Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni, Stagione Opera 2025/26
“NABUCCO”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera dal dramma di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornue
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco FABIAN VELOZ
Ismaele MATTEO DESOLE
Zaccaria RICCARDO ZANELLATO
Abigaille MARTA TORBIDONI
Il Gran Sacerdote di Belo LORENZO MAZZUCCHELLI
Fenena Chiara mogini
Anna Laura fortino
Abdallo Saverio Pugliese
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro Lirico di Modena
Direttore Massimo Zanetti
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Federico Grazzini
Scene e costumi Anna Bonomelli
Luci Giuseppe Di Iorio
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Comunale di Modena e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia in coproduzione con OperaLombardia, Azienda Teatro del Giglio di Lucca
Modena, 24 ottobre 2025
Nabucco inaugurale per il Comunale di Modena, con protagonista indiscussa e meritatissima trionfatrice della serata Marta Torbidoni. Limpido e dolce il suo mezzo vocale, ma voluminoso, svettante e vigoroso. Si sa: le cantanti che sappiano affrontare l’impervia parte d’Abigaille senza soccombervi si contano sulle dita d’una mano sola, e ne avanzano. La Torbidoni non soltanto supera brillantemente le
asperità della scrittura, ma aggradisce il ruolo con carattere e spavalderia. Curando di non schiacciare il personaggio sulla virago (di scuola vocale) slava, ed assicurandogli, quando lo richiede, accenti teneramente femminili. Negli eponimi panni Fabian Veloz, baritono dal timbro piuttosto nerboruto, e tuttavia gradevolmente pastoso nel registro centrale; vocalmente assai solido, resta un poco ruvido nell’espressione, benché, all’occorrenza, si proponga lodevolmente di smorzare. Non rovescia sul palco il carisma del grande interprete, ma sostiene la parte più che dignitosamente e raccoglie generali consensi. A scaldare gli animi della timida sala è invece lo Zaccaria di Riccardo Zanellato. Seppur non immacolato negli ardori della Profezia e non straripante di volume, al canto di
Zanellato va riconosciuta una straordinaria eleganza di fraseggio: la si apprezza nell’appagante «Preghiera» della Seconda Parte (“Vieni, o Levita – Tu sul labbro de’ veggenti”), meravigliosamente introdotta da una delle più alte pagine dell’arte verdiana, che smonta (qualora ve ne fosse ancora bisogno) il cliché del Verdi contadino. Chiara Mogini canta assai bene la non trascurabile parte di Fenena con voce fresca e luminosa, e trova il suo Ismaele nella voce di Matteo Desole, ben timbrata ai centri e un poco titubante in salita (“Il mio petto a te la strada…”).
Completano il cast un gran sacerdote di Belo di voce morbida ma priva della desiderabile tornitura, Lorenzo Mazzucchelli; un’Anna tenera e squillante, Laura Fortino; un Abdallo penetrante, Saverio Pugliese.
Nel titolo «del coro» per eccellenza, il Coro Lirico di Modena di Giovanni Farina brilla senza sfolgorare: forse è solo per l’abitudine ad un organico più nutrito, e allora siamo noi ascoltatori a “sbagliare”, perché certo le prime esecuzioni dovevano
averne uno ancor più stringato, e dunque un suono ancor più asciutto. In buca l’Orchestra Filarmonica Italiana, che (al netto di qualche attacco della banda di palcoscenico nella marcia funebre di Fenena, fisiologico e, tutto sommato, quasi necessario) garantisce un altissimo grado di nitidezza sotto la direzione sensibile e vibrante di Massimo Zanetti. Che mette in risalto la scrittura scarna, essenziale di Verdi con astuto dominio degli equilibri fra sezioni e delle dinamiche. Un plauso particolare al corno inglese che doppia le ultime frasi di Abigaille. E così non resta che da dire dello spettacolo. Federico Grazzini, coscienziosamente buato dal compunto pubblico della prima, ha realizzato uno spettacolo che in effetti porge il fianco ad alcune osservazioni. Intanto la contrapposizione buoni-cattivi in Nabucco, che il regista definisce una «favola moderna», lascia perplessi: se è chiaro chi siano i cattivi, che gli Ebrei siano i buoni, capeggiati come sono da un esaltato sacerdote tagliagole quale Zaccaria, è tutto da vedersi. Poi ci sono alcune ingenuità convenzionali (le finte botte da orbi; le spadine giocattolo; Zaccaria che stringe la manina a mezzo coro mentre canta la sua aria;
Abigaille che si dispera faccia al muro e pugno levato; Ismaele lapidato con sassolini di gomma rimbalzanti) o piccoli ma fastidiosi bisticci col testo (per esempio: Nabucco che a parole domanda il brando ad Abdallo, ma poi a gesti non lo accetta perché, rinsavito, rifiuta la violenza) che francamente disturbano la narrazione e rappresentano quanto di quel che appartiene alla tradizione siamo pronti ad abbandonare senza rimpianto. Mostrare quotidiane tenerezze domestiche a
commento del “Va’ pensiero” (una bimba che gioca con un aereoplanino assieme al papà e alla mamma in stato interessante) sembra poco coerente con l’auspicio che l’aulica tradizione poetica ispiri «un concento» capace di infondere agli Ebrei la forza di sopportare il dolore — questo il testo dice. La regia, in fondo, non spinge su una facile attualizzazione, ma la lascia trasparire da un abile non detto. La mancanza di una spiccata personalità nella cifra visiva non rappresenta un ostacolo al successo (anzi, spesso è vero il contrario), ma diventa sospetta a chi sia stato a teatro almeno altre due volte nell’ultimo anno: muri bianchi sporcati di macerie; linee di luce led che compongono disegni e simboli, e profili di gabbie in particolare (come compaiono nelle scene di Anna Bonomelli, che firma anche i costumi), hanno tutto l’aspetto del déjà vu. Si riconosce volentieri, invece, un merito particolare al puntuale ed efficace, curatissimo disegno luci di Giuseppe Di Iorio. Successo generale, reiterate contestazioni soltanto alla regia e al suo team.
Modena, Teatro Comunale Pavarotti-Freni: “Nabucco”