Roma, Villa Medici
LUOGHI SACRI CONDIVISI. Viaggio tra le religioni
a cura di Dionigi Albera, Raphaël Bories e Manoël Pénicaud
ideata e prodotta dall’ Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, dal MuCEM – Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée e dall’ Ambasciata di Francia presso la Santa Sede – i Pii Stabilimenti Francesi a Roma e a Loreto
Roma, 08 ottobre 2025
Il sacro nasce dove l’uomo si ferma, tace e riconosce un limite. È il confine che separa e insieme collega la terra e il cielo, l’umano e il divino. “Il sacro non è un luogo, ma una qualità della presenza”, scriveva Mircea Eliade, ricordando che ciò che chiamiamo sacro non appartiene alle cose, ma allo sguardo che le investe. È lo sguardo che trasfigura, che distingue, che fa del mondo un tempio. Ma se il sacro separa, la condivisione riunisce. E nel gesto di condividere — cum-dividere, spartire insieme — si nasconde forse il più profondo atto di fede dell’umanità: quello di credere che ciò che è divino possa essere esperito da tutti.
È in questa dialettica che si inscrive la mostra Luoghi Sacri Condivisi, allestita all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici dal 9 ottobre 2025 al 19 gennaio 2026, nel quadro del Giubileo. Un titolo che è già una sfida: due parole che si respingono si trovano qui a convivere, come due note dissonanti che, suonate insieme, generano una nuova armonia. L’esposizione, curata da Dionigi Albera, Raphaël Bories e Manoël Pénicaud, è ideata e prodotta dall’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, dal MuCEM – Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée e dall’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede – i Pii Stabilimenti Francesi a Roma e a Loreto. Per la prima volta, i Musei Vaticani, i principali musei francesi e le istituzioni italiane si uniscono in un unico progetto: un evento che, ancor prima di essere artistico, è politico nel senso più alto del termine, cioè comunitario. Villa Medici, con la sua doppia anima – francese per nascita, romana per destino – si presta naturalmente a questo esperimento di incontro. L’allestimento non impone percorsi obbligati ma suggerisce movimenti, respiri, sguardi. Le opere, oltre cento, si dispongono come tappe di un pellegrinaggio mentale, attraversando sette “paesaggi del sacro”: la città, il mare, il giardino, la montagna, la grotta, gli oggetti erranti e le architetture.
È un viaggio non solo estetico ma spirituale, che spinge il visitatore a una lenta discesa dentro se stesso, come in una topografia dell’anima. E in questo pellegrinaggio, il Mediterraneo non è più una geografia ma una condizione dello spirito. È il mare che bagna le fedi, le confonde e le fa respirare insieme. È il luogo dove San Giorgio diventa Al-Khidr, dove la Vergine è venerata da cristiani e musulmani, dove il pellegrinaggio è sempre una traversata e la preghiera ha sempre il suono del vento. Qui il sacro si mescola, non per confondersi ma per ricordarci che il divino non ha passaporto. Lungo le sale della Villa, il tempo sembra sospendersi. Le opere di Gentile da Fabriano, Chagall e Le Corbusier dialogano con i linguaggi contemporanei di Dana Awartani, Rachid Koraïchi e Benji Boyadgian. Non c’è successione, ma simultaneità: le epoche convivono, come convivono le fedi. Le icone si fanno specchi, le architetture si dissolvono in luce, i simboli si contaminano come in un respiro collettivo. La mostra non cerca un racconto ma un’esperienza. Non dice cosa sia il sacro, ma ne evoca la presenza. E allora si comprende che il sacro, per esistere, ha bisogno di essere condiviso. Non come atto di appropriazione, ma come gesto di comunione.
È la donna che accende una candela in un santuario che non le appartiene, l’uomo che si inginocchia davanti a una tomba venerata da un’altra fede, il pellegrino che attraversa un confine per chiedere una grazia. È l’arte stessa, che da sempre vive di prestiti, di contaminazioni, di traduzioni. Il sacro condiviso è una forma di resistenza alla chiusura: è la memoria dell’altro che sopravvive in noi. Dionigi Albera e i suoi co-curatori costruiscono un dispositivo che si colloca tra l’antropologia e la poesia visiva. Nulla è illustrativo, nulla è didascalico. La mostra procede per analogie, come un racconto che si srotola in una lingua senza grammatica. È il linguaggio del simbolo, che non spiega ma rivela. In questo senso, Luoghi Sacri Condivisi si colloca nel solco delle grandi mostre “pensanti”, quelle che non offrono risposte ma generano domande. L’arte, in questa prospettiva, torna a essere ciò che era all’origine: un ponte fra visibile e invisibile, fra uomo e mistero.
E Villa Medici, con la sua architettura rinascimentale e la sua vocazione alla mediazione, diventa il luogo ideale per ospitare questa riflessione. Sul piano teorico, il progetto si iscrive nel concetto di hierotopia – la creazione dello spazio sacro come atto estetico e spirituale – ma lo estende verso una dimensione relazionale. Qui il sacro non è più il risultato di un solo gesto creativo, ma la somma di gesti che si incontrano. È una hierotopia plurale, dove la convivenza non è compromesso ma nuova forma di trascendenza. In un’epoca segnata da chiusure identitarie, questa mostra propone un’idea rivoluzionaria nella sua semplicità: che la fede, per essere viva, deve aprirsi. Che il sacro, per restare tale, deve essere attraversato. E che forse l’unico modo di salvarlo è quello di offrirlo. È una lezione antica, eppure urgente: il sacro non teme la condivisione, la richiede. Perché, in fondo, il sacro è ciò che accade quando l’uomo riconosce nel volto dell’altro una traccia del divino. È un’esperienza di rivelazione reciproca, un istante di comunione che l’arte può ancora restituire. In questo senso, Luoghi Sacri Condivisi non è solo un’esposizione, ma un atto di riconciliazione estetica. È la dimostrazione che l’arte può ancora essere uno spazio di incontro fra civiltà, un terreno dove il mistero si fa comune. E che Roma, città di soglie e di eredità, resta il luogo più adatto per ricordarci che il sacro, per continuare a esistere, deve continuamente tornare fra gli uomini.
Roma, Villa Medici: “Luoghi Sacri Condivisi. Viaggio tra le religioni”