Venezia, Teatro La Fenice: Markus Stenz dirige musiche di Haydn e Brahms

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2024-2025
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Markus Stenz
Franz Joseph Haydn: Sinfonia in sol maggiore n. 100 Hob.i:100 “Miltärsymphonie”; Johannes Brahms: Sinfonia n. 1 do minore op. 68

Venezia, 24 ottobre 2025
Johannes Brahms – rappresentato dalla sua prima sinfonia: splendido omaggio a Beethoven –, si confrontava – nel penultimo concerto della Stagione 24-25 – con un indiscusso maestro del classicismo viennese, Franz Joseph Haydn, di cui era proposta la Sinfonia n. 100 Miltärsymphonie, una delle dodici “londinesi”–, che alla prima assoluta di Londra (1794), riscosse un trionfale successo. Il programma appariva particolarmente congeniale al maestro Stenz: un direttore versatile – formatosi alla Hochschule für Musik Köln con Volker Wangenhein e a Tanglewood con Leonard Bernstein e Seiji Ozawa – specialista del repertorio operistico e sinfonico di area austro-tedesca, spaziando dal Settecento al Novecento, senza trascurare l’ambito contemporaneo. Il suo ampio gesto direttoriale – riuscendo a conciliare aspetti diversi se non apparentemente contraddittori, com’è prerogativa dei grandi interpreti – coniuga ‘classica’ eleganza e profondo coinvolgimento emotivo, chiarezza nella concezione interpretativa e icastica adesione ad ogni aspetto del testo musicale, rigore nell’approccio alla partitura e al tempo stesso spiccata personalità, in ossequio ai suoi maestri e alla più grande tradizione dell’arte della bacchetta.

Ricca di sfumature e di contrasti è risultata l’interpretazione della Miltärsymphonie facendo convivere baldanza militaresca e grazia settecentesca, leggerezza di tocco ed edonismo sonoro, tempi diffusamente spediti e senso dell’humour. Dopo l’introduzione (Adagio), immersa in un’atmosfera serena, l’Allegro ha visto flauto e oboi proporre con garbo il primo tema dal ritmo di marcetta, ripreso poi dagli archi, prima della poderosa risposta di tutta l’orchestra. Cantabile e insieme marziale è subentrato, più oltre, il secondo tema – preannuncio, secondo alcuni, della Radetzky Marsch di Johann Strauss padre –, presente anche nello Sviluppo piuttosto drammatico  e nella Coda. Particolarmente intrigante l’Allegretto, dove la melodia iniziale, dopo il tono suadente con cui si è presentata, ha riservato una spassosa sorpresa – di quelle tipiche in Haydn – quando è stata intonata da tutta l’orchestra con il fragoroso intervento di timpani, triangolo, piatti e grancassa – ad evocare, non senza ironia, l’incedere chiassoso delle parate militari alla turca –; strumenti di nuovo chiamati in causa nella boriosa conclusione del movimento, annunciata da militareschi squilli di tromba. Analogamente nel Menuetto, al carattere alquanto baldanzoso del tema principale si è contrapposto l’andamento dolcemente cullante di quello del Trio. Irresistibile è risultato il Finale. Presto, in cui ricorre un concitato e festoso tema di Rondò, insieme a qualche breve cadenza, fino alla chiassosa conclusione, in cui  tutti gli strumenti accessori, intervenuti nelle ultime battute dell’Allegretto, si sono fatti di nuovo sentire, in un tripudio di orgoglio militaresco.
Quanto al secondo titolo in programma, la Prima Sinfonia di Brahms – la risposta del genio amburghese alla vexata quaestio, che attraversò l’Ottocento musicale, ovvero come confrontarsi con l’eredità beethoveniana – ebbe una lunghissima gestazione, che impegnò l’autore per circa vent’anni – dal 1855 al 1876 – tra correzioni, pause e ripensamenti, nella consapevolezza che il necessario rinnovamento del genere sinfonico rappresentava una sfida estremamente ardua. “Non comporrò mai una sinfonia. Non puoi avere alcuna idea di cosa si provi sentendosi marciare alle spalle un simile gigante”: questo scriveva uno sconfortato Brahms ancora nel 1870 – centenario della nascita di Beethoven – all’amico Hermann Levi. E nella Prima Sinfonia il “gigante” è ancora ben presente: riconoscibili i rimandi alla Quinta – tonalità di Do minore, cellula ritmica nel primo movimento che somiglia molto ai quattro colpi del Motto del Destino –; ancor più esplicita la citazione – nello splendido Corale del quarto movimento – dell’Ode alla Gioia, dalla Nona (citazione talmente evidente che Beethoven rispose un po’ piccato, a chi gliela fece notare alla prima assoluta (1876): “Anche un asino se ne sarebbe accorto”. È innegabile, dunque, che questa partitura rappresenti un omaggio a Beethoven come attestano anche la monumentalità e la drammaticità, che la contraddistinguono, insieme alle due introduzioni ai movimenti estremi. Non a caso era considerata da Hanslick e Hans von Bülow l’ultima sinfonia di Beethoven. E un’energia ‘beethoveniana’ ha diffusamente caratterizzato la lettura offerta da Markus Stenz. Solenne l’introduzione al primo movimento, Un poco sostenuto – scandita dall’implacabile pulsazione del timpano –, che presenta due elementi – uno cromatico e l’altro costruito su intervalli più ampi –, che vengono variamente elaborati con sublime maestria nell’Allegro, a costituire il primo tema; tra le elaborazioni spiccavano i quattro colpi della Quinta di Beethoven, proposti in veste melodica e – nello sviluppo – ritmica, con l’intervento, tra l’altro, di corni, trombe e timpani. Particolarmente vigoroso il primo tema, melodico il secondo, ritmico il terzo. Nel secondo movimento, Andante sostenuto, si è dispiegata, inizialmente, una lunga melodia cantabile, costruita attraverso piccoli enunciati giustapposti. Più avanti l’oboe ha ‘cantato’ con leggiadria una seconda melodia di carattere lirico, in seguito ripresa – espandendola verso l’acuto – dagli archi. Nel terzo movimento, Un poco allegretto e grazioso – che ha la forma di uno Scherzo – il clarinetto ha evocato una dolce atmosfera pastorale, interrotta da un fantasmagorico Trio. Nel finale, Adagio-Allegro non troppo ma con brio, – che ricorda ricorda i finali della Quinta e della Nona – l’Adagio, inframezzato da pizzicati degli archi, si ricollegava alla cupa atmosfera dell’inizio, culminando in una grandiosa settima diminuita e a un rullo di timpani, prima della transizione alla tonica di Do e al solenne, idilliaco tema dei corni, a suo tempo annotato dall’autore su una lettera, spedita dalle Alpi svizzere a Clara Schumann. Seguiva un Corale magnificamente intonato dai tromboni e dai legni gravi: preparazione all’Allegro non troppo ma con brio, che si è aperto col magnifico Corale ‘beethoveniano’ – di sui sopra –, intonato dai violini sulla quarta corda, e si è snodato come un inno di maestosa imponenza, salendo sino all’apoteosi conclusiva, dove è ritornato, sfolgorante, anche il Corale dell’introduzione. Applausi convinti a fine serata: affettuoso saluto al maestro tedesco, oltre che all’encomiabile Orchestra.