Roma, Teatro dell’Opera: “Marco Spada”

Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2024/2025
“MARCO SPADA”
Balletto in tre atti

Musica Daniel François Esprit Auber
Direttore David Garforth
Coreografia Pierre Lacotte
Ripresa coreografica Anne Salmon, Gil Isoart
Scene e costumi Pierre Lacotte
Luci Jean-Michel Désiré
Marco Spada Igor’ Cvirko
La Marchesa Alessandra Amato
Federici Dmitrij Vyskubenko
Pepinelli Michele Satriano
Il Governatore Giuseppe Schiavone
Angela Iana Salenko
Orchestra, Étoiles, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma
Ricostruzione dell’allestimento storico del 1981

Roma, 28 ottobre 2025
È stata un’occasione imperdibile, quella proposta dal Teatro dell’Opera di Roma, di rivedere il balletto Marco Spada, che proprio in questo teatro era stato messo in scena nel marzo 1981 dal coreografo Pierre Lacotte per il grande danzatore Rudolf Nureyev. Pur noto come scrupoloso ricostruttore filologico, Pierre Lacotte dovette qui reinventare la coreografia di Joseph Mazilier, originariamente realizzata nel 1857 per l’Opéra di Parigi ed andata perduta. Eppure, si trattava di un lavoro esemplare del Romanticismo ottocentesco, che esaltava le figure di banditi e ribelli in quanto simbolo di libertà e opposizione al potere precostituito. Il balletto ripreso all’Opera di Roma da Anne Salmon e Gil Isoart appartiene infatti al filone del balletto romantico di ambientazione storico-realistica e si distingue a colpo d’occhio per una profonda grandiosità scenica, resa possibile dal lavoro di restituzione delle scenografie e dei costumi della versione del 1981 operata dai Laboratori di scenografia del Teatro dell’Opera di Roma presso Circo Massimo. Nel corso dei tre atti e delle cinque scene del balletto, siamo dunque dapprima portati in un paesetto vicino Roma, sulla cui piazza domina la facciata della chiesa locale, per poi essere traslati nelle sontuose dimore dell’aristocrazia, ed infine nel verde della foresta, alla ricerca di una definitiva autenticità. Incantati da tale magnificenza, del balletto ammiriamo un secondo elemento costitutivo, ovvero una vivace coralità, chiamata a incarnare il dinamismo dei diversi strati sociali. Nel primo atto a prevalere è una certa paysannerie, e il topos del festeggiamento delle nozze di una coppia, ulteriormente caratterizzato dal contrasto con la nobiltà, nonché dalla presenza della gendarmeria e da rappresentanti del clero di cui si fa beffe Marco Spada travestito, lasciando su dei cartelloni bianchi la firma delle sue fintamente malevoli imprese. Già qui si nota dunque la compresenza di vari registri coreografici e drammaturgici, che contrappongono l’elevazione della danse d’école sulle punte a una più salda danza terre-à-terre e che fondono la danza pura ad elementi più vistosi di pantomima, mentre si passa da un’atmosfera gioiosa ma seria alla comicità e al grottesco dei dialoghi pantomimici tra il frate Borromeo e Marco Spada. Su questo sfondo si delineano le figure dei personaggi principali. Poco incisiva nel balletto è la presenza del governatore di Roma, mentre centrale diviene la figura della figlia, la marchesa Sampietri, promessa sposa al principe Federici ed amata dal conte Pepinelli. Nella serata del 28 ottobre è stata interpretata dall’étoile Alessandra Amato, molto concentrata sulla padronanza della mimica espressiva oltre che sulla resa del testo coreografico, e volta a mostrare attraverso la sua consapevole maturità scenica l’idea di un personaggio frivolo e sprezzante dell’alta società. Da lei ripetutamente respinto è il conte Pepinelli, incarnato dal primo ballerino Michele Satriano, che associa all’austerità del ruolo di comandante della gendarmeria un nobile e buon cuore. Più freddo il Federici dell’artista ospite Dmitrij Vyskubenko, che si impone grazie alla figura estremamente slanciata e alla pulizia dei passi, mentre alla prima nel ruolo ha affascinato grazie alla perfezione tecnica il danzatore Simone Agrò, nominato con grande commozione primo ballerino alla fine della serata. Su tutti trionfa la vitalità scenica di Marco Spada, che con i suoi vorticosi slanci e pirouettes dimostra coreograficamente la sua unicità nel paradigma romantico, più di sovente associato al trionfo della figura femminile. La scelta di Igor’ Cvirko come artista ospite nel ruolo principale ben si presta a restituire la possenza e l’energia graffiante un tempo incarnata da Nureyev, anche se in altre repliche il danzatore étoile Alessio Rezza ha donato alla figura del protagonista una dimensione di purezza interiore che ha aggiunto spessore alla sottostante tragicità dell’intero balletto. Nella seconda scena del primo atto ambientata nel palazzo di Marco Spada fa la sua comparsa la figura di Angela, la presunta figlia del nostro “eroe”, cui dona vita con estrema raffinatezza rafforzata dalla vaporosità del costume l’artista ospite Iana Salenko, suscitando sentimenti d’amore in Federici. Nel suo medio e grande sbalzo, nonché grazie alla vivacità mimica, l’Angela della Salenko si è mostrata come un carattere ancora ingenuo, pieno di bellezza e ottimismo, anche se destinato a scontrarsi con coraggio con le avversità della vita. Decisamente meno colorato il bianco secondo atto ambientato nel palazzo del governatore, dove dominano le danze storiche di sala e le forme chiuse dei pas de deux della Marchesa con Federici, e di Angela con il padre. Proprio qui, in risposta ai vari e poco chiari intrighi della storia, il principe Federici con un colpo di scena annuncia di voler sposare la marchesa. Deliziosa la prima scena del terzo atto, in cui un ampio velo bianco simboleggia i preparativi delle nozze della Marchesa, disturbati dall’irruzione dei briganti che la portano via insieme al conte Pepinelli. Brillante e chiarificatore il terzo atto, in cui Angela accetta la natura del padre abbandonando le vesti nobiliari. Nel dinamismo vorticoso delle danze, Marco Spada è ferito a morte dalla cavalleria. Giusto il tempo per svelare che Angela non è realmente sua figlia e che dunque può sposare a pieno titolo Federici. Un’agnizione finale che mostra la forza steoreotipata degli stampi drammaturgici ottocenteschi presenti nel libretto di Eugène Scribe senza lasciarci davvero soddisfatti e che fa da contraltare alla musica alquanto monotona di Daniel Auber, sebben ravvivata nelle sue diverse sfumature dalla minuziosa bacchetta di David Garforth. Foto Fabrizio Sansoni – Teatro dell’Opera di Roma