PRIMA FACIE
di Suzie Miller
con Melissa Vettore
traduttrice Margherita Mauro
costumi Giovanna Buzzi
musiche Maria Bonzanigo
assistente alla regia Ilaria Cangialosi
scenografie e accessori Matteo Verlicchi
video designer Roberto Vitalini – bashiba.com
regia e disegno luci di Daniele Finzi Pasca
produzione Compagnia Finzi Pasca
produzione esecutiva Patrizia Capellari
produttore Antonio Vergamini
direttore tecnico e assistente light designer Pietro Maspero
coordinamento comunicazione, foto di scena Viviana Cangialosi
comunicazione Federica Zampatti
produzione Gea Pavan, Francesca Comin, Marc-André Goyer
Questa produzione è stata autorizzata per gentile concessione di The Agency(London) Ltd 24 Pottery Lane, London W11 4LZ
Roma, 01 ottobre 2025
La stagione del Teatro Sala Umberto di Roma si apre con uno spettacolo dalla forza straordinaria. Prima Facie è un’opera attuale, contemporanea, coinvolgente. Daniele Finzi Pasca costruisce un teatro multilivello attorno al testo tagliente di Suzie Miller, mettendo a nudo la legge, il corpo femminile, la violenza e quella disperata, ma potentissima, ricerca di giustizia.
Sul palco, Melissa Vettore si fonde con la parola in un’interpretazione intensa e sfaccettata. Il ritmo incalzante, scandito da continui cambi di tono e scena, tiene lo spettatore con mente e corpo immersi dall’inizio alla fine. È Tessa, brillante avvocata penalista, abituata a difendere uomini accusati di violenza sessuale… finché la violenza non bussa anche alla sua porta. Da difensore diventa vittima, costretta a confrontarsi con l’impotenza di un sistema giudiziario cieco. Vettore attraversa questo ribaltamento con forza e vulnerabilità, dando vita anche a colleghi, giudici, familiari, con una recitazione sempre credibile e umanissima. La regia, misurata e mai invadente, crea un mondo simbolico dove ogni luce e ombra racconta una storia, costruendo un’atmosfera che cattura lo sguardo e non lo lascia più andare. Sempre in scena, una figura oscura, muta, dal volto coperto. Una presenza silenziosa che incarna una giustizia cieca e una società complice.
Un potere anonimo che osserva, controlla e manipola, senza mai esporsi, tirando i fili della vita di Tessa. La scena dello stupro è un pugno allo stomaco. Tessa, vestita di rosso, un rosso che non è solo colore ma grido, passione, ferita, viene sospesa su una struttura metallica rotante, manovrata dalla figura nera. Il corpo si torce, si tende, si spezza. La voce diventa fragile, quasi un respiro interrotto. Nessuna esplicitazione: eppure, la violenza si sente tutta. È una scena che travolge i sensi e inchioda lo spettatore a un trauma vivo, corporeo, simbolico. Il rosso ritorna durante lo spettacolo, una stola, un dettaglio, un cambio d’abito. È sangue, è rabbia, ma anche resistenza. Un filo rosso che cuce ogni passaggio del percorso di Tessa. I lampadari che scendono dall’alto diventano fari sulla verità. Ma quando iniziano a muoversi in modo confuso, sembrano riflettere la fatica di ricordare e raccontare, soprattutto dopo uno stupro. Una metafora amara.
I video aggiungono profondità oniriche alla scena, senza mai sovraccaricare. Le musiche di Maria Bonzanigo seguono il respiro del monologo con delicatezza e intensità. Tutto è al servizio del racconto. Il simbolismo dei fogli di carta che cadono dall’alto è potente: una rappresentazione della legge e delle crepe di un sistema fragile. Pagine al vento che raccontano la distanza tra giustizia e verità vissuta. E poi, nel finale, il colpo al cuore: quei fogli lasciano spazio a decine di scarpette rosse. Tante. Troppe. Un’immagine straziante. Sono le vittime. Le bambine. Le donne. Non più numeri. Corpi. Storie. Memoria. In un’epoca in cui la giustizia spesso arriva tardi, o non arriva affatto, Prima Facie non offre soluzioni, ma ci mette davanti a domande scomode. Ti guarda negli occhi e ti chiede: ascolta. Tessa è una moderna Antigone, che sfida una legge sorda e cieca, ancora incapace di accogliere la verità delle donne. Uno spettacolo da vedere, discutere, portare con sé. Perché ogni Tessa, sul palco o nella vita reale, non resti più sola. Alla fine, un applauso lungo, liberatorio, commosso. Melissa Vettore lascia la scena con le lacrime agli occhi. E la sala, turbata e riconoscente, gliele restituisce tutte. Photo Credit Ale Catan