Roma, Sala Umberto
“NON SI FA COSI’”
di Audrey Schebat
Regia di Francesco Zecca
Con Lucrezia Lante della Rovere e Arcangelo Iannace
traduzione di Virginia Acqua
produzione Argot Produzioni
in collaborazione con Pierfrancesco Pisani e Isabella Borettini per Infinito
Roma, 16 ottobre 2025
Ci sono spettacoli che nascono da un gesto apparentemente semplice — una conversazione fra due esseri umani che si sono amati — e che tuttavia rivelano, nella loro struttura minuta, l’intera cartografia del nostro tempo. Non si fa così di Audrey Schebat, tradotto e diretto da Francesco Zecca, si muove esattamente su questa linea: il dialogo come campo di battaglia, il sentimento come luogo del disincanto. Sul palco, Lucrezia Lante della Rovere e Arcangelo Iannace incarnano una coppia che si è consumata nel tempo: lui, psicoanalista distratto e ironico, lei, donna intelligente e ferita, sospesa tra rabbia e nostalgia. In un interno borghese appena suggerito — tavolo, lampada, pochi arredi — si consuma una disputa che ricorda, per intensità e ritmo, certi duetti della commedia francese contemporanea, dove la parola è lama e carezza insieme.
La regia di Francesco Zecca punta tutto sull’essenzialità. Nessuna distrazione scenica, nessuna sovrastruttura: l’attenzione è costantemente rivolta alla voce e ai corpi. In alcuni momenti, questa scelta produce una densità quasi cinematografica — i silenzi, gli sguardi, la sospensione prima dell’esplosione — ma altrove si traduce in una staticità che tende a raffreddare l’azione. È come se il testo di Schebat, costruito su ritmi serrati e contrasti emotivi, richiedesse un respiro più ampio, un dinamismo che la messinscena, pur elegante, non sempre concede. Il punto di forza assoluto resta la coppia d’attori. Lucrezia Lante della Rovere domina la scena con il carisma e la precisione di chi conosce perfettamente i tempi del teatro psicologico. La sua recitazione è una lezione di misura: ironica, nervosa, talvolta ferina, ma sempre credibile. Riesce a dare al personaggio quella vibrazione interiore che il testo lascia solo intuire, trasformando il sarcasmo in dolore trattenuto. La voce, pur non sempre proiettata con uniformità, conserva una qualità intima e psicologica che privilegia la verità emotiva alla potenza declamatoria, trasformando ogni imperfezione in una forma di presenza scenica autentica.
Arcangelo Iannace, al suo fianco, è il contrappunto ideale: meno sfumato ma più diretto, costruisce un uomo disarmato e cinico, spesso costretto a difendersi dietro battute che nascondono fragilità. Quando i due attori trovano la stessa frequenza emotiva — come nella scena centrale, in cui la discussione scivola nell’evocazione dei ricordi — lo spettacolo raggiunge la sua vetta più autentica: quella in cui la commedia si fa dramma e viceversa. Non tutto però funziona. Il testo di Schebat, per quanto ben tradotto, tende a ripetere certi meccanismi drammaturgici fino all’usura. Alcuni scambi sembrano girare su se stessi, con variazioni minime che appesantiscono la progressione emotiva. Lo spettatore finisce per intuire troppo presto la traiettoria dei personaggi, e la sorpresa — elemento vitale per una pièce costruita sul duello verbale — si attenua. A tratti, il dialogo scivola in una psicologia di superficie, dove le ferite restano raccontate, più che vissute. La regia tenta di supplire con ritmo e nitore visivo: i movimenti calibrati, l’uso della luce calda che si spegne lentamente, l’intelligente alternanza fra vicinanza e distanza fisica fra i due interpreti.
Ma la struttura, priva di un vero crescendo, non sempre regge il peso delle ottime interpretazioni. Si resta con l’impressione di uno spettacolo elegante, ben costruito, ma che non affonda davvero il coltello nelle contraddizioni che evoca. Ciononostante, Non si fa così conserva una sua onestà poetica. Parla di uomini e donne che si amano male, che non riescono più a dire la verità se non attraverso il rimprovero. E in questa incapacità condivisa, Zecca e i suoi interpreti trovano un linguaggio misurato, sobrio, talvolta spietato. È uno spettacolo che non urla, ma resta addosso, come un dialogo interrotto che continua nella mente dello spettatore. Il pubblico romano, al termine, ha reagito con calore sincero: lunghi applausi per una prova attoriale di buon livello che meriterebbe forse un testo più rischioso, meno compiacente. Ma nel panorama teatrale italiano, dove spesso la parola è mero veicolo di trama, Non si fa così ricorda che il teatro può ancora essere l’arte del dire — e del non dire — ciò che ci ferisce.
Roma, Sala Umberto: “Non si fa così”