“Alcina” al Teatro alla Scala

Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2008/ 2009
ALCINA”
Dramma per musica in tre atti su libretto di anonimo, adattato da “L’isola di Alcina” di Antonio Fanzaglia per la musica di Riccardo Broschi (da Ludovico Ariosto)
Musica di Georg Friedrich Händel
Alcina  ANJA HARTEROS
Ruggiero  MONICA BACELLI
Morgana  PATRICIA PETIBON
Bradamante  KRISTINA HAMMERSTROM
Oronte  JEREMY OVENDEN
Melisso  ALASTAIR MILES
Basso continuo e arpa barocca: Margret Koll, Cembalo: James Vaughan Violoncello: Simone Groppo
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala (M.o del coro: Bruno Casoni)
Direttore: Giovanni Antonini
Regia di Robert Carsen
Scene e costumi di Tobias Hoheisel
Coreografia di Philippe Giraudeau
Luci di Jean Kalman
Allestimento Opéra National de Paris.
Milano, 17 marzo 2009

Finalmente Handel!  Finalmente “Alcina” , mi sono detto non senza entusiasmo, quado ho visto nel cartellone scaligero questo capolavoro del teatro barocco. Händel è  una rarità alla Scala, basti pensare che il primo titolo allestito è del 1956, Giulio Cesare, poi Eracle nel 1958, Serse nel 1962, Ariodante in due riprese 1981/82 e Rinaldo nel 2005.  Si è dovuti arrivare al 250° anniversario dalla morte del compositore per vedere riproposto un altro titolo handeliano e  considerando l’occasione si sarebbe potuto scritturare un cast molto più adeguato visto che,  da anni l’opera barocca  vanta molti valenti interpreti e si può quasi dire che è più facile allestire Händel e Monteverdi piuttosto che Giordano, Mascagni o certo Verdi. Alla luce di questa considerazione possiamo tranquillamente e serenamente affermare che questa “Alcina” scaligera è stata un’autentica delusione. Da un direttore esperto e competente come Giovanni Antonini non si comprende la scelta di operare dei tagli indiscriminati sulla partitura, tali da fare scomparire il personaggio di Oberto, con relative arie. Falcidiati  numerosi recitativi, intere arie e  vari “da capo” . Queste usanze tipiche degli anni ’50, oggi non sono accettabili. Ad Antonini va riconosciuto il grande merito nella riduzione filologica dell’orchestra, pochi gli elementi in buca, e la severa disciplina strumentale, curata nella fantasia, in recitativi vibranti ma nell’insieme piuttosto “lenti”. Del cast la sola protagonista aveva le carte in regola per sostenere lo spartito, Anja Harteros: voce vibrante e solenne, magica nelle arie patetiche, forse non brillante nelle fiorettature, ma comunque sempre in stile. Tra Monica Bacelli e Patricia Petibon non saprei quale delle due fosse più insipida. Entrambe molto “corte”, limitate nel volume, mancavano poi di stile, fraseggio, colore e soprattutto senza una vera dimensione “belcantista”. La prima ci presenta un Ruggiero totalmente “anonimo”,  la seconda con una vocetta da ” soubrette” , tecnicamente debole e con scelte stilistiche inadeguate e fuori stile (ad esempio nella celebra aria “Tornami a vagheggiar”) . Sarebbe decisamente più interessante Kristina  Hammestron, ma anche il questo caso  le mancano le qualità  per affrontare un ruolo barocco. Appena sufficiente Jeremy Ovden, ma comunque legnoso e piatto, di Alastair Miles non vale nemmeno la pena di parlare, una prestazione, la sua veramente insignificante. Lo spettacolo, dell’Opéra di Parigi, dove è andato in scena nel 1999 per un’ edizione poi approdata in disco per Erato e con cast decisamente molto migliore a questo. Come ribadisce Cesare Fertonani nel programma di sala, peculiarità di Alcina (che per Händel fu una specie di nuovo stile all’epoca) è la natura fantastica, con soggetto che comporta una dimensione scenica quanto mia spettacolare con incantesimi, apparizioni, trasformazioni di ambienti e di personaggi e numerosi passi di danza interpolati nelle pagine corali e strumentali. Tutto ciò non si è visto alla Scala. Carsen opta per un ambiente fisso che si trasforma con pareti mobili, ma resta quasi sempre eguale, la magia viene rappresentata dall’erotismo e la sensualità ristretta forzatamente a momenti lugubri piuttosto banali, compreso un finale (tagliata la sezione del coro) con l’inventato funerale di Alcina, durante Ruggero resta stordito e quasi sembra voglia seguirla. Carsen, sappiamo,  non è mai  un regista banale, ma questa sua  lettura di Alcina si stacca troppo dalla poetica dell’opera barocca e voler sempre a tutti i costi attualizzare non porta in ogni occasione risultati elevati. Dopo una prima, pare piuttosto “tumultuosa”, alla terza recita, alla quale abbiamo assistito, il pubblico, non particolarmente numeroso, ha seguito con attenzione  il tutt’altro che breve spettacolo tributando però un successo “di cortesia” .