Torino Auditorium Giovanni Agnelli. I concerti del Lingotto 2025-2026
Die Deutsche Kammerphilharmonie Bremen
Direttore Riccardo Minasi
Pianoforte Beatrice Rana
Carl Maria von Weber: Ouverture da Der Freischütz; Ludwig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra n.3 in do minore op.37; Johannes Brahms: Sinfonia n.4 in mi minore op.98.
Torino, 2 ottobre 2025.
Cassati, da una manciata di giorni, i fasti di MITO 2025, nel grande Auditorio Giovanni Agnelli ha preso avvio la nuova stagione di Lingottomusica. La locandina del primo concerto poteva suscitare il dubbio di essere costretti a una serata di ordinaria routine: capolavori sì, ma sempre quelli; interpreti per cui srotolare un red carpet parrebbe azzardo avventato; formazione orchestrale tedesca, non ascrivibile al gotha del settore.
Ma, fin dalle prime note dell’Ouverture del Freischütz, quando due calibratissimi crescendo che dal nulla coinvolgono, con dosaggio millimetrico, l’intera orchestra, ci si avvede che è giocoforza abbandonare prevenzioni e pregiudizi e tenersi invece in allerta per quanto seguirà. La Deutsche Philharmonie di Dresda, compagine ospite della serata, è forte di 50 elementi: 30 archi, 19 tra fiati, legni, ottoni e un timpano. Viole celli e contrabbassi, quasi la metà della forza degli archi, uniti ai quattro corni e ai fagotti, contribuiscono alla tinta umbratile che evidenzia meravigliosamente la brillantezza delle linee acute. A queste ultime Riccardo Minasi affida la chiara intellegibilità delle strutture formali. Non c’è luogo né per noia, né per routine e neppure per le
recriminazioni del già troppo sentito. Il direttore è sempre inesorabilmente vigile e presente; mai accompagnatore dell’orchestra di cui costantemente, col gesto risoluto, anticipa il suono. Si suole commentare come i grandi direttori, con le mani e con il corpo, anticipino di frazioni di secondo i suoni che seguiranno. Con Minasi tutto ciò è comprovato e concreto. La quadratura dell’Ouverture weberiana è inappuntabile e introduce prepotentemente, quasi uno squillo d’avvio, al Romanticismo musicale che sta alle porte. Un’esecuzione esaltante: da antologia. Per i concerti, con solista all’arco o alla
tastiera, si è portati ad apprezzare i direttori che, frenando le intemperanze orchestrali, non ostacolano l’individualità del solista. Minasi sul podio e la Signora Beatrice Rana alla tastiera, non si trattengono; come in una sorprendente congiunzione degli opposti, due forti e distinte personalità riescono, pur mantenendo le rispettive visioni, ad ottenere uno splendido risultato comune. È uno sfolgorante e inaudito Terzo concerto di Beethoven in cui la flessibile e morbida linea femminile, ça va sans dire, della Rana si allaccia alla sonoramente scabra precisione di Minasi. Romeo e Giulietta che si corteggiano, nel focoso e giovanile primo movimento. È poi, nel largo, una Penelope amorosa ed accorata che, in notti sospirose, fa e disfa un interminabile ricamo, intricato di mille fili e sfumato di infiniti colori. Un capolavoro delle dita, dei tasti e del pedale di Beatrice Rana. Nel travolgente Rondò finale, come sempre in Beethoven: il lieto fine liberatorio. L’orchestra prende il sopravvento e il
timpano, strumento che Minasi deve molto amare, ne scandisce ritmi e fraseggi che rinchiudono aree riservate per il pianoforte che realizza mirabilmente i “dolce” che si ripetono, in partitura, sotto il suo rigo. Ad una esecuzione di rara bellezza, segue l’entusiasmo del vastissimo pubblico di questa inaugurazione di stagione. Gran successo e, fortunatamente, un bis del pianoforte. La pianista non l’annuncia e in molti si stenta a riconoscere l’Intermezzo dallo Schiaccianoci di Čaikovskij nella trascrizione pianistica di Michail Pletnëv. Beatrice Rana dà al pezzo tutta l’affettuosità tipica dell’autore e nasconde il suo grande virtuosismo in un appassionante legato cantabile: da urlo! A chiudere il programma ufficiale: la gigantesca Sinfonia n.4 di Brahms. Il Freischütz, con i suoi demoni della Gola del Lupo, nel 1821, aveva acceso le scintille Romantiche che, per circa 80 anni infiammeranno, tra peccati e redenzioni, la musica tedesca, fino a consumarsi, dopo i roghi Wagneriani, nelle urla ferine di Elettra e nell’ allucinato
onanismo bruckneriano. Brahms, per quanto poté se ne tenne lontano. Ammirava Beethoven, e ambiva a raccoglierne l’eredità. Tornò quindi, con convinzione, a rivolgersi al passato e alle strutture formali “classiche”. Minasi ci mostra di avere, per vocazione e per prassi, uguale intenzione. Nel suo curriculum ci sono, tra gli altri incarichi: la Scintilla di Zurigo, l’ensemble il Pomo D’oro, e il Mozarteum di Salisburgo con cui praticò principalmente l’approfondimento della musica di fine 700 e del primo 800. Strumenti originali o suonati come se lo fossero. Chiarezza delle linee costruttive e dei loro rapporti reciproci. Cura, quasi maniacale, delle sonorità storiche che, oltre a minimizzare il vibrato, evitano gli impasti strumentali confusi e i turgori timbrici. In questa Quarta di Brahms l’intera dinamica sonora viene comunque coperta, dal pianissimo al fortissimo, questi ultimi per quanto lo consente un’orchestra contenuta nel numero degli elementi. Gli archi scuri e i corni permettono di mantenere sempre il colore crepuscolare di fondo, da cui emergono, con brillantezza inusitata, le voci degli strumentini e dei violini. I 4 timpani, isolati in evidenza, quasi al proscenio, ritmano il procedere del percorso e ne mettono in risalto i “focus”. I tempi sono quelli tradizionali delle esecuzioni storiche dei Walter e dei
Kleiber, ma il contenuto ne risulta del tutto “nuovo”. Quando Schoenberg indicava in Brahms il musicista del futuro, forse si riferiva anche ad esecuzioni come quelle alla Minasi che eludono le viscide paludi inclinate che scivolano nel decadentismo. L’esecuzione ha avuto successo, il virtuosismo e la disciplina degli orchestrali di Brema non avrebbero potuto non averne, allo stesso tempo ha anche disorientato parte della platea: tanto era personale e inconsueta. Ai reiterati applausi finali al suo indirizzo e all’orchestra, Minasi replica annunciando, visto che si era in Italia, L’Ouverture in stile italiano D.591, omaggio a Rossini, di Franz Schubert. Nel corso del pezzo, sconosciuto ai più, a qualcuno del pubblico è (forse) sfuggito un applauso inopportuno, Minasi ha colto l’occasione per esibirsi in una gag da attore consumato: con gesto esplicito disapprova, minaccia e invita, nell’ilarità della platea, il provvidenziale incauto ad uscire di sala. Risate e applausi suggellano la splendida serata. Foto Mattia Gaido
Torino, Lingotto Musica 2025/26: Beatrice Rana, Riccardo Minasi con la Deutsche Kammerphilharmonie Bremen