Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2025
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito da William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Otello YUSIF EYVAZOV
JAGO ARIUNBAATAR GANBAATAR
Cassio DAVIDE TUSCANO
Roderigo FRANCESCO PITTARI
Lodovico FRANCESCO LEONE
Montano ALESSIO VERNA
Desdemona MARIANGELA SICILIA
Emilia NATALIA GAVRILAN
UN araldo CESARE LANA
Filarmonica “Arturo Toscanini”
Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro Regio di Parma
Direttore Roberto Abbado
Maestro del Coro Martino Faggiani
Voci Bianche dirette da Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Federico Tiezzi
Scene Margherita Palli
Costumi Giovanna Buzzi
Luci Gianni Pollini
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 5 ottobre 2025
Quando, all’alba del 27 gennaio 1901, Verdi fornisce un valido motivo alla successiva affissione d’una targa in sua memoria sulla facciata del Grand Hotel et de Milan, è opinione diffusa che i massimi suoi capolavori siano gli ultimi (Otello, Aida e Falstaff); in ossequio alla concezione, oggi riconosciuta strettamente imparentata con la sciocchezza, della produzione verdiana come «ascensione
creativa»: una evoluzione progressiva verso la vetta, che avrebbe fatto di Verdi, da grezzo abitante delle Roncole, un raffinatissimo e sofisticato parigino, a giorno persino sull’inedite stravaganze del linguaggio wagneriano, e che incontra finalmente in Boito un librettista alla propria altezza. Oggi che la presa di coscienza critica sul cosiddetto «primoVerdi» è ampiamente consolidata, Otello appare in una luce diversa. Qui Verdi dimostra la sua maturità artistica nell’apertura alle istanze scapigliate di Boito, che garantisce l’italianità dell’ex Padre della Patria ormai sospettato di esterofilia. Federico Tiezzi firma qui uno spettacolo che rifugge il naturalismo didascalico delle grandi pagine mimetiche della partitura e si concentra sulla messa in scena, tutta rituale, del meccanismo psichico
azionato da Jago. Ovvero: il classico sul tavolo anatomico. Operazione che offre la possibilità al pubblico colto di una lenta degustazione, con un insopprimibile retrogusto di strutturalismo novecentesco, ma che sembrerebbe altresì implicare la stato non più vitale del sezionando classico. Contribuiscono allo straniamento di una fruizione tutta cerebrale dello spettacolo i costumi di Giovanna Buzzi: che sembrano omaggiare, più che una certa tradizione, una certa prassi. Nelle scene di Margherita Palli, invece, lumeggianti simboli icastici emergono dal nero assoluto di questa «camera delle torture», delineata da taglienti linee di luce, merito senz’altro anche di Gianni Pollini (nel duetto dell’eburnea mano una lama orizzontale larga quanto il boccascena viene trafitta dall’inquietante e lenta discesa di una verticale, con evidenti o inaccessibili significati), e popolata dal largo campeggiare di parole chiave del libretto. Cui si aggiunge un uso misurato e consapevole del video, e quell’insostituibile ritrovato
scenico che è il sipario (rosso). Il quarto atto ha un tono diverso. Dai «titanici oricalchi» della tempesta all’interno borghese della camera da letto è un lento restringimento di campo che dura tutta l’opera. Alla fine dal buio avanza la stanzetta della Desdemona che visse due volte, con la tendina illuminata di luce verde: Hitchcock docet. Ma anche Boito: che nel bocciare l’idea verdiana dello spettacolare attacco dei Turchi sul finale terzo, lo paragona ad «un pugno che rompe la finestra di una camera dove due persone stavano per morire asfissiate». Ecco, qui c’è quell’«ambiente intimo di morte», quella «camera letale» di cui parla Boito. La direzione di Roberto Abbado è improntata ad una composta eleganza che garantisce il serrato incedere drammatico, e non senza dar rilievo ai preziosismi dell’orchestrazione. Eppure, l’impressione dell’ascoltatore che scrive, è che, forse, non sarebbe stato soverchio
un poco più di nerbo, di guizzante fervore, di mordente vitalità, anche a prezzo d’un certo bon ton. In buca la valorosa Filarmonica Toscanini; l’affidabile Coro del Regio è sempre diretto da Martino Faggiani. Yusif Eyvazov sostiene la parte del protagonista in soccorso dell’improvvisamente indisposto Sartori. Posto che «la voce è brutta ma canta bene» e «non esistono più le mezze stagioni», possiamo passare avanti e notare che, benché sia poco serio giudicare un Otello da una sostituzione, l’interprete è parso dapprima un po’ in sordina sul piano espressivo, ma ha preso statura ma mano, prima con un accorto Dio, mi potevi scagliar e poi con un Niun mi tema convinto. Certo, non c’è lo spessore vocale di certe rimpiante ugole energumene del secolo scorso. Ma, relativamente brevi momenti topici esclusi, si tratta d’un ruolo, in fondo, giocato più sull’abilità declamatoria che sulla solidità vocale. Discorso analogo vale per Jago. Ariunbaatar
Ganbaatar, improvvidamente gettato nell’acqua altissima di tale ruolo, non soltanto resta a galla, ma ci sguazza con sudata padronanza. Timbro morbido e pastoso ed elegante linea di canto gli erano già stati riconosciuti, ma qui gli si richiedeva una presenza scenica e una varietà di fraseggio nient’affatto scontati. L’accortezza che lo fa vincitore è l’aver ben compreso che nemmeno un Gobbi, con un timbro tanto prezioso dalla sua, si sarebbe sentito in dovere di strafare sul piano espressivo. Mariangela Sicilia è una approvata ed apprezzata garanzia: una Desdemona tutta lirica, dolcissima e tenera, dai fiati sognanti e soffusi, perfetta per contrastare con un Otello graffiante, brunito e duro (qualora se ne rintracci uno). Con lei il quarto atto prende decisamente quota. Il cast si completa felicemente con il brillante scintillio, che traluce dal fraseggio consapevole e vivace, di Davide Tuscano, Cassio; e con la corposa, fresca vigoria dell’Emilia di Natalia Gavrilan. Francesco Pittari fa bene nella parte di Roderigo, come pure Alessio Verna in quella di Montano. Francesco Leone dona al suo giovanile Lodovico voce bellissima per timbro e colore ma ancora un filino acerba per consistenza. Un Otello di buona e sofisticata fattura, insomma, da decifrare con un certo qual distacco.
Parma, Festival Verdi 2025: “Otello”