Roma, MAXXI: “1+1. L’arte relazionale”

Roma, MAXXI
1+1. L’ARTE RELAZIONALE
galleria 3
a cura di Nicolas Bourriaud
curatore associato Eleonora Farina
Roma, 28 ottobre 2025
La relazione è la più antica delle opere umane. Prima della parola e del segno, prima ancora dell’immagine, è esistito il gesto che unisce: la mano che si tende verso l’altro. L’arte, sin dalle origini, è stata la forma più sofisticata di questa tensione — un dispositivo per creare legami, un linguaggio che si costruisce nella reciprocità dello sguardo.
Ogni affresco, ogni scultura, ogni performance nasce da una necessità relazionale: quella di stabilire un ponte tra chi crea e chi contempla, tra il corpo dell’artista e la coscienza collettiva. Ma se nel passato tale legame era mediato dall’oggetto — la tela, la pietra, il bronzo — la contemporaneità, nella sua febbre comunicativa, ha dissolto i confini tra autore e spettatore, trasformando l’arte stessa in un processo di interazione. La relazione non è più il fine: è la materia stessa dell’opera. È su questo terreno concettuale che si innesta “1+1. L’arte relazionale”, grande retrospettiva che dal 29 ottobre 2025 al 1 marzo 2026 trasforma la Galleria 3 del MAXXI di Roma in un laboratorio di convivenze estetiche. Curata da Nicolas Bourriaud, ideatore dell’ “Estetica Relazionale” (1998), con la collaborazione di Eleonora Farina, la mostra celebra, a trent’anni dalla nascita del movimento, una delle più radicali rivoluzioni del pensiero artistico recente: il passaggio dall’oggetto alla relazione, dall’opera chiusa all’esperienza condivisa. Negli anni Novanta, in un mondo che vedeva dissolversi le certezze ideologiche e moltiplicarsi le connessioni, l’arte riscoprì la sua vocazione sociale. Bourriaud colse per primo il mutamento: la pratica artistica non era più rappresentazione di una realtà esterna, ma costruzione di “interstizi relazionali”, spazi temporanei di scambio e incontro. In un tempo che globalizzava i linguaggi, egli indicò una via opposta: la micro-politica della prossimità, l’estetica del quotidiano, la riscoperta del gesto condiviso come forma di resistenza all’indifferenza. “L’artista contemporaneo — scriveva — si comporta come un programmatore sociale: inventa dispositivi di interazione umana.” Il titolo “1+1” traduce questa visione in una formula essenziale. Due presenze si sommano non per produrre una quantità, ma per generare una relazione, un’entità nuova e transitoria che esiste solo finché dura l’incontro. È la matematica poetica della convivenza, la stessa che il MAXXI accoglie trasformando la sua architettura fluida in un teatro di esperienze. Le opere non si contemplano, si abitano; non si ammirano, si attraversano. Rirkrit Tiravanija invita il pubblico a condividere un pasto, facendo del cibo la sostanza della scultura sociale. Pierre Huyghe crea ecosistemi vivi, dove organismi, immagini e suoni convivono in equilibrio precario. Philippe Parreno orchestra ambienti sensibili, in cui luci e vibrazioni reagiscono alla presenza umana. Dominique Gonzalez-Foerster moltiplica i tempi e i luoghi dell’immaginazione, costruendo spazi per la memoria collettiva. Carsten Höller trasforma il gioco in strumento cognitivo, destabilizzando le percezioni. Vanessa Beecroft dispone i corpi femminili come un coro di presenze rituali, sospese tra disciplina e vulnerabilità. Maurizio Cattelan rivela il lato ironico e tragico della partecipazione, svelando il cortocircuito emotivo che ogni relazione porta con sé. Accanto a loro, la mostra accoglie artisti come Francis Alÿs, Lygia Clark, Félix González-Torres, Douglas Gordon, Monica Bonvicini, Kutluğ Ataman: una costellazione che estende l’estetica relazionale ben oltre il suo nucleo storico, fino a farne una condizione di pensiero. Le loro opere non chiedono di essere possedute, ma vissute; non cercano l’eternità della forma, ma la fragilità dell’esperienza. In questo senso, “1+1” non è una retrospettiva, ma una verifica del presente. Nell’epoca del contatto digitale, la relazione è diventata una merce e un algoritmo; ma l’arte, con la sua lentezza, ne restituisce la sostanza viva, la resistenza corporea. Bourriaud e Farina costruiscono un percorso che non si limita a ricordare il passato, ma interroga il futuro: che cosa significa oggi essere in relazione? La risposta si trova forse nel gesto stesso di chi entra in mostra e si lascia coinvolgere, attraversato da suoni, parole, presenze. Il MAXXI, con la sua architettura mobile di Zaha Hadid, diventa il luogo ideale di questa sperimentazione: corridoi che si aprono come vene, sale che respirano, superfici che riflettono la presenza umana come eco di una comunità in formazione. Tutto dialoga, tutto si muove, tutto si rinnova nel flusso delle interazioni. L’arte torna così alla sua funzione originaria: non produrre oggetti, ma suscitare incontri. Alla fine, nulla resta da portare via, se non la memoria di un istante condiviso — una conversazione, un sorriso, uno sguardo. È la più immateriale delle opere e insieme la più necessaria. “1+1” dimostra che l’arte, quando rinuncia alla pretesa di durata, riconquista la sua potenza etica: quella di ricordarci che l’essere umano esiste solo nella relazione con l’altro. In un tempo che sostituisce il volto con l’icona e la voce con il messaggio, questa mostra restituisce al gesto del convivere la sua dignità estetica, facendoci comprendere che ogni incontro, per quanto effimero, è un atto creativo.