Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e balletto 2025/26
“FRANCESCA DA RIMINI”
Tragedia di quattro atti su testo di Gabriele D’Annunzio ridotto da Tito Ricordi
Musica di Riccardo Zandonai
Francesca BARNO ISMATULLAEVA
Paolo ROBERTO ALAGNA
Gianciotto GEORGE GAGNIDZE
Samaritana VALENTINA BOI
Ostansio DEVID CECCONI
Malatestino MATTEO MEZZARO
Biancofiore VALENTINA MASTRANGELO
Garsenda ALBINA TONKIKH
Altichiara MARTINA MYSKOHLID
Donella SOFIA KOBERIDZE
La schiava Smaragdi SILVIA BELTRAMI
Ser Toldo Berandengo ENZO PERONI
Il giullare JANUSZ NOSEK
Il balestriere DANIEL UMBELINO
Il torrigiano EDUARDO MARTINEZ
Un prigioniero BEKIR SERBEST
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Luci Marco Alba
Coreografia Marta Negrini
Torino, 12 ottobre 2025
L’apertura della stagione 2025/26 è un momento importante per il Regio, l’occasione per celebrare una ritrovata serenità e per mettersi alle spalle anni molto problematici. Per l’occasione si è scelto di portare in scena “Francesca da Rimini” opera storicamente legata a Torino – dove nacque nel 1914 – ma assente sul palcoscenico del Regio dal lontano 1991. Andrea Battistoni alla sua prima da direttore musicale mostra tutto l’impegno per l’importante occasione. La sua è una concertazione accurata, dove nulla è stato lasciato al caso. La cura di tutti gli
elementi, la perfetta fusone di tutte le parti – magnifiche le prestazioni dell’orchestra e ancor più del coro autore di una prova da manuale – sono il segno dell’attenzione che ha caratterizzato ogni dettaglio. Già apprezzato in “Andrea Chenier” Battistoni conferma la sua sintonia con l’opera italiana del primo Novecento proponendo una lettura ricca e accurata capace di rendere pienamente le atmosfere estetizzanti di D’Annunzio ma di trovare la sua cifra più autentica nel brutale realismo della battaglia e del I quadro del IV atto resi con sonorità aspre e taglienti, di sapore quasi espressionista. La scelta del cast mostra la volontà di mettere insieme la miglior compagnia possibile. Rivelatasi Torino come Butterfly il soprano uzbeko Barno Ismatullaeva domina con soggiogante semplicità l’impegnativa parte di Francesca. Manca – è vero – un po’ di personalità interpretativa tanto negli scioglimenti erotico tanto nel preziosismo decadente che avvolge la parte ma la voce è molto bella, ricchissima di armonici, senza una smagliatura in tutta la gamma e capace di superare con naturale semplicità i turgori orchestrali. Inoltre l’interpretazione più borghese del ruolo si adatta apertamente allo spettacolo.
Roberto Alagna, su cui si poteva avere qualche timore, è invece apparso in una forma smagliante. La parte di Paolo gli s’addice come un guanto. Alagna ha la
robustezza, la pienezza vocale e la facilità di squillo richiesta ma anche una voce chiara e luminosa che esalta l’abbandono araldico dei duetti con Francesca. Scenicamente ha una personalità che oggi teme pochi confronti cui si uniscono la chiarezza della dizione e la sensibilità del fraseggio. In un ruolo particolarmente congeniale e in una produzione in cui si è perfettamente inserito Alagna ha fornito una prestazione all’altezza del suo nome e superiore alle più rosee attese. George Gagnidze ha una voce ricca e imponente ma come cantante manca di eleganza e l’emissione soffre di una certa durezza. Gianciotto però non viene troppo penalizzato da questo è Gagnidze ne rende la brutale possanza risultando assai efficace sul piano drammatico. Di fronte a questo Gianciotto quasi animalesco nella sua essenzialità si lega il fraseggio mercuriale e la ricchezza di accenti del Malatestino di Matteo Mezzaro che non solo canta molto bene e con voce facile e
sicura ma impregna ogni accento di veleno e ipocrisia, creando un personaggio particolarmente inquietante nel suo sadico raziocinio.La parti di fianco sono autentico lusso. Devid Cecconi – già Rigoletto nella scorsa stagione – da ad Ostansio un’autorità raramente ascoltata. Valentina Boi è una Samaritana dal timbro caldo e carezzevole e Silvia Beltrami una Smaragdi dal timbro fondo e capace di imporsi per accento e fraseggio. Delizioso il quartetto delle ragazze dominato dall’incantevole Biancofiore di Valentina Mastrangelo e completa da Sofia Koberidze (Donella) e da due giovani promesse del Regio Ensamble Albina Tonkikh (Garsenda) e Martina Myskohlid (Altichiara) e perfettamente centrati tutti i personaggi di contorni, perfetti ingranaggi dell’orologio complessivo. La regia di Andrea Bernard punta su una lettura astratta e simbolica. L’ambientazione è coeva alla prima dell’opera. Il sipario si apre su un interno borghese, luci fredde, il tulle a creare effetti di lontananza. Le atmosfere sono quelle del teatro di Ibsen e la grande casa di bambola che domani l’intera opera sembra gettare un ponta tra
Francesca e Nora anche se qui essa non è una trappola da rompere ma il rimpianto per una felicità perduta legata ai ricordi dell’infanzia, prima che colei “che si chiama frode nel dolce mondo” non fosse venuta a sconquassare quell’apparente serenità. L’impianto scenico è fisso, una grande sala con le parati rivestite di legno chiaro e arredata da pochi oggetti, il fondale può aprirsi a mostrare spazi esterni. Un impianto che ricorda molto certi spettacoli di Michieletto anche se si apprezza una maggior eleganza di tocco che Bernard a ereditato dalla sua formazione con Pizzi. Non mancano momenti suggestivi come la delicata poesia – un po’ gozzaniana – delle scene femminili o l’irrompere della Natura in forma di un lussureggiante prato fiorito nelle scene di passione, incarnazione di un’energia vitale che abbatte le convenzioni sociali. Altrove – come nella scena della torre – questa impostazione diventa un po’ limitante nonostante il buon uso delle luci. Manca quel medioevo che il linguaggio stilnovista di D’Annunzio evoca ad ogni verso e che non si può rendere solo con qualche elemento estemporaneo che risulta solo stridente nel contesto – Paolo in giacca e cravatta che combatte armato di balestra. Lo spettacolo presenta nel complesso una forte coerenza interna e una grande chiarezza narrativa che non si può non apprezzare. Foto Gaido Ratti
Torino, Teatro Regio: “Francesca da Rimini”