Torino: “Abissi” ha inaugurato la stagione de i Concerti 2025/2026 del Teatro Regio

Torino, I Concerti del Teatro Regio 2025-2026.
“ABISSI”
Orchestra, Coro e Voci bianche del Teatro Regio Torino
Direttore Andrea Battistoni
Maestri dei Cori Ulisse Trabacchin, Claudio Fenoglio
Basso
Erwin Schrott
Pëtr Il’ič Čajkovskij: “Francesca da Rimini”, Fantasia sinfonica in mi minore dal Canto V dell’Inferno di Dante op.32. Johannes Brahms: “Das Schiksalslied” (Canto del destino) per coro e orchestra op.54;  Arrigo Boito: Prologo in cielo dall’opera Mefistofele.
Torino, 18 ottobre 2025.
Concerto inaugurale della nuova stagione di Concerti 2025-26 del Teatro Regio che, in otto date, con cadenza approssimativamente mensile, vedrà protagoniste sul palco, in modo paritario, sia l’Orchestra del Teatro Regio che la Filarmonica TRT. Per iniziare con il titolo, invero non proprio benaugurante di Abissi, il maestro Andrea Battistoni, Direttore Musicale del teatro, con l’Orchestra e i due Cori della casa, propone tre titoli che oltre ad appartenere agli ultimi anni dell’800 possono venir collegati, con qualche azzardo, alla contrapposizione Paradiso-Inferno. Con la Francesca da Rimini di Čajkovskij, come in Dante, ci si avvia svolazzando Quali colombe, dal desio chiamate in cieli che parrebbero limpidi. Ci si immerge poi nel mondo più agitato delle passioni che suscitano gli appassionati abbracci di Lancillotto (Galeotto secondo D’Annunzio) e Ginevra. La tragedia si compie e si ritorna alla quieta serenità dell’inizio. Prevale, su una musica genialmente anonima, la suggestione letteraria. Il pezzo non si colloca comunque tra le iperboree vette raggiunte dall’autore in altre circostanze. L’Orchestra del Regio suona al meglio e Battistoni ne approfitta trincerandosi in una piacevole genericità del porgere, evitando così, con sagacia, avventurosi azzardi. Meno di mezz’ora e il pubblico, assai abbondante, conserva le riserve di entusiasmo che lo fanno, a chiusura del pezzo, applaudire.
Segue lo Schiksalslied (Canto del destino) che Brahms musica su un testo poetico del romantico Friedrich Hölderlin. Nella prima parte, i “Geni beati” vivono una serena eternità che nessun Destino può turbare o minacciare; nella seconda, gli umani si dibattono e sprofondano, come in una cascata d’acqua, nell’Abisso anteposto come titolo della serata. La composizione è un vertice della produzione di Brahms. Tutta introspettiva e, per certi versi, assolutamente intimistica, da lied cameristico. All’orchestra e al coro si richiede una traslucida perfezione, quasi da canopo di opalescente trasparenza. Il pezzo, benché riceva anch’esso gli inevitabili applausi, delude le aspettative. Contrasti troppo netti, trame non sempre calibrate e immacolate, coro sostanzialmente diseguale nel pianissimo e per lo più scomposto nel forte. Non dubitiamo né della sagacia né della qualità, sempre ampiamente dimostrate, del lavoro di Ulisse Trabacchin ma questo Brahms si conferma troppo arduo per la tradizione e le consuetudini dei complessi corali italiani che, di prevalenza, si dedicano all’Opera.
Il Prologo del Mefistofele di Boito trova quindi le compagini corali ed orchestrali del Regio ben attrezzate allo scopo. La scrittura musicale di Boito per i cori ne giustifica l’irrobustimento dinamico che rende il tutto molto più agevole e congruente, rispetto alle “ristrettezze” imposte da Brahms. Siamo sulla linea sonora che dal Dies Irae di Verdi porterà all’Inno al Sole di Mascagni. Tutto ben metabolizzato ed espresso dai due gruppi del teatro: le voci bianche e le mature, sotto il rispettivo abile governo di Claudio Fenoglio e ancora di Ulisse Trabacchin. L’orchestra che, da alcune settimana è alle prese con lo Zandonai della Francesca da Rimini, risulta ben immersa nella magniloquenza del clima tardo ottocentesco, caratterizzante anche il pezzo di Boito. Battistoni poi si libra alto su un terreno che pare essergli del tutto congeniale. Il gesto instancabile è sempre enfaticamente eloquente. Le braccia, distese a forza verso il cielo ricadono poi, quasi con violenza, a spronare le masse sonore al vigore dell’emissione e ad affascinare gran parte del pubblico. Di contro, portano a una narrazione spezzettata e quindi a un fraseggiare per giustapposizioni di episodi, penalizzando così un periodare in continuità di racconto. Interviene, salito dagli inferi beffardo e sacrilego, ma non troppo, come Mefistofele il basso Erwin Schrott. Il cantante uruguaiano, mai stato un basso profondo, mantiene il bellissimo timbro vellutato che lo ha da sempre caratterizzato e che, con l’alleggerito peso vocale, lo potrebbe più opportunamente far accasare tra i baritoni. L’intelligenza e il gran mestiere, maturato in tanti anni di carriera, lo assicura, se non vittorioso, indenne da macchie nel proporre la gravosa pagina “Ave Signor…”. A chiusura della serata, il successo è stato travolgente per tutti. Pubblico non in delirio, ma ci è mancato poco. Visto il risultato, si può, a seconda dei gusti, auspicare o temere che Mefistofele entri nel cartellone di una qualche prossima stagione del teatro. Verrebbe così confermata la linea programmatica, perseguita dalla neo Direzione Musicale del Regio, il Maestro Andrea Battistoni, che prevede nella frequentazione della periferica produzione d’opera italiana, Ottocento spirante – Novecento in fasce, un’era felice di rifioritura del teatro. Foto Mattia Gaido