Torino, Auditorium Toscanini. Kyrill Petrenko & Orchestra Nazionale della RAI

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Stagione sinfonica 2025-26.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Kirill Petrenko
Leoš Janáček: Lachische Tänze (Danze Lachiane); Béla Bartók:  “Il mandarino meraviglioso”, Suite da concerto, BB 82°, SZ 73b; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n.2 in re Maggiore op.36
Torino, 15 ottobre 2025.
Il secondo concerto della stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI viene illustrato dall’attesissimo ritorno, sul podio di via Rossini, di Kirill Petrenko. Il maestro austro-siberiano subentrato, nel maggio del 2002, dopo l’improvvisa morte di Sinopoli, nella direzione del Rosenkavalier, programmato allora dalla RAI in esecuzione all’Auditorio del Lingotto. Da quella prima apparizione torinese, Petrenko ha mantenuto un legame costante con l’Orchestra RAI e, con l’odierno, sono ben otto i concerti che l’han visto protagonista. Da ricordare quelli del maggio 2013, due serate dedicate a una ampia sezione del wagneriano Crepuscolo, proprio a due mesi del suo debutto a Bayreuth, col ciclo del Ring. Quasi un test per saggiare le reazioni del pubblico di sala e radiofonico al suo approccio al capolavoro wagneriano. Il programma di quest’anno, nettamente diviso in due parti contrastanti e poco accostabili, presenta all’avvio due ruvide opere rispettivamente di Janáček e di Bartok; a seguire una “classicissima” sinfonia di Beethoven.
Sono sei le Danze Lachiane (denominazione derivata dai distretti moravi della Lacchia e della Valacchia) che il Moravo Janáček ha, con gran dovizia strumentale, orchestrato. Musiche che, a noi latini, suonano inusuali, carenti come sono di afflati melodici e fortemente caratterizzate da ritmi e accostamenti armonici inconsueti. Petrenko ne accentua sia la ricchezza timbrica che le bizzarrie agogiche. Opera non capitale che, nell’economia della serata, ci pare un ardimentoso esercizio preparatorio a quanto l’orchestra dovrà affrontare nel successivo Mandarino di Bartok. Languore, eccitazione, ma soprattutto colore e ritmo è quanto Petrenko magnificamente ricava da un’orchestra che sta godendo, come anche dimostrato nel concerto mahleriano della passata settimana, di un assoluto buono stato di forma. Vivaci danze che si immagina accompagnino giovani coppie nel ruotare e nel saltellare su verdeggianti aie in fiore. La piacevolezza dell’ascolto suscita l’immediato entusiasmo dei presenti.
Segue di Bartok la Suite da concerto del Mandarino Meraviglioso ovvero Miracoloso e forse, più realisticamente, Misterioso. L’opera originale è una pantomima danzata che mette in scena una nerissima vicenda di malavita urbana e di sfruttamento di prostituzione minorile. Bartok la concepì nel 1918, in un tempo che per un suddito austro-ungarico, quale lui era, significava la sconfitta bellica e i ricordi di un vissuto per cui nulla di peggio si potesse concepire. Nel mondo musicale contemporaneo poi riecheggiavano ancora le urla degli espressionisti di inizio secolo, i cromatismi insistiti del decadentismo e l’attuale spaesamento dato della riorganizzazione armonica di Schoenberg. Si scontava anche il ricordo degli ardimentosi balletti fauve di Stravinskij, con annessi scompigli e risse. La trama del Mandarino rientrava quindi in quel clima di disagio e di musica gravida di turbamenti. La storia: tre malviventi costringono, per far soldi, una ragazzina ad esibirsi in vetrina ad adescare clienti. Dopo due episodi iniziali non andati a buon fine, perché l’approccio è con squattrinati, si affaccia al localaccio, un Mandarino, evidentemente cinese, che la ragazza la vuole a tutti i costi. Lei ne sente ribrezzo e lo scaccia. I tre loschi figuri cercano quindi di ottenere col coltello quanto col sesso è fallito; feriscono a morte il malcapitato per rapinarlo. Questi però non spira finché la ragazza non gli s’è data. Un racconto difficile da intendere dalla sola musica senza il contributo di mimica e scena. Si intuisce la violenza, ma pure, da valzer stralunati, le seduzioni, i fallimenti e le passioni. Che tutto finisca male è intuitivamente assodato. Il contributo di tutta l’OSN RAI e dei suoi solisti al clarinetto, all’oboe e al fagotto è essenziale a che la spettacolare valentia di Petrenko si manifesti completa. Un’oggettiva atmosfera nero pece, di quelle che, per la paura, non ti fanno uscire di notte. I presenti ne sono incantati e applaudono senza risparmiarsi.
La Seconda sinfonia di Beethoven, che è l’opera posta a completamento del programma di serata, mostra una classica serenità nervosa. Illustra quella fase della creatività del genio di Bonn che segna il graduale passaggio dal classicismo al più romantico eroismo. Dalla fase post Haydn – Salieri agli influssi di Cherubini e all’affermarsi di una propria autentica personalità. Sono i primissimi anni dell’800 ma alle spalle ci sono già sei quartetti, la Patetica e la Pastorale per pianoforte, il concerto per pianoforte n.3 sta per arrivare come pure Napoleone e la speranza di libertà per molti europei, compreso il musicista. Petrenko affronta la sinfonia, difformemente dalla moda attuale, con un organico orchestrale al completo e non adotta particolari atteggiamenti revisionistici e di ritorno alla prassi originaria. Il suo approccio è concreto ed immediato. Gestualità efficace e coinvolgente, senza mostra di compiacimento e di autocelebrazione; se ne riscontra subito l’effetto su un approccio sonoro deciso e sicuro. Dai racconti degli orchestrali, che Petrenko possono vederlo in volto, si deduce quanto anche la sua mimica facciale sia di chiarissima comunicativa. La partitura è affrontata di petto, senza remore e impacci. Le linee portanti, sempre identificate di netto, si possono delineare e intrecciare con sicurezza senza intralci. Impressionante è come i bassi, in specie violoncelli, contrabbassi e fagotti, suonino sonori e ben distinguibili nel tessuto complessivo. Puntati prolungati che nettamente son di contrappunto alle linee superiori. Il tempo adottato è quello classico, già di altri grandi interpreti, che porta l’esecuzione, con grande equilibrio tra i movimenti, a circa 29 minuti totali. Esaltanti le variazioni dinamiche che tradiscono una così salda interiorizzata dello spartito da non cedere a momentanee lusinghe. Si coglie con evidenza lampante la straordinaria tecnica direttoriale che dà sicurezza ed eleva le prestazioni dell’orchestra a livello inusitato. Non si può non rimanere colpiti dall’entusiasmo finale sia degli orchestrali che del pubblico. Foto Chris Christodoulou