborare la complessa coreografia sulla base di un’ambizione che gli era tipica: raccontare in modo chiaro una storia, differenziando con il linguaggio della danza tanto i momenti narrativi come quelli affettivi o drammatici. E forse proprio per la coerenza della linea coreografica il balletto riesce convincente e libera l’entusiasmo del pubblico. Ottima la prova di Maribel Gallardo, impegnata nell’enfatica parte protagonistica e capace di rielaborare, con accuratezza storica, uno stile coreografico che ha caratterizzato l’ultimo quarto del secolo scorso nell’area iberica.  Se però si dovesse contare esclusivamente sulla musica di Manolo Sanlúcar (1943-2022), il bilancio sarebbe alquanto povero; centrata su figurazioni chitarristiche ripetute ed estenuate, la sintassi musicale è molto semplice e a volte stride, sia con le scene della tragedia sia con la coreografia di Granero. Soltanto nella seconda parte, grazie a una scena d’insieme costruita su di un ritmo ostinato e incalzante, oppure grazie alla marcia funebre che precede il finale (in cui è mutuato un tema bandistico, da funerale campestre) alla fruizione dello spettatore si impone anche qualche elemento sonoro opportunamente composto. La presenza dal vivo dell’Orquesta Titular del Teatro Real diretta da Manuel Coves si apprezza per la duttilità con cui affronta i vari brani, ognuno dei quali presuppone uno stile diverso; peccato, parlando appunto di stile e di nuances, che le sonorità siano tutte un po’ appiattite dall’amplificazione eccessiva. Ça va sans dire, successo clamoroso per tutti. Foto Javier del Real