Venezia, Teatro La Fenice: Riccardo Muti e l’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”

Venezia, Teatro La Fenice, Concerto Straordinario
Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”
Direttore Riccardo Muti
Flauto Karl-Heinz Schütz
Ludwig van Beethoven: “Coriolano” Ouverture op. 62; Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per flauto n. 2 in re maggiore KV 314; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92
Venezia, 9 ottobre 2025
Il maestro Muti è sbarcato in laguna a celebrare i cinquantacinque anni di collaborazione con il Teatro La Fenice, cui lo lega un rapporto tutto speciale, se proprio al maestro napoletano fu affidato il compito di dirigere il concerto che sancì la riapertura del Tempio della Lirica veneziano, nel 2003, dopo il terribile incendio. Re Riccardo è tornato nel prestigioso Teatro di Campo San Fantin, dopo il memorabile concerto del 2021, sempre insieme all’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, da lui stesso fondata nel 2004, riunendo strumentisti provenienti da tutte le regioni italiane. Di assoluto richiamo – oltre agli esecutori – anche il programma, comprendente l’Ouverture del Coriolano e la Settima Sinfonia di Ludwig van Beethoven, oltre al Concerto n. 2 per flauto in re maggiore KV 314 di Wolfang Amadeus Mozart, uno dei concerti più riusciti e brillanti del Salisburghese, tra quelli non concepiti per il pianoforte. Ci si sarebbe potuto aspettare da questa serata un edonistico ripercorrere sentieri già battuti, per quanto straordinariamente luminosi e fioriti, appagandosi nel riconoscere una volta di più l’universale valore estetico di pagine fondamentali della ‘nostra’ cultura musicale. Ma non se sul podio vi è Riccardo Muti, uno dei custodi più sensibili e preparati, nonché un instancabile divulgatore di questa grande tradizione. Così, dopo le prime note dell’Ouverture beethoveniana, abbiamo avuto piena conferma che un grande interprete, un vero ‘cavallo di razza’ della bacchetta, qual è senza dubbio Riccardo Muti, imprime su ogni sua esecuzione la propria impronta inconfondibile. Il maestro – in questo primo pezzo come negli altri due – non si è, infatti, limitato a restituire una lettura corretta, storicamente informata, ma vi ha aggiunto un quid personale, trascendendo i limiti di una ‘buona esecuzione’ e infondendo nuova vita alla partitura. Il rispetto del dettato dell’autore, la brillantezza del suono, la pregnanza del parametro timbrico, la nitidezza nell’articolazione del discorso musicale, in un’agogica diffusamente trascinante – tutti elementi verosimilmente derivanti dall’esempio toscaniniano, che arrivò al giovane Muti attraverso la mediazione di Antonino Votto, suo maestro di Direzione d’Orchestra –, hanno diffusamente caratterizzato la performance del Maestro Muti. Con il quale i giovani strumentisti dell’Orchestra “Cherubini” hanno interagito in perfetta simbiosi, rispondendo al suo generoso gesto direttoriale con naturale immediatezza, quasi fossero, insieme al direttore, le membra di un unico grande corpo. Nel caso della folgorante Ouverture del Coriolano, essa ci è stata restituita in tutto il suo vigore e nella sua teatralità, che tanto affascinava Wagner. Era quasi palpabile la tensione che ha attraversato l’Ouverture tra frequenti spostamenti d’accento e lunghe pause, con l’effetto di un continuo ansimare, interrotto solo dal secondo tema di nobile lirismo: un clima di intensa drammaticità, che si è colto fin dall’esordio con il suo poderoso inciso, in fortissimo, ripetutosi, più tenue, anche alla fine, prima di spegnersi definitivamente, nel sinistro bagliore degli archi nel registro grave. Eleganza e compostezza stilistica hanno caratterizzato l’esecuzione del Concerto K. 314 di Mozart, nel corso della quale l’essenzialità del gesto direttoriale ha saputo coniugare leggerezza, intensità espressiva ed edonismo sonoro; complice ovviamente Karl-Heinz Schütz, sicuramente un flautista di prim’ordine, che ha decisamente brillato in questo pezzo – in cui è evidente l’influenza francese – sfoggiando una tecnica trascendentale. Assoluto dominatore rispetto all’orchestra – cui Mozart affida il compito di accompagnare con leggerezza d’organico – il flauto si è imposto nell’Allegro aperto iniziale, contraddistinto da due temi nettamente contrastanti, dove spiccava il virtuosismo del solista austriaco, mentre nell’Adagio non troppo – immerso in una serenità tipicamente mozartiana – Schütz ha risposto con pacatezza all’introduzione orchestrale, per poi trillare con gioia intonando il luminoso secondo tema e, più avanti, eccellendo nella cadenza, prima dell’epilogo orchestrale. Episodi brillanti, cadenze orchestrali, in stile di opera buffa, e passi di virtuosismo solistico si alternavano – nel Rondò. Allegretto finale – alle riprese del festoso refrain, preceduto da vivaci cadenzine del flauto. Sonoro apprezzamento da parte del pubblico. Un fuoriprogramma ‘impressionista’: Pièce pour flûte seule di Jacques Ibert. Un impeto dionisiaco ha caratterizzato l’esecuzione della Sinfonia n. 7 di Beethoven: l’“apoteosi della danza” secondo la celebre definizione di Wagner. Nel primo movimento si sono apprezzate la raffinatezza coloristica, la brillantezza adamantina del suono, la nitidezza della trascinante scansione ritmica, fondata su una pulsazione dattilica – che Wagner utilizzerà come figurazione portante nella Tetralogia – in una dinamica ampia e contrastata. Nell’Allegretto, che riecheggia la marcia funebre dell’Eroica, dominava un’atmosfera di delicata mestizia, animatasi un poco grazie alle variazioni ed al fugato – dove si è apprezzato il bel suono degli archi – oltre che nel corso del dolcissimo intermezzo, in tonalità maggiore, impreziosito dal fascinoso legato dei legni. L’‘apoteosi della danza’ ha attraversato con particolare verve il terzo movimento, inframezzato dall’arcadico Trio, dove si sono messi in luce i corni e i legni. Travolgente il Presto – il cui ritmo serratissimo non pregiudicava l’estremo nitore nell’articolazione del discorso musicale come nella scansione ritmica con i suoi repentini mutamenti –, chiuso da un finale mozzafiato. Applausi e Standing ovation non solo per l’insigne maestro. Due fuoriprogramma, tratti dal repertorio operistico romantico-risorgimentale italiano, che – come si dice in gergo – hanno fatto ‘venir giù il teatro’: la sinfonia del Nabucco – un’opera, la cui l’interpretazione da parte di Muti, costituisce un irrinunciabile punto di riferimento – e poi la Sinfonia della Norma
, che l’artista napoletano ha collegato – intrattenendo brevemente il pubblico – agli anni Sessanta del Novecento, quando frequentava, nell’ambito delle Vacanze Musicali Veneziane, il Corso di Direzione d’Orchestra, tenuto dal mitico Franco Ferrara: in quel contesto di studio aveva affrontato proprio la celebre pagina belliniana.