Roma, Museo delle Civiltà
ANIMALI, VEGETALI, ROCCE E MINERALI
Organizzato in collaborazione fra ISPRA-Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale e MUCIV-Museo delle Civiltà di Roma
con il sostegno di ALES-Arte Lavoro e Servizi S.p.A
Roma, 03 ottobre 2025
A Roma si è consumato un gesto che non è soltanto inaugurazione, ma restituzione. Il Museo delle Civiltà ha presentato il nuovo allestimento permanente delle collezioni paleontologiche e lito-mineralogiche dell’ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, in un percorso che si intitola con semplicità disarmante Animali, Vegetali, Rocce e Minerali. Non è un nome inventato per stupire: è la verità pura, diretta, quasi elementare.
Ma proprio in questa semplicità risiede la forza dell’operazione, perché si tratta di rimettere in scena non la totalità del patrimonio, ma solo una parte di esso, quella che il tempo e soprattutto l’incuria dell’uomo hanno risparmiato. Sono state restaurate le vecchie teche, ripulite, rinnovate, adattate a ospitare una selezione delle oltre 150.000 testimonianze, affinché i reperti possano finalmente uscire dalla polvere dei depositi. Dentro le sale, oggi, ricompaiono fossili animali e vegetali, campioni di rocce e minerali, rilievi geologici e strumenti scientifici: frammenti di un patrimonio che un tempo era ben più vasto e che la città ha rischiato di perdere per sempre. Le collezioni ISPRA, in origine, erano l’orgoglio del Servizio Geologico d’Italia e documentavano non solo la scienza della Terra, ma anche l’ideale ottocentesco che attribuiva alla conoscenza geologica un ruolo centrale nello sviluppo della nazione moderna. Il geologo non era una figura marginale, ma un protagonista del progresso, colui che interpretava il paesaggio per trarne risorse, orientare l’industria, domare l’ambiente.
Il nuovo allestimento trova il suo cuore nel Salone delle Scienze, dominato dalla grande tarsia marmorea di Mario Tozzi del 1942, anch’essa restaurata. Non è solo scenografia: è simbolo. In quello spazio, le collezioni diventano il segno tangibile di un pianeta che non è mai fermo, che si stratifica, si rompe, muta. La museologia che qui prende forma non si limita a disporre oggetti: racconta dinamiche, stratificazioni, equilibri fragili. E allo stesso tempo invita a riflettere sulla responsabilità: perché se qualcosa si è perso non è stato colpa soltanto del tempo, ma della disattenzione, delle scelte miopi, di una politica culturale che troppo spesso considera la scienza come sorella minore delle arti. Ed è impossibile non evocare, di fronte a questa rinascita parziale, il fantasma di Palazzo Canevari. L’ex Museo Geologico, elegante edificio liberty vicino a Termini, custodiva queste collezioni prima della chiusura negli anni Novanta. Poi la dispersione, gli scatoloni nei sotterranei, gli anni di abbandono. Il palazzo venne venduto e oggi è vuoto, lasciato al silenzio. Quella parabola è diventata il simbolo di un paradosso: Roma sa venerare i suoi Caravaggio e i suoi Bernini, ma non ha esitato a relegare in deposito la memoria della Terra. È questa la disparità che pesa: i musei d’arte godono di un’aura intoccabile, i musei scientifici devono continuamente giustificare la propria esistenza.
Un dipinto barocco è difeso come reliquia nazionale, un fossile può rimanere invisibile senza che nessuno protesti. Eppure, senza le scienze della Terra, nessuna civiltà avrebbe avuto pigmenti, marmi, metalli, nessun artista avrebbe avuto i materiali per esistere. L’arte consola e incanta, la scienza inquieta e ammonisce: forse per questo la prima è amata, la seconda dimenticata. Ma nel nostro tempo, segnato da crisi ambientali e climatiche, proprio i musei scientifici dovrebbero essere i più necessari, perché ci raccontano non solo chi eravamo, ma quale futuro rischiamo. Il nuovo allestimento del Museo delle Civiltà è dunque più di una mostra: è un atto politico. Significa affermare che la scienza non può restare chiusa negli scatoloni, che anche i reperti mineralogici hanno diritto alla luce, che i fossili non sono oggetti secondari, ma capitoli della storia collettiva. È un gesto che restituisce dignità a ciò che era stato ridotto a deposito e che mette in discussione la gerarchia culturale che da sempre privilegia l’arte sulle scienze. Roma, con le sue stratificazioni, conosce bene i rischi dell’abbandono. È capace di celebrare con clamore un affresco ritrovato e nello stesso tempo di lasciare marcire collezioni di valore scientifico in scantinati dimenticati. Questa riapertura non cancella la ferita di Palazzo Canevari, ma la illumina come un monito. Non basta tagliare il nastro: serviranno programmazione, fondi, attenzione continua.
La scienza non può più essere considerata un parente povero della cultura. Forse la lezione più profonda che possiamo trarre è proprio questa: la cultura non è fatta di compartimenti stagni. L’arte e la scienza sono due facce della stessa medaglia. L’una racconta le forme dello spirito, l’altra la sostanza della materia. E solo tenendole insieme si può davvero raccontare la storia dell’uomo e del mondo che lo ospita. Tra ciò che è andato perduto e ciò che oggi torna alla luce, Roma ha scritto una pagina che merita attenzione. Non è un episodio mondano, ma un gesto di civiltà. Se riusciremo a non lasciarlo isolato, se sapremo costruire da qui una nuova cultura del patrimonio scientifico, allora potremo dire che la città ha imparato la lezione. Perché un fossile vale quanto un Caravaggio, una roccia quanto un Bernini: entrambi ci appartengono, entrambi parlano di noi, entrambi meritano di essere guardati e compresi. Photocredit Giorgio Benni
Roma, Museo delle Civiltà: “Animali, Vegetali, Rocce e Minerali”