Napoli, Teatro Mercadante
LA STORIA È QUESTA. IL PROCESSO DI GIOVANNA D’ARCO
di Teresa Cremisi e Chiara Valerio
regia Liv Ferracchiati
con
Giovanna D’Arco Caterina Tieghi
l’Anonimo cronista Riccardo Goretti
voci in ordine di apparizione
Pierre Cauchon, giudice Giovanni Battaglia,
San Michele Gennaro Di Biase
Santa Caterina D’Alessandria Laura Marinoni
Santa Margherita Di Antiochia Anna Coppola
soldati Nicola Conforto, Francesco Roccasecca, Rosario Sparno
scene e luci Simone Mannino
sound designer Giacomo Agnifili
costumi Gianluca Sbicca
aiuto regia Piera Mungiguerra
produzione Teatro dI Napoli – Teatro Nazionale
Napoli, 05 novembre 2025
Napoli, Teatro Mercadante. Una luce bianca inonda la passerella che attraversa la platea. Giovanna è là, minuta, esposta e sola. Il pubblico nell’ombra della platea circonda e avvolge la scena. Guarda la ragazza. All’inizio l’azione sospesa dilata il senso di quello scrutare.
La scenografia e le luci di Simone Mannino conferiscono una potente essenzialità e un’astrazione geometrica al tempo e allo spazio dell’azione, un minimalismo che non è scelta estetica ma costruzione di senso. I costumi di Gianluca Sbicca, moderni e atemporali, si inseriscono con naturale coerenza in questa visione. Le linee pure e i materiali contemporanei esaltano il corpo come luogo di verità, mentre l’assenza di riferimenti storici rende le figure sospese in uno spazio fuori dal tempo. Sbicca costruisce abiti che dialogano con la luce e con l’architettura scenica, fondendo rigore e trasparenza in un linguaggio teatrale di intensa modernità. In questa scelta di sottrazione e di purezza formale si riconosce un’estetica che non illustra, ma pensa il costume come gesto, come prolungamento drammaturgico della presenza. Non vi è Francia né Inghilterra, né campi di battaglia nella rievocazione di Giovanna. Il Processo cui assistiamo è un luogo mentale, metastorico. Le luci delineano lo spazio del potere, la luce diviene essa stessa lo sguardo che giudica, e le dure geometrie luminose marcano sapientemente la continua tensione tra la verità e il mascheramento, fra ideale e tradimento. La storia non è passata, non è altrove, è presente, nel rapporto tra individuo e potere. Il Processo è qui e ora.
Il testo di Teresa Cremisi e Chiara Valerio si basa sui documenti originali del Processo. Questo dà forza alla parola scenica. La scrittura si produce come un ritmo incalzante negli interrogatori, le voci degli accusatori si moltiplicano in un assedio linguistico. La giovane ha poche parole da opporre al potere persecutorio, quelle che le ha insegnato sua madre e quelle delle preghiere, come ripete. Non si vuole romanzare Giovanna, il testo e tutta la linea registica scelgono di lavorare di sottrazione antieroica. Anche la recitazione di Caterina Tieghi evita toni enfatici e la sua presenza scenica si gioca su una partitura gestuale sobria che esprime bene il senso di forza silenziosa. Accanto a Giovanna si muove l’Anonimo Cronista, per l’efficace interpretazione di Riccardo Goretti, che funge da contrappunto farsesco e fanfarone. L’Anonimo Cronista dialoga con l’eroina, interpella il pubblico, apostrofa i giudici invisibili, è la voce del popolo, sarcastica e prosaica, a tratti complice della giovane e partecipe “io c’ero!”, a tratti cinica. Voci irrompono nella scena sonora provenienti da grammofoni disposti sui palchi, sia quelle dei giudici e dei soldati che quelle dei santi, S.Caterina, S. Margherita e S.Michele, asettiche e implacabili. Il potere è impersonale e invisibile, è un sistema piuttosto che un individuo e perciò stesso è onnipresente.
Il sound design di Giacomo Agnifili ha un ruolo decisivo come elemento scenico, i suoni non melodici misti a rumorismi, fruscii e riverberi danno corpo sonoro alla tensione claustrofobica del processo e alla solitudine di Giovanna. Giovanna ha vestito armi – abiti maschili! dice il corpo accusatorio- ha dunque sfidato il potere maschile, sovvertendo i ruoli ha guidato eserciti e vinto battaglie, ora incarna un paradosso di forza e vulnerabilità. Santa, eroina, eretica e strega, lei che ha sovvertito il sistema non può che perire. La rievocazione di Giovanna e dell’Anonimo Cronista sfocia nella scena della condanna. Le luci pulsano feroci e colpiscono la fanciulla inginocchiata, prostrata, sconvolta, unico momento di pathos e acme drammatico. La scena è una ferita abbagliante nel buio della platea dove il pubblico non è solo testimone ma è giuria e in qualche modo partecipa della responsabilità di chi decreta la morte.
La volontà dichiarata della regista Liv Ferracchiati di trasformare il Processo in “una installazione museale vivente” perché il fatto storico “riecheggi nelle nostre coscienze” porta il pubblico a vivere come in un terribile rito collettivo l’esecuzione di un’innocente. Il dispositivo registico di Ferracchiati si palesa con l’urgenza di un messaggio che parla a noi, oggi. Ogni passività è un atto politico, ogni silenzio diventa una condanna. Lo spettacolo si chiude dopo il rogo di Giovanna. Lei percorre un’ultima volta la scena, il Cronista termina il racconto. È uno spettacolo che non parla di eroi, non racconta il pathos, non consola e non cerca di intrattenere. È un lavoro coraggioso e profondo, per la forza del messaggio, per la sua austera eleganza colpisce a fondo e il pubblico del teatro Mercadante risponde con un lungo saluto. Photocredit Ivan Nocera
Napoli, Teatro Mercadante: ” La storia è questa. Il processo di Giovanna D’Arco”