Roma, Domus Aurea
MOISAI 2025 – IV edizione
NERONE: autoritratto con figure
Regia e ideazione Fabrizio Arcuri
Testo Fabrizio Sinisi
Con Gabriel Montesi, Iaia Forte
Contralto Maurizio Aloisio Rippa
Attori e attrici della Stap Brancaccio Beatrice Buscemi, Chiara Brunetti, Chiara Liotta, Emilio De Rosa, Federica Petti, Flavia Lucangeli, Flavia Tomassini, Francesca Puorto, Leonardo Pocaterra, Ginevra Ceccherini, Margherita Bigazzi, Viola Dini, Leonardo Fantini, Giorgio Munaco, Giuseppe Franchina, Samuele Sabbatini, Matteo Gizzi, Nicolò Nitto, Amedeo Distilo
Compagnia di Danza e Circo Contemporaneo Claudio e Paolo Ladisa
Coreografie: danzatrici dell’Accademia Nazionale di Danza, Greta Celegon, Sara Parisi
Musiche dal vivo Ensemble musicale Santa Maria di Corte (arpa, flauto, violoncello)
Produzione: PAV
progetto a cura del Parco archeologico del Colosseo
Roma, 10 ottobre 2025
Μουσάων Ἑλικωνιάδων ἀρχώμεθ’ ἀείδειν,
αἵ τ’ Ἑλικῶνος ἔχουσιν ὄρος μέγα τε ζάθεόν τε,
καί τε περὶ κρήνην ἰοειδέα πόσσ’ ἁπαλοῖσιν ὀρχεῦνται.
“Dalle Muse dell’Elicona cominciamo a cantare,
che abitano il grande e sacro monte
e danzano attorno alla fonte dal viola riflesso con piedi leggeri.” (Esiodo – Teogonia, vv. 1–3)
C’era un tempo in cui l’uomo cercava la luce non per essere visto, ma per scoprire fin dove potesse spingersi l’ombra. È di questo tempo che parla Moisai 2025. Nerone: autoritratto con figure, e forse di tutti i tempi. Nelle profondità della Domus Aurea, dove la pietra trattiene la memoria come una lingua dimenticata, Fabrizio Arcuri e Fabrizio Sinisi costruiscono un teatro che non rappresenta ma rivela. Un’esperienza in cui parola, corpo e suono si fondono, restituendo al mito la sua dimensione più autentica: quella della conoscenza, che ferisce e illumina insieme. La regia di Fabrizio Arcuri respira con l’architettura, la asseconda, la lascia parlare. La luce entra come un pensiero, il buio la trattiene come un dubbio. Ogni gesto è calibrato, ma mai rigido: il teatro si muove con la grazia della scoperta, non con la sicurezza della messa in scena.
La Domus Aurea non è sfondo, ma organismo. Le sue pareti umide diventano pelle, la volta si fa respiro, l’eco trasforma ogni parola in preghiera. Gabriel Montesi, nel ruolo di Lucio/Nerone, ne incarna la febbre. Non interpreta un imperatore, ma una coscienza in bilico tra il desiderio e la colpa. L’ attore dà voce a un Nerone intimo, attraversato da visioni e contraddizioni: non l’uomo del potere, ma l’artista che crea e distrugge per esistere. È un personaggio che abita la luce come un campo minato. Ogni volta che la raggiunge, la luce lo acceca; e lui, per sopravvivere, deve bruciare ciò che ama. La sua distruzione diventa così un passaggio necessario e catartico: un modo per rigenerare la verità nella cenere della bellezza. Accanto a lui, Iaia Forte interpreta Agrippina Minore, madre e Musa, archetipo del principio femminile che genera e riconcilia. È la voce della memoria, il respiro che cura. L’attrice dà corpo a un personaggio che è insieme madre e coscienza, presenza terrena e forza cosmica. Ogni sua parola scende nel profondo come una radice, ogni sguardo accende un dubbio o una grazia. È lei a ricordare a Nerone – e a noi – che non c’è creazione senza ferita, né luce che non nasca dal buio.
In questa dialettica si muove l’intero impianto di Moisai. Non esiste un’unica lettura temporale: il passato e il presente si sovrappongono, si toccano e si confondono, sia nei dialoghi sia nelle espressioni dei corpi. L’antico parla la lingua dell’oggi, e il contemporaneo restituisce voce al mito. Così il tempo smette di essere linea e diventa spirale. È questo continuo intreccio tra memoria e attualità che rende lo spettacolo universale e perennemente eterno. Nella Domus, tutto esiste contemporaneamente: Roma imperiale e l’oggi, Nerone e noi, la colpa e la rinascita. La musica, affidata all’Ensemble Santa Maria di Corte, accompagna con discrezione, tesse un tessuto sonoro che vibra come un cuore antico. Il canto del contralto Maurizio Rippa si leva come un’invocazione sottile, ma a tratti penalizzato dai microfoni: l’acustica della Domus chiede contenimento, non espansione, suggerisce l’ascolto più che la proiezione. È uno spazio che assorbe, che inghiotte, e che costringe gli interpreti a un equilibrio difficile tra intensità e misura.
Le danzatrici dell’Accademia Nazionale di Danza e i performer aerei dei fratelli Ladisa completano la partitura visiva. Moisai è un viaggio dentro la mente di un artista e dentro l’anima di un luogo, un’indagine sul desiderio di luce che abita ogni creazione e ogni distruzione. Non mancano imperfezioni — un ritmo a tratti dilatato, una parola che talvolta rischia l’eccesso poetico, o una linea musicale che avrebbe potuto osare il silenzio anziché la proiezione. Ma sono fratture necessarie, perché la bellezza non è mai liscia: vive nelle crepe e Moisai guarisce perché non pretende di essere armonioso. È un teatro che accetta il disordine, che si sporca di vita, che mette a nudo il pensiero prima che la forma. Quando lo spettacolo termina, la Domus Aurea resta immobile, come in ascolto. Un tempo tempio della luce, oggi vive sepolta, ma continua a emanare un chiarore che viene dalla memoria più che dal sole. Per un attimo nessuno applaude. Il silenzio pesa, poi si scioglie in un applauso lento, misurato, come se il pubblico avesse bisogno di rispettare ciò che ha appena attraversato. È un gesto discreto, ma pieno: la consapevolezza che Moisai non si chiude davvero — resta lì, sotto terra, vivo come la sua antica luce. Photocredit Andrea Sabbadini
Roma, Domus Aurea: “Moisai 2025. Nerone: autoritratto con figure”